· Città del Vaticano ·

Una riflessione sui doni dell’infanzia

La forza dei piccoli,
nostri maestri

 La forza dei piccoli,  nostri maestri   QUO-118
25 maggio 2024

Non c’è niente nell’universo forte come un bambino. Niente a parte un altro bambino.

Ne sa qualcosa di questo il vecchio Caino, oppure Esaù che se l’è trovato subito tra i piedi quell'impiastro di Giacobbe. I genitori poco possono fare davanti all’energia inarrestabile, mentale e fisica, dei loro cuccioli. Anche perché i bambini sono tendenzialmente gioiosi, ridono anche quando dormono, quando nessuno li vede, una libertà questa, una forza, che si chiama gioia (non la felicità, non l’allegria) e che trova le sue radici in un fondo che non si sa dove si stia, ma deve essere proprio in fondo in fondo, dove stanno le realtà elementari, le correnti primigenie dell’universo.

Nel film Inside Out si vede che, prima ancora che un bambino nasca, c’è già la gioia (con la G maiuscola magari) lì ad attenderlo, a sorprenderlo. Dopo, solo dopo la gioia, viene la paura, altro grande compagno di strada degli esseri umani, ma sempre seconda, secondaria, perché in effetti la paura è innanzitutto paura di perderla (la gioia). Anche un altro grande film della Pixar, Monsters & Co, racconta la stessa verità, sulla forza della gioia dei piccoli, molto più potente della loro paura.

Gli artisti colgono questa potenza, perché sono sintonizzati con le correnti dell’universo, e celebrano la grandezza dei piccoli dell’uomo. Ad esempio Stevenson coglie la serietà di un bambino gioioso e afferma che l’arte va esercitata con la serietà con cui gioca un bambino. Una serietà mortale. Un altro enorme poeta, il boemo Rilke, ci regala questi misteriosi versi sulla sua “invidia” verso i bambini per un altro dono che possiedono in sommo grado: «Una cosa sola è necessaria: la solitudine. / La grande solitudine interiore. Andare in sé stessi e non incontrarvi, per ore, nessuno; / a questo bisogna arrivare. / Essere soli come è solo il bambino».

Chiunque è stato educatore anche per poco tempo, e lo è stato chiunque abbia sperimentato la paternità o la maternità, biologica o spirituale che sia, sa che nel trattare i bambini si finisce sempre per apprendere più di quello che si cerca di insegnare loro. Importante è trattarli con la dovuta delicatezza e riverenza, come ci ricorda Janusz Korczack. «Dite: È faticoso frequentare i bambini. / Avete ragione./ Poi aggiungete: / perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, / inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli. / Ora avete torto. / Non è questo che più stanca. / È piuttosto il fatto di essere obbligati a innalzarsi / fino all’altezza dei loro sentimenti. /Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. / Per non ferirli».

Tanto vale allora non insegnare nulla ai bambini, come cantava Gaber: «Non insegnate ai bambini / Non insegnate la vostra morale / è così stanca e malata / Potrebbe far male (…) Ma se proprio volete / Insegnate soltanto la magia della vita. (…) Raccontategli il sogno di un’antica speranza. (…) Stategli sempre vicini / Date fiducia all’amore il resto è niente».

Ecco chi è un bambino, uno che dà fiducia all’amore, anche se ancora non sa (ma lo sente) che il resto è niente.

di Andrea Monda