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Il magistero

 Il magistero  QUO-116
23 maggio 2024

Giovedì 16

Lo sport per
la fraternità tra i popoli

L’apostolo Paolo ha paragonato la vita spirituale all’attività agonistica, in particolare alla corsa il cui premio è Cristo. La disciplina e la temperanza degli atleti, come il sano agonismo sono stati valorizzati come metafore della vita cristiana virtuosa.

Lo sport sta assumendo un ruolo sempre più importante. È un modo di impiegare il tempo libero che suscita opportunità di incontro, aggrega, crea comunità, dinamizza la vita in maniera ordinata e promuove sogni, soprattutto nei giovani.

La Chiesa rifletta sull’esperienza sportiva e la valorizzi adeguatamente nella sua azione evangelizzatrice. Coloro che sono coinvolti sono chiamati ad agire in modo da proporre Gesù come «vero atleta di Dio» (S. Giovanni Paolo ii ).

Alcuni recenti pronunciamenti pontifici hanno arricchito la riflessione ecclesiale sullo sport, mettendo in guardia dai rischi di disumanizzazione e corruzione, promuovendolo come luogo di incontro tra persone e di fraternità tra i popoli.

Nello sport, a tutti i livelli, non dovrebbe mai venir meno lo spirito “amatoriale”, che ne preserva la genuinità.

Questo stile è strettamente legato alla qualità della vita spirituale di quanti formano l’ambiente sportivo: dirigenti, allenatori, tecnici e atleti.

Sottolineo la grande responsabilità educativa degli adulti per dar vita ad ambienti sportivi sani e formativi, prevenendo ogni atteggiamento diseducativo e ogni forma di abuso, specialmente a danno dei minori e dei più vulnerabili.

(Messaggio al convegno su sport e spiritualità

“mettere la vita in gioco” )

Venerdì 17

Visitare
le catacombe durante
il Giubileo
per crescere nella speranza

Apprezzo l’impegno di coinvolgere le nuove generazioni di studenti e studiosi di archeologia cristiana per mantenere alta la qualità della tutela, della ricerca, del restauro e della valorizzazione delle catacombe cristiane d’Italia.

Le Giornate delle Catacombe, l’assegnazione di Borse di studio, i cantieri di ricerca archeologica contribuiscono a favorirne la conoscenza e frequentazione.

[Nell’Anno santo 20025 esse] saranno una delle mete più significative. Il tema del Giubileo, “Pellegrini di speranza”, trova una suggestiva declinazione nei percorsi catacombali. Scopriamo in [essi] i simboli e le raffigurazioni più antiche, che testimoniano la speranza cristiana.

Le catacombe, essendo “cimiteri”, cioè “dormitori”, testimoniano l’attesa del cristiano, che crede nella risurrezione.

Il pellegrinaggio nelle catacombe si configura come un itinerario in cui fare esperienza della speranza; ricorda che siamo tutti pellegrini.

Le prime generazioni cristiane esprimono questa fede attraverso le parole augurali e le preghiere che continuamente ritornano negli epitaffi tracciati sulle tombe!

La speranza cristiana viene testimoniata soprattutto dai Martiri. Mi rallegro per la proposta di evidenziare, in vista del Giubileo, le [loro] tombe, proponendole ai pellegrini nei percorsi di visita.

Sostare davanti ad esse fa confrontare con l’esempio coraggioso di questi cristiani, sempre attuale, e invita a pregare per tanti fratelli che subiscono persecuzione per la fede.

Opportuna appare la decisione di ampliare il numero dei siti catacombali accessibili, per permettere a un maggior numero di [visitatori].

Siete custodi del patrimonio di fede e di arte delle catacombe. È un servizio alla memoria e al futuro; alle radici e all’evangelizzazione. Perché il messaggio delle catacombe parla anche ai visitatori lontani da un’esperienza di fede.

(Alla plenaria della Pontificia commissione
di Archeologia sacra)

Sabato 18

Culto liturgico di Guido
di Montpellier con il titolo
di beato

«Infiammato di fede, ardente di carità, talmente pio e amante dei poveri da onorarli come maestri, amarli come fratelli, curarli come figli, infine venerarli come immagine di Cristo». Con queste parole Pietro Saunier descrisse la fede profonda di Guido di Montpellier.

Guido nacque nella seconda metà del xii secolo, nella città francese da famiglia benestante. Prima del 1190 iniziò a servire i poveri e i bisognosi, fondando una casa-ospedale nella periferia di Montpellier. Affidò questa opera di misericordia allo Spirito Santo.

Trovò molti seguaci. Nacque una comunità, i cui membri erano uomini e donne, laici ed ecclesiastici.

Lotario di Segni, futuro Papa Innocenzo iii , durante i suoi studi in Francia, conobbe le opere compiute da Guido e diede ad esse appoggio.

Nella bolla Hiis precipue del 22 aprile 1198, chiedendo a tutti i vescovi di sostenere le iniziative di Guido, Innocenzo iii scrisse: «L’ospedale di Santo Spirito, tra gli altri di nuova erezione, risplende per religiosità e pratica un’ospitalità di maggiore carità, come coloro che, fatta esperienza delle loro elemosine, hanno potuto apprendere in modo più pieno».

Il 23 aprile 1198 l’ospedale passò sotto la diretta giurisdizione della Santa Sede e il Pontefice confermò la regola monastica preparata da Guido.

La comunità contava già altri dieci luoghi simili nel sud della Francia e due a Roma. Con la bolla Cupientes pro plurimis, emessa ad Anagni il 10 dicembre 1201, la chiesa di Sancta Maria in Saxia (oggi Santo Spirito in Sassia) insieme alla domus hospitalis, fondata dallo stesso Innocenzo iii , fu affidata alla cura di Guido e compagni.

L’ideale si concretizzò in particolare nella cura dei neonati abbandonati e dei bambini indesiderati. Oltre all’assistenza materiale e spirituale per le madri lasciate sole e per le prostitute, nell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia venne costruita una delle prime ruote degli esposti, dove i neonati potevano essere lasciati anonimamente.

Guido incoraggiò consorelle e confratelli a uscire per le strade in cerca dei bisognosi. A questo servizio verso i poveri il fondatore univa la contemplazione.

Morì a Roma, nei primi mesi del 1208. Innocenzo iii nella bolla Defuncto Romae ribadì l’importanza delle opere di misericordia da lui iniziate e la necessità che fossero portate avanti.

La memoria dell’umile e modesto servitore di poveri fu conservata nei monasteri e negli ospedali che vivevano secondo la regola redatta da Guido. Anche oggi l’opera porta numerosi frutti, grazie alle comunità religiose che aiutano i poveri.

L’esempio di Guido di Montpellier ci ha sempre attratto e ispirato. [Perciò] abbiamo deciso di concedere uno speciale segno di grazia.

Con la Nostra autorità Apostolica, iscriviamo nel catalogo dei Beati Guido di Montpellier la cui memoria, con la Liturgia delle Ore e la Celebrazione eucaristica il 7 febbraio, diamo disposizione che sia in tale giorno obbligatoria per gli Ordini, le Congregazioni e gli Istituti di Santo Spirito in Sassia nonché per gli Istituti che si ispirano al carisma di Guido.

(Lettera apostolica in forma di «motu proprio» Fide incensus circa il culto liturgico di Guido
di Montpellier con il titolo di beato)

Domenica 19

Il cristiano
si arrende
allo Spirito non alla forza del mondo

Il racconto della Pentecoste mostra due ambiti dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa: in noi e nella missione, con due caratteristiche: la forza e la gentilezza. L’azione dello Spirito in noi è forte, come simboleggiano il vento e il fuoco, che nella Bibbia sono associati alla potenza di Dio.

Senza questa forza, non riusciremmo mai a sconfiggere il male, né i desideri della carne, quelle pulsioni dell’anima: l’impurità, l’idolatria, le discordie, le invidie. Quelle pulsioni rovinano le nostre relazioni con gli altri e dividono le comunità, e Lui entra nel cuore e guarisce tutto.

Lo mostra Gesù, quando, spinto dallo Spirito, si ritira per quaranta giorni nel deserto per essere tentato. In quel tempo anche la sua umanità cresce, si rafforza e si prepara alla missione.

Contemporaneamente, l’agire del Paraclito in noi è anche gentile. Il vento e il fuoco non distruggono né inceneriscono quello che toccano: l’uno riempie la casa in cui si trovano i discepoli e l’altro si posa delicatamente, in forma di fiammelle, sul capo di ciascuno.

Anche questa delicatezza è un tratto dell’agire di Dio che ritroviamo nella Bibbia.

È bello vedere come la stessa mano robusta e callosa che prima ha dissodato le zolle delle passioni, poi delicatamente, messe a dimora le pianticelle della virtù, le “bagna”, le “cura” e le protegge, perché crescano e si irrobustiscano, e noi possiamo gustare, dopo la fatica del combattimento contro il male, la dolcezza della misericordia e della comunione con Dio. Come dice una preghiera antica: «La tua mitezza rimanga, o Signore, con me e così i frutti del tuo amore!» (Odi di Salomone).

Anche noi, che abbiamo avuto in dono lo Spirito nel Battesimo e nella Confermazione, siamo inviati, oggi specialmente, ad annunciare il Vangelo a tutti.

Grazie allo Spirito possiamo e dobbiamo farlo con la stessa forza e gentilezza.

Non con prepotenza e imposizioni, nemmeno coi calcoli e colle furbizie, ma con l’energia che viene dalla fedeltà alla verità. Così ci arrendiamo allo Spirito, non ci arrendiamo alla forza del mondo, ma continuiamo a parlare di pace a chi vuole la guerra, di perdono a chi semina vendetta, accoglienza e solidarietà a chi sbarra le porte ed erige barriere, di vita a chi sceglie la morte, di rispetto a chi ama umiliare, insultare e scartare, di fedeltà a chi rifiuta ogni legame, confondendo la libertà con un individualismo superficiale, opaco e vuoto. Senza lasciarci intimorire dalle difficoltà, né dalle derisioni, né dalle opposizioni che, oggi come ieri, non mancano.

Tutti abbiamo bisogno di speranza, che non è ottimismo.

La speranza la si raffigura come un’ancora alla riva, e noi aggrappati alla corda verso la speranza. Abbiamo bisogno di alzare gli occhi su orizzonti di pace, di fratellanza, di giustizia e di solidarietà.

Questa l’unica via della vita. Spesso non appare facile, anzi si presenta tortuosa e in salita. Ma non siamo soli: abbiamo questa sicurezza che con l’aiuto dello Spirito Santo, con i suoi doni, insieme possiamo percorrerla e renderla sempre più percorribile anche per gli altri.

(Omelia messa di Pentecoste)

Lunedì 20

Sognatori
laboriosi
per dare
speranza

Le radici della vostra Istituzione sono nell’esperienza del Fondatore, sant’Ignazio di Loyola, che era alla costante ricerca della volontà di Dio. Questo si traduceva in un’assidua tensione al servizio. Andare avanti per servire.

Il suo percorso spirituale continui a guidarvi. La Loyola University si ispira alla tradizione della Compagnia di Gesù, fondata su discernimento e azione.

Questa tradizione vi invita oggi a cercare la verità attraverso lo studio, l’ascolto e l’azione coraggiosa.

Vi incoraggio a perseverare in questo cammino, a essere testimoni di speranza in un mondo segnato da divisioni e conflitti.

I conflitti ci portano a camminare nei labirinti e dal labirinto si esce da sopra e non da soli. Il conflitto ci spinge a lavorare.

Coltivare il senso critico, la capacità di discernimento e la sensibilità verso le sfide globali; a porvi la domanda: come può la nostra Università fare del mondo un luogo migliore? Sempre tendere al meglio!

In un momento storico segnato da rapidi cambiamenti e sfide complesse, il ruolo delle istituzioni accademiche è cruciale.

Avete il compito non solo di formare menti brillanti, ma anche di coltivare cuori generosi e coscienze attente alla dignità di ogni persona.

Auguro di formare “sognatori laboriosi”, e di esserlo voi stessi! Per andare avanti nella vita, bisogna sognare.

Una persona che ha perso la capacità di sognare manca di creatività, manca di poesia, e la vita senza poesia non funziona.

Coltivare la curiosità intellettuale, lo spirito di collaborazione e la sensibilità verso le sfide dell’epoca in cui viviamo, portando avanti l’eredità di Sant’Ignazio.

C’è bisogno di uomini e donne pronti a mettere le proprie competenze al servizio degli altri, a lavorare per un futuro in cui ogni persona possa sviluppare le proprie capacità e vivere con dignità e rispetto, e il mondo possa trovare la pace.

Nella situazione di crisi dell’ordine mondiale sembra che manchi un orizzonte di speranza. E senza non si può vivere.

(Alla Loyola university di Chicago)

Martedì 21

«Salgo
idealmente
sulla collina
di Sheshan»

Sono contento di potermi rivolgere a voi in occasione del convegno [nel] centenario del Concilium Sinense, il primo e finora unico Concilio della Chiesa cattolica cinese che si svolse a Shanghai cento anni fa.

Fu davvero un passaggio importante nel percorso della Chiesa cattolica nel grande Paese che è la Cina. I Padri riuniti vissero un’esperienza autenticamente sinodale e presero insieme decisioni importanti.

Lo Spirito Santo li riunì, fece crescere l’armonia tra loro, li portò lungo strade che molti non avrebbero immaginato, superando perplessità e resistenze.

Erano quasi tutti provenienti da Paesi lontani, e prima del Concilio molti non erano ancora pronti a prendere in considerazione l’opportunità di affidare le diocesi a sacerdoti e vescovi nati in Cina.

Poi, riuniti in Concilio, compirono un vero cammino sinodale e firmarono tutti le disposizioni che aprivano nuove strade affinché la Chiesa, anche la Cina cattolica, potesse avere sempre più un volto cinese.

Perché l’annuncio di salvezza di Cristo può raggiungere ogni comunità umana e ogni singola persona solo se parla nella sua lingua materna.

Seguirono le orme di grandi missionari, come padre Matteo Ricci. Un contributo importante, nella promozione e nella guida del Concilium Sinense, arrivò dall’arcivescovo Celso Costantini, primo Delegato Apostolico in Cina, che per decisione di Pio xi fu anche il grande organizzatore e il presidente del Concilio.

Costantini applicò alla situazione concreta uno sguardo missionario. E fece tesoro degli insegnamenti della Maximum illud, la Lettera apostolica sulle missioni pubblicata nel 1919 da Benedetto xv .

Seguendo lo slancio profetico del documento, Costantini ripeteva che la missione della Chiesa era «evangelizzare, non colonizzare». Nel Concilio di Shanghai, la comunione tra la Santa Sede e la Chiesa che è in Cina si manifestò nei suoi frutti fecondi di bene per tutto il popolo cinese.

Ma il Concilio di Shanghai non servì solo a far cadere nell’oblio impostazioni sbagliate che avevano prevalso nei tempi precedenti. Non si trattava di “cambiare strategia”, ma di seguire strade più conformi alla natura della Chiesa e alla sua missione. Confidando solo nella grazia di Cristo stesso, e nella sua attrattiva.

I partecipanti guardarono al futuro. E il loro futuro è il nostro presente. Il cammino della Chiesa lungo la storia è passato e passa per strade impreviste, anche per tempi di pazienza e di prova.

Il Signore, in Cina, ha custodito la fede del popolo di Dio. Ed [essa] è stata la bussola che ha indicato la via in tutto questo tempo, prima e dopo il Concilio di Shanghai, fino a oggi.

I cattolici cinesi, in comunione con il Vescovo di Roma, camminano nel tempo presente. Nel contesto in cui vivono, testimoniano la fede anche con opere di misericordia e carità, e nella loro testimonianza danno un contributo reale all’armonia della convivenza sociale, alla edificazione della casa comune.

Chi segue Gesù ama la pace, e si trova insieme a quelli che operano per la pace, in un tempo in cui vediamo agire forze disumane che sembrano voler accelerare la fine del mondo.

I partecipanti al Concilio di Shanghai alcuni giorni dopo la fine si recarono in pellegrinaggio al vicino Santuario di Nostra Signora di Sheshan.

Far memoria del Concilio di Shanghai può suggerire anche oggi a tutta la Chiesa strade nuove e cammini aperti da intraprendere con audacia per annunciare e testimoniare il Vangelo nel presente.

In questi giorni, nel mese di maggio, dedicato dal popolo di Dio alla Vergine Maria, tanti fratelli e sorelle cinesi salgono in pellegrinaggio a Sheshan, per affidare preghiere e speranze all’intercessione della Madre di Gesù.

Il 24 maggio, festa di Maria Aiuto dei cristiani, la Chiesa nel mondo intero prega con i fratelli e le sorelle della Chiesa che è in Cina, come era stato chiesto da Benedetto xvi nella Lettera ai cattolici cinesi.

Anche io salgo idealmente sulla collina di Sheshan. Insieme affidiamo alla Madonna, i nostri fratelli e sorelle nella fede che sono in Cina, tutto il popolo cinese, e tutto il nostro povero mondo, chiedendo la sua intercessione, affinché dovunque vinca sempre la pace.

(Videomessaggio in occasione di un convegno all’Urbaniana nel centenario del «Concilium Sinense»)

Mercoledì 22

Una storia
di amicizia e unità segnata dal martirio

Un grande Vescovo ortodosso, Zizioulas, morto un anno fa più o meno, diceva che l’unità delle Chiese cristiane la avremo soltanto nel giorno del giudizio finale.

Ma «nel frattempo — diceva — dobbiamo pregare insieme e lavorare insieme». Perché tutti crediamo in Gesù; pregare per l’unità.

Un altro grande Patriarca ortodosso di Costantinopoli, quando ha ricevuto Paolo vi , ha detto questa bella frase: «Mettiamo i teologi tutti in un’isola, perché loro litigano fra loro, e noi andiamo avanti in pace».

Abbiamo lo stesso Battesimo e questo ci fa cristiani. Nemici, ne abbiamo tanti fuori. Siamo amici!

Il Signore ci ha detto: la Chiesa, sempre sarà perseguitata. Il martirio della fede sempre c’è nella storia delle nostre Chiese.

Quando Paolo vi è andato in Uganda, ha parlato dei martiri cattolici e anglicani. Sono martiri. E io stesso, quando sono state martirizzate quelle persone copte, ho subito detto che sono martiri anche “nostri”, di tutti.

Ci sono due battesimi: uno, che abbiamo tutti noi — il Battesimo che abbiamo ricevuto —, l’altro, quello che il Signore dice “il Battesimo del sangue”: il martirio.

Tutti noi sappiamo cosa è il martirio di tanti cristiani che hanno dato la vita per la fede.

(A una delegazione dell’«Hong Kong Christian Council»)