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Per “salire” dal labirinto

 Per “salire”  dal labirinto  QUO-113
20 maggio 2024

Nel discorso tenuto sabato scorso nell’Arena di Verona sulla guerra e la pace Papa Francesco ha affermato che ogni conflitto ha qualcosa del labirinto, un luogo dove l’uomo rimane come impantanato, paralizzato, senza riuscire a trovare la via d’uscita. Non è la prima volta che il Papa parlando ai governanti delle nazioni come ai giovani, ha utilizzato l’immagine del labirinto. Nel finale del libro intervista con Austen Ivereigh Ritorniamo a sognare! del 2020, ad esempio, ha fatto anche alcuni riferimenti letterari, come Borges e Chesterton, per spiegare alcune cose: il mondo contemporaneo è chiuso in un labirinto, anzi si è chiuso in un labirinto dal quale «si viene fuori solo in due modi: verso l’alto, decentrandoti e trascendendo, o lasciandoti guidare dal filo di Arianna. In questo momento dentro un labirinto c’è il mondo intero, e ci aggiriamo al suo interno cercando di non farci divorare da vari “minotauri”».

Si esce dunque o “in orizzontale”, grazie a un “filo”, o “in verticale”, verso l’alto; e a Verona il Papa ha usato anche il verbo “salire”, che in spagnolo significa “uscire”: «da un conflitto mai uscirai da solo, ci vuole la comunità, ci vuole l’aiuto sia della famiglia, degli amici, ma mai da un conflitto si può uscire da soli. E, secondo, da un conflitto si esce soltanto “da sopra”. Altrimenti andrai giù».

Un “ripasso” del mito greco del labirinto può rivelarsi utile. Questo celebre edificio di Creta fu costruito dal grande architetto e inventore Dedalo il quale fu anche uno dei tre uomini a uscirne vivo. Questo fatto già ci dice qualcosa: sono gli uomini stessi a costruire i labirinti in cui si vanno a smarrire. Dedalo riesce a uscire dalla trappola che aveva costruito creando con la cera delle “ali” che gli permettono di volare, come dice il Papa: dal labirinto si esce “da sopra”. Con creatività. Sabato a Verona paragonando le guerre e i conflitti al labirinto ha affermato che «un conflitto è proprio una sfida alla creatività».

Ma Dedalo non è l’unico a uscire, c’è anche Teseo, che segue l’altra via, “in orizzontale”, grazie a un “filo”: «Nel mito greco, Arianna dà a Teseo un gomitolo di filo» ricordava il Papa nel libro del 2020, «affinché possa ritrovare l’uscita. A noi, per superare la logica del labirinto, per decentrarci e trascendere, è stata data la matassa della nostra creatività».

Anche questa via, quella della comunità, richiede dunque uno sforzo creativo, la capacità di trovare un “filo”. Uscire fuori da sé, verso l’alto e verso gli altri, è il passaggio fondamentale che permette la liberazione dall’incubo del labirinto. Infatti tale è il labirinto, «è un incubo», osserva il Papa citando il racconto di Borges Il giardino dei sentieri che si biforcano «perché non lascia aperta alcuna via di uscita reale». Su questo vale la pena soffermarsi perché l’uomo contemporaneo ha cominciato a fare una cosa strana, innaturale cioè a non chiamare le cose con il loro nome. Nel racconto Teseo, il romanziere francese André Gide, ri-raccontando l’antico mito greco, ha immaginato che il labirinto era un luogo da cui era impossibile uscire non perché buio, pieno di trappole e pericoli, ma al contrario perché era luminoso, ricco di delizie e di piaceri. Nessuno usciva da lì non perché difficile ma perché veniva spento il desiderio della libertà. Inquietante da questo punto di vista la recente intervista di don Armando Matteo su queste pagine sul tema della contemporaneità in cui l’esistenza è stata ridotta a quella in un “parco giochi”.

Teseo però ce la fa, e ci riesce decentrandosi, rivolgendosi agli altri; da lì arriva la salvezza, dal filo di Arianna. Quel dono del filo allora assume un altro più grande significato, che acquista un valore ancora più grande proprio nella festa della Pentecoste: «Il dono di Arianna è lo Spirito che ci chiama fuori da noi stessi», spiegava il Papa nel libro-intervista, «lo “strappo del filo” di cui parlava G.K. Chesterton nei racconti di padre Brown. Sono gli altri, attorno a noi, che, come Arianna, ci aiutano a trovare vie di uscita, a dare il meglio di noi stessi [...] Una volta che sentiamo quello “strappo del filo” ci sono molti modi per uscire dal labirinto», importante, continua il Papa, è la tua reazione allo strappo: «Asseconda lo strappo, lasciati spostare, lasciati mettere in discussione […] Quando senti lo strappo, fermati e prega. Leggi il Vangelo, se sei cristiano. O fai spazio dentro di te e ascolta. Apriti... decentrati... trascendi. E poi agisci».

Anche qui conviene ripassare il testo che il Papa ha citato. Nel racconto poliziesco Gli strani passi Padre Brown (il celebre prete-detective che scopre, per un attimo, ladri e assassini, ma solo per aiutarli a convertirsi), si presenta come quello che è, un prete, un “pescatore di uomini” e quindi parla del suo particolare “filo” con cui recupera anche i criminali più incalliti: «L’ho preso con un invisibile amo e con una invisibile lenza, che è lunga abbastanza per lasciarlo vagare sino ai confini del mondo, e, tuttavia, riportarlo indietro con un solo strappo del filo».

Questo strappo è l’intervento dall’alto dello Spirito, della Grazia che scende in soccorso di ogni uomo. È lo Spirito a cui bisogna arrendersi come il Papa ha ricordato domenica nell’omelia della messa della Pentecoste. Lo Spirito scende e soffia dove vuole e raggiunge ogni uomo attraverso le vie più sorprendenti, spesso tramite le persone più semplici, perché lo Spirito spesso soffia potente attraverso la vita del popolo. Questo è stato un altro tema emerso nel discorso del Papa nell’Arena di Verona con i movimenti popolari in cui Bergoglio ha ricordato un suo precedente discorso agli stessi destinatari pronunciato a Santa Cruz de la Sierra, il 9 luglio 2015: «Sono sempre più convinto che “il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli — i popoli! —; nella loro capacità di organizzarsi e anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento”. Il popolo deve avere coscienza di sé stesso e agire come popolo, agire con questa volontà di fare pace». Le mani dei popoli, non dei “grandi” ma delle tante piccole persone del popolo.

Continuando la sua riflessione sullo “strappo del filo”, in Ritorniamo a sognare il Papa aveva detto che le diverse vie per uscire dal labirinto hanno tutte in comune «la consapevolezza che ci apparteniamo a vicenda, che facciamo parte di un popolo e che il nostro destino è intrecciato a un destino comune. “Sicuramente gli avvenimenti decisivi della storia del mondo sono stati essenzialmente influenzati da anime sulle quali nulla viene detto nei libri di storia” ha scritto Edith Stein (santa Teresa Benedetta della Croce). “E quali siano le anime che dobbiamo ringraziare per gli avvenimenti decisivi della nostra vita personale, è qualcosa che sapremo soltanto nel giorno in cui tutto ciò che è nascosto sarà svelato”. Ma sono anime capaci di dare uno strappo al filo».

Un figlio spirituale di Chesterton, il romanziere J.R.R.Tolkien, nel suo capolavoro fa dire un suo personaggio che: «Né la forza né la saggezza ci condurrebbe lontano; questo è un cammino che i deboli possono intraprendere con la medesima speranza dei forti. Eppure tale è il corso degli eventi che muovono le ruote del mondo, che sono spesso le piccole mani ad agire per necessità, mentre gli occhi dei grandi sono rivolti altrove… È giunta l’ora del popolo della Contea, ed esso si leva dai campi silenziosi e tranquilli per scuotere le torri ed i consigli dei grandi!».

Le piccole mani degli uomini del popolo sono più attente, operose e concrete degli “occhi dei grandi” che sono sempre distratti da idee meno importanti e vitali, come la lotta per il potere.

Invece se ci si arrende allo Spirito, e non al mondo, anche se si è piccoli si possono compiere grandi azioni, ha detto il Papa nell’omelia di Pentecoste, si riesce «a parlare di pace a chi vuole la guerra, a parlare di perdono a chi semina vendetta, a parlare di accoglienza e solidarietà a chi sbarra le porte ed erige barriere, a parlare di vita a chi sceglie la morte, a parlare di rispetto a chi ama umiliare, insultare e scartare, a parlare di fedeltà a chi rifiuta ogni legame» e farlo con la forza della gentilezza perché «il cristiano non è prepotente, la sua forza è un’altra, è la forza dello Spirito». Una forza che «entra nel cuore e guarisce tutto», che dona la forza e il coraggio della gioia. Allora forse aveva ragione un altro scrittore, il tedesco Michael Ende, quando scriveva che «un uomo è chiuso dentro un labirinto, per essere felice deve uscire, ma per uscire deve essere felice». 

di Andrea Monda