· Città del Vaticano ·

L’omelia del Pontefice durante la messa di Pentecoste nella basilica Vaticana

Il cristiano si arrende
allo Spirito e non alla forza
del mondo

 Il cristiano si arrende allo Spirito  e non alla forza del mondo  QUO-113
20 maggio 2024

La speranza è l’unica via della vita che, per quanto spesso tortuosa e in salita, possiamo percorrere e rendere «sempre più percorribile anche per gli altri» con l’aiuto dello Spirito Santo. Lo ha ricordato Papa Francesco nell’omelia della messa celebrata nella basilica Vaticana ieri mattina, 19 maggio, domenica di Pentecoste. Insieme con il Pontefice hanno concelebrato 22 porporati, 16 vescovi e arcivescovi, tra cui il segretario per le Rappresentanze pontificie, Luciano Russo, e oltre 200 sacerdoti. Al momento della consacrazione eucaristica sono saliti all’altare i cardinali Arthur Roche, Fernando Filoni e Leonardo Sandri. Dopo la proclamazione delle letture (Atti 2, 1-11, Salmo 103, Galati 5, 16-25) e del Vangelo (Giovanni 15, 26-27; 16, 12-15) preceduto dal canto della “Sequenza”, in particolare, alla preghiera dei fedeli, recitata in cinese, polacco, francese, filippino e swahili, si è invocato Dio affinché la Chiesa possa «far risplendere nel mondo la grazia della comunione fraterna» e i governanti delle nazioni cerchino sempre il dialogo e la concordia tra i popoli. Si è pregato anche per i missionari, le famiglie, i malati e i sofferenti. Al termine della celebrazione è stata intonata l’antifona Regina Caeli. Il servizio dei ministranti è stato prestato dal Pontificio Collegio Urbano. I canti sono stati eseguiti dal coro della Cappella Sistina diretta da monsignor Marco Pavan. Ecco l’omelia che il Pontefice ha tenuto davanti all’altare della Confessione.

Il racconto della Pentecoste (cfr. At 2, 1-11) ci mostra due ambiti dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa: in noi e nella missione, con due caratteristiche: la forza e la gentilezza.

L’azione dello Spirito in noi è forte, come simboleggiano i segni del vento e del fuoco, che spesso nella Bibbia sono associati alla potenza di Dio (cfr. Es 19, 16-19). Senza questa forza, non riusciremmo mai a sconfiggere il male, né a vincere i desideri della carne di cui parla San Paolo, a vincere quelle pulsioni dell’anima: l’impurità, l’idolatria, le discordie, le invidie... (cfr. Gal 5, 19-21): con lo Spirito si possono vincere, Lui ci dà la forza per farlo, perché Lui entra nel nostro cuore “arido, rigido e gelido” (cfr. Sequenza Veni Sancte Spiritus). Quelle pulsioni rovinano le nostre relazioni con gli altri e dividono le nostre comunità, e Lui entra nel cuore e guarisce tutto. Ce lo mostra anche Gesù, quando, spinto dallo Spirito, si ritira per quaranta giorni nel deserto (cfr. Mt 4, 1-11) per essere tentato. E in quel tempo anche la sua umanità cresce, si rafforza e si prepara alla missione.

Contemporaneamente, l’agire del Paraclito in noi è anche gentile: è forte e gentile. Il vento e il fuoco non distruggono né inceneriscono quello che toccano: l’uno riempie la casa in cui si trovano i discepoli e l’altro si posa delicatamente, in forma di fiammelle, sul capo di ciascuno. E anche questa delicatezza è un tratto dell’agire di Dio che ritroviamo tante volte nella Bibbia.

Ed è bello vedere come la stessa mano robusta e callosa che prima ha dissodato le zolle delle passioni, poi delicatamente, messe a dimora le pianticelle della virtù, le “bagna”, le “cura” (cfr. Sequenza) e le protegge con amore, perché crescano e si irrobustiscano, e noi possiamo gustare, dopo la fatica del combattimento contro il male, la dolcezza della misericordia e della comunione con Dio. Così è lo Spirito: forte, ci dà la forza per vincere, e anche delicato. Si parla dell’unzione dello Spirito, lo Spirito ci unge, è con noi. Come dice una bella preghiera della Chiesa antica: «La tua mitezza rimanga, o Signore, con me e così i frutti del tuo amore!» (Odi di Salomone, 14, 6).

Lo Spirito Santo, disceso sui discepoli e fattosi vicino — cioè “paraclito” — agisce trasformando i loro cuori e infondendo in essi un’«audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima» ( S. Giovanni Paolo ii , Enc. Redemptoris missio, 24). Come testimonieranno poi Pietro e Giovanni davanti al Sinedrio, quando si pretenderà di imporre loro di «non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù» (At 4, 18); essi risponderanno: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (v. 20). E per rispondere questo hanno la forza dello Spirito Santo.

E questo è importante anche per noi, che abbiamo avuto in dono lo Spirito nel Battesimo e nella Confermazione. Dal “cenacolo” di questa Basilica, come gli Apostoli, siamo inviati, oggi specialmente, ad annunciare il Vangelo a tutti, andando «sempre oltre, non solo in senso geografico, ma anche al di là delle barriere etniche e religiose, per una missione veramente universale» (Redemptoris missio, 25). E grazie allo Spirito possiamo e dobbiamo farlo con la stessa forza e con la stessa gentilezza.

Con la stessa forza: cioè, non con prepotenza e imposizioni — il cristiano non è prepotente, la sua forza è un’altra, e la forza dello Spirito —, nemmeno coi calcoli e colle furbizie, ma con l’energia che viene dalla fedeltà alla verità, che lo Spirito insegna ai nostri cuori e fa crescere in noi. E così noi ci arrendiamo allo Spirito, non ci arrendiamo alla forza del mondo, ma continuiamo a parlare di pace a chi vuole la guerra, a parlare di perdono a chi semina vendetta, a parlare di accoglienza e solidarietà a chi sbarra le porte ed erige barriere, a parlare di vita a chi sceglie la morte, a parlare di rispetto a chi ama umiliare, insultare e scartare, a parlare di fedeltà a chi rifiuta ogni legame, confondendo la libertà con un individualismo superficiale, opaco e vuoto. Senza lasciarci intimorire dalle difficoltà, né dalle derisioni, né dalle opposizioni che, oggi come ieri, non mancano mai nella vita apostolica (cfr. At 4, 1-31).

E nello stesso tempo in cui agiamo con questa forza, il nostro annuncio vuol essere gentile, per accogliere tutti. Non dimentichiamo questo: tutti, tutti, tutti. Non dimentichiamo quella parabola degli invitati a festa che non sono voluti andare: “Andate agli incroci delle strade e portate tutti, tutti, tutti, buoni e cattivi, tutti” (cfr. Mt 22, 9-10). Lo Spirito ci dà la forza per andare avanti e chiamare tutti con gentilezza, ci dà la gentilezza di accogliere tutti.

Tutti noi, fratelli e sorelle, abbiamo tanto bisogno di speranza, che non è ottimismo, no, è un’altra cosa. Abbiamo bisogno di speranza. La speranza la si raffigura come un’ancora, lì, alla riva, e noi, aggrappati alla corda, verso la speranza. Abbiamo bisogno di speranza, abbiamo bisogno di alzare gli occhi su orizzonti di pace, di fratellanza, di giustizia e di solidarietà. È questa l’unica via della vita, non ce n’è un’altra. Certo, purtroppo, spesso non appare facile, anzi a tratti si presenta tortuosa e in salita. Ma noi sappiamo che non siamo soli: abbiamo questa sicurezza che con l’aiuto dello Spirito Santo, con i suoi doni, insieme possiamo percorrerla e renderla sempre più percorribile anche per gli altri.

Rinnoviamo, fratelli e sorelle, la nostra fede nella presenza, accanto a noi, del Consolatore, e continuiamo a pregare:

Vieni, Spirito Creatore,
illumina le nostre menti,
riempi della tua grazia i nostri cuori,
guida i nostri passi,
dona al nostro mondo la tua pace.
Amen.