· Città del Vaticano ·

Il Papa a Verona
Ai detenuti della Casa Circondariale di Montorio

Non cedere allo sconforto:
la speranza è un diritto

 Non cedere allo sconforto: la speranza è un diritto  QUO-112
18 maggio 2024

Al termine di un fitto programma di incontri Papa Francesco ha concluso la mattinata veronese recandosi in automobile presso la Casa circondariale di Montorio. Ecco il testo del discorso pronunciato dal Pontefice.

Cari sorelle e fratelli, buongiorno!

Ringrazio la Signora Direttrice per la sua accoglienza, e il senso dell’umorismo! Il sorriso fa tanto bene. Ringrazio tutti voi, per il calore, la festa e l’affetto che mi mostrate. Un saluto va inoltre a tutti coloro che lavorano in questo istituto: agenti di custodia, educatori, operatori sanitari, personale amministrativo, e volontari. Voglio salutare anche a tutti coloro che stanno guardando dalle finestre: un saluto a tutti voi! Ci tenevo molto a incontrarvi, tutti insieme.

Per me entrare in un carcere è sempre un momento importante, perché il carcere è un luogo di grande umanità. Sì, è un luogo di grande umanità. Di umanità provata, talvolta affaticata da difficoltà, sensi di colpa, giudizi, incomprensioni, e sofferenze, ma nello stesso tempo carica di forza, di desiderio di perdono, di voglia di riscatto, come ha detto Duarte nel suo discorso.

E in questa umanità, qui, in tutti voi, in tutti noi, è presente oggi il volto di Cristo, il volto del Dio della misericordia e del perdono. Non dimenticate questo: Dio perdona tutto e perdona sempre, in questa umanità, qui, in tutti voi. Questo senso di guardare il Dio della misericordia.

Conosciamo la situazione delle carceri, spesso sovraffollate — nella mia terra, pure —, con conseguenti tensioni e fatiche. Per questo voglio dirvi che vi sono vicino, e rinnovo l’appello, specialmente a quanti possono agire in questo ambito, affinché si continui a lavorare per il miglioramento della vita carceraria. Una volta, una signora che lavorava nelle carceri e aveva un bel rapporto con le detenute — però era un carcere femminile —, una mamma di famiglia, molto umana la signora, mi ha detto che lei era devota a una santa. “Ma quale santa?” — “Santa Porta” — “Perché?” — “È la porta della speranza”. E tutti voi dovete guardare a questa porta della speranza. Non c’è vita umana senza orizzonti. Per favore, non perdere gli orizzonti, che si vedranno attraverso quella porta della speranza.

Seguendo le cronache del vostro istituto, con dolore ho appreso che purtroppo qui, recentemente, alcune persone, in un gesto estremo, hanno rinunciato a vivere. È un atto triste, questo, a cui solo una disperazione e un dolore insostenibili possono portare. Perciò, mentre mi unisco nella preghiera alle famiglie e a tutti voi, voglio invitarvi a non cedere allo sconforto, a guardare la porta come la porta della speranza. La vita è sempre degna di essere vissuta, sempre!, e c’è sempre speranza per il futuro, anche quando tutto sembra spegnersi. La nostra esistenza, quella di ciascuno di noi, è importante — noi non siamo materiale di scarto, l’esistenza è importante —, è un dono unico per noi e per gli altri, per tutti, e soprattutto per Dio, che mai ci abbandona, e che anzi sa ascoltare, gioire e piangere con noi e perdonare sempre. Con Lui al nostro fianco, con il Signore al nostro fianco, possiamo vincere la disperazione. E, come ha detto la direttrice, Dio è uno: le nostre culture ci hanno insegnato a chiamarlo con un nome, con un altro, e a trovarlo in maniere diverse, ma è lo stesso padre di tutti noi. È uno. E tutte le religioni, tutte le culture, guardano all’unico Dio con modalità differenti. Mai ci abbandona. Con Lui al nostro fianco, possiamo vincere la disperazione e vivere ogni istante come il tempo opportuno per ricominciare. Ricominciare. C’è una bella canzone piemontese che cercherò di tradurre in italiano che dice così — la cantano gli alpini —: “Nell’arte di ascendere, quello che importa non è non cadere, ma non rimanere caduto”. E a tutti noi che lavoriamo in questo carcere, anche come volontari, ai famigliari, a tutti noi, dico una cosa: è lecito guardare una persona dall’alto in basso soltanto una sola volta: per aiutarlo a sollevarsi. Perciò, nei momenti peggiori, non chiudiamoci in noi stessi: parliamo a Dio del nostro dolore e aiutiamoci a vicenda a portarlo, tra compagni di cammino e con le persone buone che ci troviamo al fianco. Non è debolezza chiedere aiuto, no: facciamolo con umiltà e fiducia e umanità. Tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri, e tutti abbiamo diritto a sperare, al di là di ogni storia e di ogni errore o fallimento. È un diritto la speranza, che mai delude. Mai.

Tra pochi mesi inizierà l’Anno Santo: un anno di conversione, di rinnovamento e di liberazione per tutta la Chiesa; un anno di misericordia, in cui deporre la zavorra del passato e rinnovare lo slancio verso il futuro; in cui celebrare la possibilità di un cambiamento, per essere e, dove necessario, tornare ad essere veramente noi stessi, donando il meglio. Sia anche questo un segno che ci aiuti a rialzarci e a riprendere in mano, con fiducia, ogni giorno della nostra vita.

Care amiche e cari amici, grazie per questo incontro. Vi dico la verità: mi fa bene. Voi mi state facendo bene, grazie. Continuiamo a camminare insieme, perché l’amore ci unisce al di là di ogni tipo di distanza. Vi ricordo nella preghiera e vi chiedo, per favore, di pregare per me: a favore, non contro! Pregate per me. E non dimenticate: “Nell’arte di salire quello che importa non è non cadere, ma non rimanere caduto”. Grazie.

Dopo la consegna dei doni, il Pontefice si è rivolto ai presenti con le parole che pubblichiamo di seguito, infine ha pranzato con un centinaio di detenuti.

E adesso io darò un dono al carcere. Lo darò alla direttrice. Questo dono... Ho pensato a una virtù che Dio ha, e che noi dimentichiamo, no? Perché Dio ha tre virtù principali: vicinanza, compassione e tenerezza. Dio è vicino a tutti noi, Dio è compassionevole e Dio è tenero. E ho pensato alla tenerezza — non si parla tanto della tenerezza —, ho pensato a questo dono: la Madonna con il bambino che è proprio un gesto di tenerezza. E ho pensato anche che la figura di Maria è una figura comune sia al cristianesimo sia ai musulmani, è una figura comune, ci unisce tutti.

Adesso vorrei darvi la benedizione, ma la darò in silenzio, così ognuno la riceve da Dio nella modalità che crede. Un minuto di silenzio e do la benedizione a tutti voi.

Dopo la benedizione il Papa ha così concluso l’incontro.

Che il Signore vi benedica, vi aiuti ad andare avanti sempre, vi consoli nella tristezza e sia il vostro compagno nella gioia. Amen.

Buon pranzo e arrivederci!


Uno spazio di ascolto


La nostra missione è «intercettare e accompagnare percorsi di vita cercando ogni giorno e con ogni sforzo» di non essere «carcere abitato da carcerieri e carcerati»; ma piuttosto un luogo dove, «nel rispetto di quelle regole che consentono la convivenza di una così ampia e multietnica comunità», ciascuno possa trovare «uno spazio di ascolto, una mano tesa, uno sguardo». Lo ha detto la direttrice della Casa circondariale di Montorio, Francesca Gioieni, nel saluto a Papa Francesco. 

Quando — ha aggiunto —  «ci domandano del carcere e del nostro lavoro qui, facciamo davvero fatica a rendere credibile il nostro impegno e le nostre capacità». Nonostante «le difficoltà, i grandi numeri di presenza, le differenti etnie e lingue» — ha assicurato la direttrice — «noi improntiamo ogni singola azione e decisione al rispetto delle dignità di ogni detenuta o detenuto a noi affidato: è un lavoro che scegliamo ogni giorno o che sceglie noi tutte le volte in cui riceviamo in cambio un grazie o un sorriso», nella consapevolezza che a chi «ha mostrato le sue fragilità ed i suoi limiti umani» violando la legge, non si può «negare umanità e dignità».


La famiglia elemento di speranza


Attualmente nel carcere di Montorio ci sono 592 persone detenute provenienti dalle più disparate regioni del mondo: dall’Italia al Marocco, dall’Albania alla Nigeria, dall’India al Pakistan alla Romania, dalla Tunisia alla Polonia, dalla Costa D’Avorio al Guatemala, dalla Moldavia allo Sri Lanka. È uno spaccato del mondo intero quello che Duarte,  uno tra i detenuti più giovani, ha presentato a Papa Francesco.  

Nel suo saluto ha espresso al Pontefice la gioia e la commozione di tutta la comunità carceraria per la visita del Pontefice. Ad oggi, ha fatto notare, «ci sentiamo spesso giudicati ed esclusi dalla società civile». Da la speranza che la presenza di Francesco «apra i cuori e le menti del mondo esterno per accoglierci come liberi cittadini dopo che avremo riparato agli errori commessi». La famiglia, ha aggiunto,  «per noi è un elemento di speranza e ci aiuta a restare legati al mondo esterno»; anche se, ha aggiunto, alcuni purtroppo «non hanno la fortuna di avere una famiglia di riferimento oppure degli affetti vicini che possano sostenerli».