Verso la Giornata mondiale dei bambini/6
Un tablet fra le dita e lo sguardo fisso allo schermo pieno di vivaci colori. Un bambino un po’ troppo vivace che, una volta avuto in mano un iPhone, rimane in silenzio davanti al piccolo riquadro che ha davanti. Sono queste solo alcune delle immagini alle quali da diverso tempo siamo ormai abituati. Ci parlano del rapporto dei bambini con le nuove tecnologie. Ed è proprio questo delicato tema a chiudere il nostro viaggio nel mondo dell’infanzia in vista della prima Giornata mondiale dei bambini in programma a Roma il 25 e 26 maggio. Il tema è assai delicato entrando in gioco inevitabilmente molteplici fattori: tutti importanti, tutti concatenati tra loro; a volte, sembrano anche contraddirsi. Con una superficiale e facile considerazione si potrebbe affermare che la tecnologia, il digitale, siano d’intralcio alla creatività dei bambini, alla loro fantasia. Non è del tutto vera questa visione né tanto meno esaustiva.
A indagare su un tale argomento, dal 2006, è il Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’innovazione e alla tecnologia (Cremit) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, frutto della crescita progressiva di un gruppo di lavoro e di un programma di ricerca che è andato consolidandosi nel tempo a partire dal 1998, anno della prima edizione del corso di perfezionamento in media education (il primo in Europa) della stessa realtà universitaria milanese. «L’Osservatore Romano», per poter scoprire le potenzialità che il mondo digitale può offrire a ogni bambino, ha ascoltato due autorevoli voci di questo laboratorio di ricerca: Michele Marangi, docente di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento e autore di Addomesticare gli schermi. Il digitale a misura dell’infanzia 0-6 (Editrice Morcelliana, Brescia, 2023, pagine 224, euro 18) e Simona Ferrari, professoressa associata di Didattica e tecnologie per l’apprendimento. Marangi ci spiega che «secondo le ricerche sulla mediazione genitoriale dell’uso del digitale da parte dei bambini, le pratiche adottate dai genitori possono essere suddivise in due categorie: mediazione abilitante e mediazione restrittiva. La restrittiva implica il controllo o la limitazione dell’accesso dei bambini alla tecnologia digitale, mentre quella abilitante incoraggia un suo uso positivo e responsabile». Sebbene la mediazione restrittiva possa limitare l’esposizione dei bambini ai rischi online, presenta diversi effetti collaterali tra cui «il rallentamento dello sviluppo dell’alfabetizzazione digitale e della resilienza, oltre a scoraggiare l’interazione figlio-genitore», continua il ricercatore.
Tuttavia esiste anche l’opportunità di adottare un approccio creativo e positivo nei confronti della tecnologia digitale. Ed è proprio quest’ultima visione a essere al centro della ricerca del Cremit. È necessario prima di tutto partire da una considerazione avallata da diversi esperti di psicologia e dai medici dell’infanzia: tra 0 e 3 anni è importante che i bambini non siano a contatto con gli schermi. Allo stesso tempo bisogna considerare che il digitale è parte integrante della nostra vita e pertanto, afferma Marangi, «dovremmo passare dall’idea di un mondo online o offline a concepire la vita come un continuum digitale e reale, definendola come onlife. Questa prospettiva ci invita a riconoscere che le esperienze digitali e quelle offline si intrecciano e influenzano reciprocamente, delineando un panorama unificato in cui la tecnologia è un elemento intrinseco alla nostra esistenza quotidiana, concetto che emerge anche dalle riflessioni del filosofo Luciano Floridi». Bisogna, allora, comprendere che le nuove tecnologie sono attorno a noi e non è possibile chiudere gli occhi davanti a esse. L’importante è l’uso che ne facciamo. Il digitale può essere di aiuto a scoprire nuovi mondi. Marangi, al riguardo, tiene a precisare: «Il digitale problematico è quello che ti fa rimanere fermo: sia mentalmente sia fisicamente. Il digitale pedagogico è invece quello che ti dà degli stimoli, che ti spinge a creare: è quello che ti fa interagire con il mondo della scoperta. Non si tratta di essere passivi davanti alla tecnologia bensì di interagire con questa in maniera creativa, cioè che riesce a far fare ai bambini azioni, giochi, interazioni al di fuori dello schermo».
Un esempio di digitale pedagogico è rappresentato dalla possibilità per i bambini di creare storie dopo aver guardato video-racconti. Questo processo non solo stimola la loro immaginazione e creatività ma li coinvolge nell’apprendimento e nella narrazione, incoraggiando la partecipazione attiva e la costruzione di competenze linguistiche e narrative. Ed è in questo caso che entra in gioco il supporto degli adulti o dei coetanei perché «la tecnologia pedagogica è quella che riesce a creare soprattutto comunità. Dopo aver visto un video bisognerebbe dare al bambino la possibilità di parlarne con un genitore e creare così qualcosa assieme agli altri bambini», conclude il docente.
Il discorso si amplia per gli adolescenti. Simona Ferrari spiega quanto sia importante anche nella fascia di età 7-14 l’essere soggetti attivi davanti agli schermi: «Penso alle app delle quali gli adolescenti fanno uso. Far comprendere cosa ci sia dietro un’app, allora, diviene fondamentale per non correre il rischio di rimanere soggetti passivi. Non è bene aspettarci di soddisfare ogni bisogno grazie al digitale. L’atteggiamento che dovrebbe animare gli adolescenti è la consapevolezza di essere soggetti attivi che dialogano con il mondo digitale anziché esserne passivi fruitori». È per questo che ogni scuola dovrebbe essere dotata di un educatore digitale. L’educazione in tale contesto significa soprattutto porre domande stimolanti e coltivare il desiderio di scoperta in ogni adolescente: l’adolescenza è un’età cruciale per comprendere e interiorizzare dinamiche essenziali per la crescita personale.
«Il digitale possiede tutte le potenzialità per aiutare gli adolescenti a sviluppare una visione critica del mondo. Tuttavia — osserva la docente — affinché ciò avvenga in modo efficace è fondamentale un’educazione mirata che insegni loro a utilizzare le risorse digitali in modo responsabile e consapevole, incoraggiandoli a esplorare, analizzare e valutare in modo critico le informazioni che incontrano online. In tal modo il digitale diventa uno strumento di arricchimento e crescita personale piuttosto che una fonte di dipendenza o distrazione». Inoltre, «per ridurre i rischi e massimizzarne le potenzialità è necessario un adulto che accompagni la mediazione, sostenendo l’incremento della competenza digitale nelle tre dimensioni: critica, etica ed estetico-creativa. Il risultato? Non subisco il digitale ma comprendo cosa avviene dietro lo schermo e come entra in relazione con i diversi aspetti della vita: il suo essere onlife».
di Antonio Tarallo