· Città del Vaticano ·

Per raccogliere le consegne indicate dal Papa agli Stati generali della Natalità

Liberi di scegliere il proprio futuro liberi di amare
il bene comune

 Liberi di scegliere il proprio futuro liberi di amare il bene comune  QUO-110
16 maggio 2024

La parola chiave dell’ultima edizione degli Stati generali della natalità, svoltisi a Roma il 9 e 10 maggio scorsi, è stata “libertà”. Lo era già nelle nostre intenzioni: concentrare il tema sui giovani e sul futuro, affinché tutti possano sempre fare scelte libere.

Perché non si tratta di convincere i giovani, le giovani coppie, le famiglie, le donne a fare più figli, ma di mettere ciascuno nelle condizioni di decidere liberamente cosa fare della propria vita.

Oggi non è così perché la nascita di un figlio, purtroppo, è una delle prime cause che incide sulla povertà in Italia. In sostanza, oggi è libero di non fare i figli chi i figli non li vuole.

Ma non è altrettanto libero di fare i figli chi i figli li vorrebbe, perché non è messo nelle condizioni di averne. La mia considerazione è suffragata dai dati Istat, secondo cui, in Italia il desiderio delle donne è di avere 2,4 figli per donna mentre invece se ne fanno solamente 1,2.

Per questo, in tutti questi anni, abbiamo sempre cercato di non banalizzare il tema della natalità nel concetto “fare più figli”, ma abbiamo insistito con la parola “libertà”.

Liberi vorremmo sentirci anche noi, papà, mamme e persone appassionate di bene comune, che da cinque anni si “immischiano”, per dirla con Papa Francesco, e dedicano tempo libero ed energie a organizzare quello che è diventato l’evento italiano più importante sul tema della natalità, portando tre volte il Pontefice stesso, i presidenti del consiglio Mario Draghi nella prima edizione e Giorgia Meloni lo scorso anno, oltre a ministri, grandi amministratori delegati di aziende, cantanti, attori, giornalisti, calciatori, influencer e intellettuali. Tutto, con grande fatica e ottimizzando tempo e risorse umane ed economiche, per amore del presente e del futuro delle prossime generazioni. Ci sentiamo animati da quella forza tipica delle mamme e dei papà che non si rassegnano ad un futuro già deciso per i loro figli. L’amore per un figlio è il potere più forte che esiste, capace di spostare veramente le montagne.

La forza di chi dà la vita per un ideale. La forza di chi ha ancora speranza. Di chi volontariamente e indipendentemente dai simboli di partito prova a dare il suo contributo e a fare da pungolo per quella che è la nuova questione sociale: la natalità.

La nostra missione è provare a far tornare una primavera demografica, in sintonia con quanto ci ha detto Papa Francesco intervenendo al nostro evento lo scorso 10 maggio: «Il numero delle nascite è il primo indicatore della speranza di un popolo. Senza bambini e giovani, un Paese perde il suo desiderio di futuro». E non smetteremo mai di sottolineare che, attualmente, l’unico “leader” che parla concretamente di futuro è il Pontefice, che, con fermezza, chiede un impegno maggiore ai Governi del mondo e alla fine abbraccia i bambini del coro che lo ha accolto sul nostro palco, che ricorda come l’Europa da “vecchio continente” stia diventando sempre più un “continente vecchio”, in un mondo dove armi e anticoncezionali sono gli «investimenti che danno più reddito», e dove le madri sono costrette a scegliere tra famiglia e lavoro, e, da quello stesso palco, con grande tenerezza, ricorda l’importanza dei nonni e regala caramelle ai figli dei nostri ospiti.

La vicinanza di Papa Francesco ci conferma che siamo sulla strada faticosa ma giusta. Non ci rassegniamo al declino del nostro Paese. Non ci rassegniamo a vedere andare via i nostri figli. Non vogliamo vivere questo tempo con angoscia, ma con la consapevolezza e la responsabilità di chi sente di dover provare necessariamente a fare tutto il possibile per fermare questa “emorragia di vita”.

Abbiamo perso oltre trent’anni a dibattere sulle possibili cause della denatalità, a fare analisi cervellotiche che non hanno portato a nulla, ad allarmarci e commentare i dati, senza trasformarli in impegno politico. Abbiamo perso trent’anni, e adesso non vogliamo — non possiamo — continuare a perdere tempo.

Lo dobbiamo ai giovani, ma anche ai più fragili, i più poveri, i disabili che saranno i primi a rimetterci quando crolleranno il sistema sanitario, il sistema previdenziale, il welfare e il Pil dell’Italia. La natalità unisce e non divide. Se non facciamo niente, quando crollerà tutto, crollerà addosso ad uno dei tanti governi che ci saranno da qui ai prossimi trent’anni.

Non ci interessa trovare il responsabile di quello che non è stato fatto, ma vogliamo trovare i protagonisti coraggiosi di quello che si potrà fare da adesso in poi, facendo squadra tutti insieme. Magari attraverso un’Agenzia per la natalità, neutra ma non neutrale, che trasformi questo tema che è decisivo per il futuro del Paese in un obiettivo che vada oltre la durata dei governi. Perché i governi passano, ma i nostri figli restano. E, attenzione, non servono figli per pagare le pensioni. I figli non sono frutto di un ragionamento utilitaristico; sono desiderio, dono, amore che si trasmette.

I figli sono il segnale di un Paese che torna a desiderare e ad amare. Per questo, la natalità è oggi la cartina di tornasole attraverso la quale giudicare la politica, l’economia, la società.

Perché i figli non devono essere né un dovere né un lusso, ma una libertà, appunto. Serve coraggio, allora, come ha chiesto Papa Francesco. Il coraggio di cambiare la storia. «Non rassegniamoci a un copione già scritto da altri, mettiamoci a remare per invertire la rotta, anche a costo di andare controcorrente!». Perché il futuro non va aspettato, va costruito.

di Gigi De Palo
Presidente della Fondazione per la Natalità