Il presidente della Pontificia Accademia per la vita, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, ha presentato oggi ai media il viaggio in America in programma dal 17 al 23 maggio prossimi: prima negli Stati Uniti, per una serie di impegni; quindi a Toronto, in Canada, per partecipare a un simposio internazionale sul tema dell’accompagnamento nelle ultime fasi dell’esistenza.
Qual è l’obiettivo della sua tappa canadese?
Il prossimo viaggio che compio su invito della Conferenza episcopale locale, a proposito delle tematiche relative al fine vita e in particolare il tema delle cure palliative, rappresenta un momento particolare proprio perché, in una cultura come quella occidentale, l’argomento deve acquisire una rilevanza che oggi ancora non ha. C’è il rischio di produrre legislazioni che in fondo vogliono escludere il problema attraverso leggi che sono rigide, che tendono a unificare casi diversissimi tra loro, leggi che possono somigliare un po’ a un lavarsene le mani. Invece credo sia un aspetto che dobbiamo affrontare con grande attenzione.
In che modo?
Con la vicinanza, con l’affetto, l’interesse, l’amore. Il dolore fisico può essere drammatico e noi dobbiamo combatterlo; e a mio avviso qui dovremmo esortare i governi a un approfondimento anche scientifico e di ricerca per queste cure che accompagnano il fine vita. Dovremmo esortare le Chiese perché riscoprano l’importanza dell’accompagnamento per una effettiva buona morte, che per noi credenti è passaggio alla vita con Gesù. Dovremmo aiutare anche tutte le altre religioni o gli uomini di buona volontà, perché in quel momento finale ognuno di noi ha bisogno di sentire fisicamente la vicinanza. A me pare importante che la riflessione non sia solamente “eutanasia sì, eutanasia no”: è troppo secco. Il problema è come accompagnare, come rendere questo passaggio il meno doloroso possibile e, nello stesso tempo, il meno disperato.
C’è da tracciare anche una strada che guarda al futuro...
Sì, è un discorso importante anche per le generazioni che vengono. Riflettere sul fine vita significa anzitutto capire questo: ma è davvero la fine della vita? La filosofia quantistica ci dice di no, perché comunque, semmai, restiamo energia. La Rivelazione cristiana ci dice che la morte è un passaggio non è la fine. Ritengo questa riflessione attorno alle cure palliative o al fine vita un tema enorme, che riguarda tutte le componenti della società, da quelle mediche a quelle scientifiche a quelle pedagogiche, a quelle umanistiche a quelle filosofiche a quelle teologiche a quelle psicologiche.
Papa Francesco ha detto che dobbiamo accompagnare le persone nel tratto conclusivo della vita, ma non provocare la morte o facilitare il suicidio assistito. In che modo questo è possibile?
La Pontificia Accademia per la Vita già da qualche anno ha pubblicato uno studio al termine di un congresso internazionale esattamente su questo tema, dove abbiamo delineato dieci punti che descrivono il senso delle cure palliative. Anche quando non si può guarire, si può sempre curare, si deve sempre curare. E anche quando non abbiamo più mezzi per bloccare il cammino della morte, che arriva per tutti, c’è l’esserci. Non c’è più il fare, ma il tenersi per mano, c’è lo stare accanto per mostrare che l’amore è più forte del dolore della morte, che l’amicizia è più forte anche della morte che vuole rompere i legami.
In che modo la Chiesa e la Pontificia Accademia per la Vita in particolare possono confrontarsi in maniera costruttiva anche con le visioni più critiche su questo punto?
Noi dobbiamo continuare a riflettere e a parlare con tutti, perché queste prospettive sono prospettive umanistiche. La fede le illumina, ma la regione le comprende. Ecco perché compito della Chiesa è cercare di de-ideologizzare questi temi. Basterebbe solo un po’ di ragione per comprendere che ogni morte è diversa dall’altra e che quindi andrebbe accompagnata in una maniera personale. Che ciascuna ha bisogno di sue parole, di suoi gesti, di sue presenze. Ritengo dunque che uno dei compiti della Pontificia Accademia per la Vita sia proprio di rendere credibile, anche di quella marcia in più che possiamo avere relativamente a questioni che in realtà interessano tutti, a partire proprio dalla dimensione della ragione.
di Christopher Wells