· Città del Vaticano ·

L’omelia del Papa durante la celebrazione dei secondi Vespri nella solennità dell’Ascensione

Cantori di speranza
in una civiltà segnata
da troppe disperazioni

 Cantori di speranza in una civiltà segnata da troppe disperazioni  QUO-105
10 maggio 2024

«Diventare cantori di speranza in una civiltà segnata da troppe disperazioni»: è la meta indicata da Papa Francesco a quanti si stanno preparando a vivere il Giubileo del 2025, indetto con la bolla «Spes non confundit» che ieri pomeriggio è stata consegnata e letta nel corso della celebrazione svoltasi nell’atrio della basilica Vaticana, dinanzi alla Porta santa. Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta successivamente dal Pontefice durante i secondi Vespri della solennità dell’Ascensione del Signore presieduti all’interno della basilica.

Tra canti di gioia Gesù è asceso al Cielo, dove siede alla destra del Padre. Egli — come abbiamo appena ascoltato — ha ingoiato la morte perché noi diventassimo eredi della vita eterna (cfr. 1 Pt 3, 22 Vulg.). L’Ascensione del Signore, perciò, non è un distacco, una separazione, un allontanarsi da noi, ma è il compimento della sua missione: Gesù è disceso fino a noi per farci salire fino al Padre; è disceso in basso per portarci in alto; è disceso nelle profondità della terra perché il Cielo si potesse spalancare sopra di noi. Egli ha distrutto la nostra morte perché noi potessimo ricevere la vita, e per sempre.

Questo è il fondamento della nostra speranza: Cristo asceso al Cielo porta nel cuore di Dio la nostra umanità carica di attese e di domande, «per darci la serena fiducia che dove è Lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria» (cfr. Prefazio dell’Ascensione).

Fratelli e sorelle, è questa speranza, radicata in Cristo morto e risorto, che vogliamo celebrare, accogliere e annunciare al mondo intero nel prossimo Giubileo, che è ormai alle porte. Non si tratta di semplice ottimismo — diciamo ottimismo umano — o di un’effimera aspettativa legata a qualche sicurezza terrena, no, è una realtà già compiuta in Gesù e che ogni giorno è donata anche a noi, fino a quando saremo una cosa sola nell’abbraccio del suo amore. La speranza cristiana — scrive San Pietro — è «un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1 Pt 1, 4). La speranza cristiana sostiene il cammino della nostra vita anche quando si presenta tortuoso e faticoso; apre davanti a noi strade di futuro quando la rassegnazione e il pessimismo vorrebbero tenerci prigionieri; ci fa vedere il bene possibile quando il male sembra prevalere; la speranza cristiana ci infonde serenità quando il cuore è appesantito dal fallimento e dal peccato; ci fa sognare una nuova umanità e ci rende coraggiosi nel costruire un mondo fraterno e pacifico, quando sembra che non valga la pena di impegnarsi. Questa è la speranza, il dono che il Signore ci ha dato con il Battesimo.

Carissimi, mentre, con l’Anno della preghiera, ci prepariamo al Giubileo, eleviamo il cuore a Cristo, per diventare cantori di speranza in una civiltà segnata da troppe disperazioni. Con i gesti, con le parole, con le scelte di ogni giorno, con la pazienza di seminare un po’ di bellezza e di gentilezza ovunque ci troviamo, vogliamo cantare la speranza, perché la sua melodia faccia vibrare le corde dell’umanità e risvegli nei cuori la gioia, risvegli il coraggio di abbracciare la vita.

Di speranza, infatti, abbiamo bisogno, ne abbiamo bisogno tutti. La speranza non delude, non dimentichiamo questo. Ne ha bisogno la società in cui viviamo, spesso immersa nel solo presente e incapace di guardare al futuro; ne ha bisogno la nostra epoca, che a volte si trascina stancamente nel grigiore dell’individualismo e del “tirare a campare”; ne ha bisogno il creato, gravemente ferito e deturpato dagli egoismi umani; ne hanno bisogno i popoli e le nazioni, che si affacciano al domani carichi di inquietudini e di paure, mentre le ingiustizie si protraggono con arroganza, i poveri vengono scartati, le guerre seminano morte, gli ultimi restano ancora in fondo alla lista e il sogno di un mondo fraterno rischia di apparire come un miraggio. Ne hanno bisogno i giovani, spesso disorientati ma desiderosi di vivere in pienezza; ne hanno bisogno gli anziani, che la cultura dell’efficienza e dello scarto non sa più rispettare e ascoltare; ne hanno bisogno gli ammalati e tutti coloro che sono piagati nel corpo e nello spirito, che possono ricevere sollievo attraverso la nostra vicinanza e la nostra cura.

E inoltre, cari fratelli e sorelle, di speranza ha bisogno la Chiesa, perché, anche quando sperimenta il peso della fatica e della fragilità, non dimentichi mai di essere la Sposa di Cristo, amata di un amore eterno e fedele, chiamata a custodire la luce del Vangelo, inviata a trasmettere a tutti il fuoco che Gesù ha portato e acceso nel mondo una volta per sempre.

Di speranza ha bisogno ciascuno di noi: le nostre vite talvolta affaticate e ferite, i nostri cuori assetati di verità, di bontà e di bellezza, i nostri sogni che nessun buio può spegnere. Tutto, dentro e fuori di noi, invoca speranza e va cercando, anche senza saperlo, la vicinanza di Dio. A noi sembra — diceva Romano Guardini — che il nostro sia il tempo della lontananza da Dio, in cui il mondo si riempie di cose e la Parola del Signore tramonta; tuttavia, egli afferma: «Se però verrà il tempo — e verrà, dopo che l’oscurità sarà stata superata – in cui l’uomo domanderà a Dio: “Signore, allora dov’eri?”, allora di nuovo udrà la risposta: “Più che mai vicino a voi!”. Forse Dio è più vicino al nostro tempo glaciale che al barocco con lo sfarzo delle sue chiese, al medioevo con la dovizia dei suoi simboli, al cristianesimo dei primordi con il suo giovanile coraggio di fronte alla morte. [...] Però Egli attende [...] che noi gli restiamo fedeli. Da questo potrebbe sorgere una fede non meno valida, anzi forse più pura, in ogni caso più intensa di quanto sia mai stata nei tempi della ricchezza interiore» ( R. Guardini , Accettare se stessi, Brescia 1992, 72).

Fratelli e sorelle, il Signore risorto e asceso al Cielo ci doni la grazia di riscoprire la speranza — riscoprire la speranza! —, di annunciare la speranza, di costruire la speranza.


La consegna alle Chiese di Roma e del mondo


Davanti alla Porta santa ancora chiusa, nell’atrio della basilica di San Pietro, Papa Francesco ha presieduto la consegna e la lettura della bolla di indizione del Giubileo 2025 Spes non confundit. Con un invito — contenuto nel documento consegnato idealmente a tutta la Chiesa — che provoca la coscienza del mondo: basta con le armi, perché con i soldi spesi in armamenti si costituisca un fondo mondiale per eliminare la fame, si promuova la pace, si condonino i debiti ai Paesi poveri, si intervenga per arrestare il calo della natalità, si provveda a una dignitosa accoglienza per i migranti e si rispetti il creato.

Il rito si è svolto giovedì pomeriggio, 9 maggio, solennità dell’Ascensione del Signore. Dopo il saluto liturgico, il Pontefice ha introdotto la celebrazione e consegnato la bolla agli arcipreti delle basiliche papali, ad alcuni rappresentanti della Chiesa sparsa nel mondo e ai protonotari apostolici: hanno ricevuto il testo dalle sue mani il cardinale Mauro Gambetti, arciprete della basilica di San Pietro; il vescovo Guerino Di Tora, vicario dell’arciprete della basilica di San Giovanni in Laterano; il cardinale Stanisław Ryłko, arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore; il cardinale James Michael Harvey, arciprete della basilica di San Paolo fuori le Mura; l’arcivescovo Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione, incaricato della preparazione e celebrazione del Giubileo; il cardinale Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione, in rappresentanza di tutti i vescovi dell’Asia; l’arcivescovo Fortunatus Nwachukwu, segretario del Dicastero per l’evangelizzazione, in rappresentanza di tutti i vescovi dell’Africa; il cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, in rappresentanza di tutti i vescovi delle Chiese d’Oriente; il cardinale Robert Francis Prevost, prefetto del Dicastero per i vescovi, in rappresentanza di tutti gli altri vescovi di competenza; monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia, decano del Collegio dei protonotari apostolici di numero partecipanti, che ha dato lettura di alcuni dei passi più significativi della bolla.

In particolare, il Papa ha stabilito che la Porta santa della basilica di San Pietro sia aperta il 24 dicembre prossimo, giorno in cui inizia il Giubileo. La domenica successiva, 29 dicembre, il Pontefice aprirà quella di San Giovanni in Laterano e il 1° gennaio 2025, nella solennità di Maria Santissima Madre di Dio, verrà aperta quella della basilica di Santa Maria Maggiore. Il 5 gennaio sarà poi la volta di San Paolo fuori le Mura. Queste tre Porte sante saranno chiuse alla fine del prossimo anno, entro domenica 28 dicembre. Invece il 29 dicembre di quest’anno, in tutte le cattedrali e concattedrali, i vescovi celebreranno l’Eucaristia come solenne apertura dell’Anno giubilare. Per offrire ai detenuti un segno concreto di vicinanza, il Papa stesso aprirà una Porta santa in un carcere. Il Giubileo terminerà con la chiusura della Porta santa di San Pietro il 6 gennaio 2026, nella solennità dell’Epifania.

Dopo la lettura della bolla, in processione tutti i presenti si sono diretti verso l’altare della Confessione, all’interno della basilica. Il Papa ha preso posto sotto il pilone di San Longino, da dove ha presieduto la celebrazione dei secondi Vespri della solennità dell’Ascensione del Signore.

Alle intercessioni, si è pregato perché il Signore «distrugga in noi la colpa antica» e ridoni la dignità perduta, perché guidi tutti per la via dell’amore verso di Lui, perché non si sia mai separati dalla Chiesa, perché con il cuore si abiti già nella «casa della gloria» e perché si celebri ai fratelli defunti l’infinita misericordia di Dio.

Il servizio liturgico è stato prestato dai membri dell’Associazione Santi Pietro e Paolo. Al termine, il coro della Cappella Sistina, coadiuvato dal coro guida, ha cantato l’antifona mariana Regina Caeli.

Alla celebrazione erano presenti quaranta cardinali, tra i quali Giovanni Battista Re e Leonardo Sandri, decano e vice decano del Collegio cardinalizio, e Pietro Parolin, segretario di Stato, una cinquantina di vescovi, sei protonotari apostolici, numerosi prelati e ventuno canonici del Capitolo di San Pietro.

Con il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede erano gli arcivescovi Edgar Peña Para, sostituto della Segreteria di Stato, Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, e Luciano Russo, segretario della sezione per il Personale di ruolo diplomatico della Santa Sede; e i monsignori Roberto Campisi, assessore, e Javier Domingo Fernández González, capo del Protocollo.