Abbandonati nel deserto, senza acqua né cibo: è il drammatico destino di centinaia di migranti dell’Africa subsahariana che le autorità di Tunisi hanno forzatamente deportato a Jendouba, al confine con l’Algeria. La loro “colpa”? Essere migranti irregolari. Come se l’irregolarità fosse sinonimo di nullità della persona.
Da tempo in Tunisia si respira un clima ostile contro le persone di origine subsahariana che si rifugiano nel Paese, in attesa di proseguire il loro “viaggio della speranza” verso l’Europa. Molte di loro si erano accampate davanti agli uffici dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) di Tunisi. Ma la polizia ha fatto più volte irruzione nei campi, sgomberandoli e caricando i migranti su pullman diretti verso il deserto. Alcune testimonianze riferiscono di gas lacrimogeni e di tende date alle fiamme. Venerdì scorso circa 550 persone sono state sgomberate dalle forze di sicurezza e solo ieri almeno 400 migranti irregolari sono stati respinti verso la Libia. «La Tunisia non sarà un Paese di insediamento per questi migranti», ha detto il presidente, Kaïs Saïed.
Tra i deportati nel deserto ci sono anche donne e bambini, come Freedom, di soli 4 mesi. «L’ho chiamato così perché ho bisogno di libertà», aveva raccontato recentemente sua madre, Gift, all’emittente Al-Jazeera. Ora di lei e e di suo figlio si sono perse le tracce. Chi viene abbandonato nel deserto cerca di raggiungere altri campi provvisori come quello di Sfax dove, secondo l’Oim, al momento si sarebbero rifugiate circa 15.000 persone, in condizioni igienico-sanitarie critiche. Della loro dignità, dei loro sogni a Tunisi restano solo macerie, o meglio, rifiuti. Come quelli che i netturbini hanno rimosso dagli accampamenti di fortuna. Un colpo di scopa alla spazzatura, un colpo di scopa all’umanità.