· Città del Vaticano ·

L’esercito israeliano intima l’evacuazione, civili in fuga dalla città. Si allontanano le prospettive di un’intesa per una tregua a Gaza

Col fiato sospeso per Rafah

A displaced Palestinian girl holds a child as she walks at a tent camp on a rainy day, amid the ...
06 maggio 2024

Tel Aviv , 6. Si allontanano per l’ennesima volta le prospettive di una tregua nella Striscia di Gaza, mentre si avvicina invece sempre di più l’operazione via terra a Rafah, la città al confine con l’Egitto, dove sono stipati circa 1,5 milioni di sfollati. «Comincerà molto presto», ha minacciato il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, il quale — parlando con il capo del Pentagono, Lloyd Austin — ha affermato che Hamas «non ha lasciato altra scelta a Israele» e ciò «significa l’inizio di un’operazione».

La tensione è salita stamattina quando l’esercito israeliano ha iniziato a intimare ai palestinesi, anche con il lancio di volantini dal cielo, di evacuare i quartieri orientali della città, quelli vicini al confine con Israele, in vista di un’offensiva «contro le organizzazioni terroristiche nell’area in cui risiedono attualmente». I civili sono stati chiamati a spostarsi in una zona umanitaria ampliata nelle aree di al-Mawasi e Khan Younis, ma il portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf), Nadav Shoshani, ha precisato che al momento si tratta di «un’operazione temporanea e di portata limitata» (riguarderebbe 100.000 persone che avranno «alcuni giorni» per spostarsi). In tanti hanno già iniziato a fuggire a piedi, in auto e su carri trainati da cavalli, mentre fonti egiziane — riprese dalla Dpa — hanno smentito che il valico sia stato chiuso per impedire alla gente di entrare e uscire dal confine. Al termine dell’evacuazione dovrebbe iniziare l’operazione militare, approvata ieri sera dal gabinetto di guerra.

La comunità internazionale, in primis gli Stati Uniti, è fortemente contraria all’attacco via terra. E forse non è un caso che per la prima volta dal 7 ottobre l’amministrazione del presidente Joe Biden abbia deciso di bloccare una spedizione di armi in Israele. La notizia era stata anticipata dal sito Axios ed è stata poi confermata anche dal consiglio per la sicurezza nazionale, che ha specificato come tuttavia la Casa Bianca non cambierà «la politica di sostegno ad Israele».

Intanto in un raid avvenuto nel corso della notte sulla stessa città di Rafah, nella zona del campo profughi di Yebna e nei pressi di Al Salam, sono state uccise al momento 21 persone. Dall’altra parte, tre soldati israeliani sono morti e 12 sono rimasti feriti ieri dai razzi lanciati nella zona di Kerem Shalom, il principale punto di passaggio degli aiuti umanitari da Israele alla Striscia. L’attacco è stato rivendicato dalle Brigate Ezzedine al-Qassam.

L’ottimismo per i negoziati, espresso a più riprese nei giorni scorsi anche da fonti egiziane vicine ai mediatori del Cairo, è stato cancellato dalle posizioni di Israele e Hamas, che rimangono tuttora decisamente distanti e si accusano reciprocamente di essere responsabili del fallimento delle trattative. Hamas insiste sullo stop definitivo delle ostilità e il ritiro «totale» dell’Idf da Gaza. È stato lo stesso leader della fazione islamica palestinese, Ismail Haniyeh, a ribadire la linea del movimento: «Hamas vuole raggiungere un’intesa globale che ponga fine all’aggressione, garantisca il ritiro dell’esercito e raggiunga un serio scambio di prigionieri. Ma che senso ha un accordo se il cessate-il-fuoco non è il primo risultato?». Condizioni che però sono state giudicate dal premier israeliano, Benyamin Netanyahu, come diktat inaccettabili. «È Hamas che impedisce un accordo per il rilascio degli ostaggi», ha subito ribattuto Netanyahu, aggiungendo che Israele non può arrendersi alle «richieste estreme» dei miliziani e quindi «continuerà a combattere fino al raggiungimento di tutti i suoi obiettivi».

Dopo il nuovo stallo dei negoziati al Cairo, oggi i mediatori di Usa, Egitto e Qatar tentano una nuova riunione di emergenza a Doha, mentre il conflitto sta per entrare nel suo ottavo mese. Anche il capo della Cia, William Burns, è giunto in Qatar, dove ieri sera ha incontrato il primo ministro dell’emirato, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, per discutere le modalità di ripresa dei colloqui. Domani è atteso invece in Israele, dove secondo media locali dovrebbe incontrare Netanyahu e il capo del Mossad, David Barnea.

Nelle ultime ore si è registrata la dura presa di posizione del governo israeliano contro la principale emittente araba, la qatarina Al Jazeera. All’unanimità l’esecutivo ha stabilito l’oscuramento delle trasmissioni, la chiusura delle attività e la confisca delle attrezzature della tv, accusata di essere «il megafono» di Hamas a Gaza e di «istigare» l’odio contro Israele. Una decisione definita da Al Jazeera come «criminale».

Sul fronte libanese, infine, rimane l’allarme rosso. Gli Hezbollah hanno dichiarato di aver lanciato «dozzine di razzi Katyusha» contro una base israeliana nelle alture di Golan in rappresaglia per un attacco nell’est del Paese dei cedri. E anche ieri una quarantina di missili sono piovuti sul nord di Israele, e un’altra ventina sulla città di Kiryat Shmona.