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Bailamme

Maggio, o dell’abbondanza

 Maggio, o dell’abbondanza  QUO-100
03 maggio 2024

«Ben venga Maggio / e il gonfalon selvaggio: / ben venga primavera / che vuol l’uom s’inamori», così canta Angelo Poliziano e coglie l’essenza di questo mese rigoglioso, energico, potente. Di quella potenza che più grande non esiste: l’amore. Alla forza vitale di maggio non si resiste, si viene travolti perché qui c’è qualcosa “di più”. E proprio questo significa il nome antico, Maius, attribuito dagli antichi romani al terzo (o quinto) mese dedicato alla divinità latina Maia, dea dell’abbondanza e della fertilità, che rappresenta la grande madre terra. Quel ritorno della vita sulla terra, dopo il freddo invernale, già intravisto a marzo e poi ad aprile, ora si realizza in pienezza, con potenza e splendore. E infatti a maggio si canta. Le celebrazioni e le cerimonie dedicate a questo mese sono antichissime. La più diffusa forse è quella di calendimaggio per cui si portava in processione, il primo giorno del mese un ramo o un albero fiorito, detto appunto maggio (anticamente maio). Lo portavano i giovani innamorati (maggiaioli) e lo depositavano davanti alla casa dell’amata o al centro della piazza del villaggio. La processione era accompagnata da danze, canti popolari o composizioni poetiche (maggiolate). Maggio (spesso al plurale i maggi) è anche il nome della canzone che si cantava durante tali feste e della rappresentazione scenica popolare basata su leggende medievali sacre o eroiche che si svolgeva sempre in occasione delle calende di maggio, ancora diffusa nell’Appennino tosco-emiliano (a Firenze è tuttora viva la tradizione del Maggio musicale fiorentino, manifestazione musicale annuale, nata nel 1933).

Da maggio poi proviene “maggese” che, come sostantivo, indica una pratica agricola che consiste nel lasciare un terreno a riposo per qualche tempo (in genere un anno), dopo averlo opportunamente arato, allo scopo di permettergli di ricostituire le riserve di fertilità. Il termine indica anche, per estensione, il terreno stesso sottoposto a tale trattamento per cui Giovanni Pascoli canta: «Il vento soffia e nevica la frasca, / e tu non torni ancora al tuo paese! / quando partisti, come son rimasta! / come l’aratro in mezzo alla maggese».

A maggio l’uomo canta, s’innamora e quindi non può morire: «Ninetta mia, crepare di maggio/ ci vuole tanto, troppo coraggio./ Ninetta bella, dritto all’inferno / avrei preferito andarci in inverno» sussurrava con l’ultimo fiato il Piero di De Andrè, sepolto nei campi di grano in mezzo mille papaveri rossi, una scena forse ripresa da questi versi di Attilio Bertolucci: «Ancora vita il tuo dolce rumore /dopo giorni bui e muti riprende. / Porta il vento di maggio l’odore / del fieno, il cielo immobile splende. / Gli occhi stanchi colpisce di lontano / il rosso papavero in mezzo al tenero grano».

di Andrea Monda