· Città del Vaticano ·

Concluso l’Incontro “parroci per il Sinodo”

Discepoli missionari
con il Popolo di Dio

 Discepoli missionari  con il Popolo di Dio  QUO-100
03 maggio 2024

Raccolti attorno alla mensa eucaristica in San Pietro i centonovantacinque sacerdoti convenuti a Roma dai cinque Continenti — in rappresentanza di oltre cento Paesi — per l’Incontro internazionale «Parroci per il Sinodo» hanno affidato al Signore le attese per la prossima assise sinodale in programma ad ottobre prossimo.

La celebrazione della messa nella basilica vaticana, subito dopo l’udienza con Papa Francesco che ha consegnato ai partecipanti una Lettera per i parroci di tutto il mondo, ha concluso i lavori svoltisi dal 29 aprile al 2 maggio. I primi due giorni l’iniziativa di ascolto, preghiera e discernimento — promossa dalla Segreteria generale del Sinodo e dal Dicastero per il clero, insieme ai Dicasteri per l’Evangelizzazione (Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari) e per le Chiese Orientali — si è tenuta presso la Fraterna Domus di Sacrofano alla porte di Roma, mentre il 2 maggio ha avuto un’appendice in Vaticano.

Durante l’incontro di ieri mattina con il Papa nell’Aula del Sinodo, il cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e Relatore generale della xvi assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, ha pronunciato un breve intervento sottolineando che «la sinodalità deve incominciare dalla base, a livello locale, altrimenti parliamo soltanto di teorie, di strutture vuote di vita». In effetti, la sinodalità «non è un sistema, ma è la vita stessa della Chiesa».

Il porporato ha presentato al Papa «i parroci che camminano con il loro gregge; sono loro che ascoltano le speranze e i dolori delle comunità affidate alla loro cura pastorale». Infatti, ha aggiunto, essi «vivono con il gregge», ne «respirano la stessa aria; sono loro che mangiano e bevono con il loro gregge, che hanno le stesse lacrime e le stesse gioie». E sono chiamati «a essere discepoli missionari insieme con tutto il popolo di Dio».

La realtà in cui vivono «è ben diversa nei diversi continenti: da una società a maggioranza cristiana a una società post-cristiana, da una piccola chiesa tra diverse religioni, a una Chiesa cattolica in un’altra maggioranza cristiana». Sono pastori, ha fatto notare Hollerich, «in società ricche, saziate e sono i pastori in società povere dove si fa sentire il grido per la giustizia». E soffrono «del cambiamento di epoca».

Tante volte «la loro formazione e la loro realtà si sono orientate a un modello tridentino del sacerdozio». E ora vedono che «l’identità che avevano per secoli, si sta sgretolando, e qualche volta questa identità è persa». Allora, ha osservato il porporato, «sono in mancanza di identità e c’è il pericolo di voler costruirsi una nuova identità basata sull’esperienza del passato». Ma, ha aggiunto il cardinale, «l’identità non si costruisce, l’identità ci è data nella vita. L’identità si vive». Sono i rapporti, «le relazioni che formano l’identità. Se siamo nel seguito di Gesù, lo Spirito Santo ci da, pian piano, una nuova identità».

L’identità dei sacerdoti e dei parroci, anche dei vescovi, «è data dallo Spirito Santo quando camminiamo con il popolo». Allora i sacramenti non sono più «l’espressione di un ritualismo in ricerca di identità, ma diventano un rito vero dove Dio si comunica al suo popolo».

Al termine della messa in San Pietro — presieduta dal cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo, concelebrata dai cardinali Hollerich, Luis Antonio Tagle e Lazzaro You Heung-sik — il vescovo sottosegretario Luis Marín de San Martín e una rappresentanza dei parroci hanno incontrato i giornalisti presso la Sala stampa della Santa Sede, attualmente in via dell’Ospedale, 1. Il presule agostiniano ha spiegato che in vista della seconda fase sinodale si è voluta promuovere la convocazione di una rappresentanza di parroci da tutto il mondo, per discutere di sinodalità, raccontando e condividendo le azioni di vita pastorale e di evangelizzazione. Questo, ha detto il presule, è il modo migliore per parlare di sinodalità: essa, infatti, non è solo teoria, non è solo strutture, ma è l’esperienza di Cristo e del Vangelo in mezzo al mondo».

Tra gli intervenuti , il sacerdote portoghese Adelino Guarda, parroco della diocesi di Leiria-Fátima, ha detto di aver scoperto la sinodalità durante la pandemia da Covid-19. Anche Stefan Ulz, prete della diocesi austriaca di Graz-Seckau, ha spiegato che si sente più di un parroco, in quanto responsabile di sette comunità parrocchiali accorpate in un’unità pastorale. «La sfida — ha osservato — è stata quella di aver creato un unico gruppo nel quale sono rappresentate tutte le unità». Dall’arcidiocesi di Cracovia, il presbitero Pawel Baran ha sottolineato cosa voglia dire essere missionari della sinodalità: «condividere progetti per costruire comunità migliori».

di Nicola Gori