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Il magistero

 Il magistero  QUO-099
02 maggio 2024

Venerdì 26 aprile

Esercitare
la logica per contrastare
l’abuso
dei nuovi
media

Il gioco della dama ha due belle caratteristiche: stimola la mente ed è accessibile a tutti. Richiede intelligenza, abilità e attenzione, ma non grandi mezzi e strutture. È uno di quei giochi con cui, ovunque ci si trovi, si può facilmente creare un momento di incontro e divertimento: bastano una scacchiera e le pedine, due giocatori, ed è un modo simpatico di stare insieme.

Questo fa sì che la dama sia un gioco per tutti, praticato in varie parti del mondo. Risulta uno degli svaghi più comuni tra i migranti che approdano sulle nostre coste: tanti di questi fratelli e sorelle, in situazioni di grande incertezza e apprensione, trovano sollievo giocando a dama, a volte anche insieme alla gente che li accoglie, nella semplicità e condivisione.

È un gioco che fa esercitare la capacità logica, e ce n’è bisogno, perché l’abuso dei nuovi media invece la fa addormentare!

In un mondo caratterizzato dall’individualismo, che rischia di diventare isolamento, questo [gioco] fa circolare aria pulita, fresca.

Tenere vivi i momenti di spiritualità che associate agli eventi più importanti.

(Alla Federazione italiana dama)

Sabato 27

Riempire
di Dio
una terra
svuotata

Vedo in voi due cose. La prima, un mosaico di razze, culture, età che si sono incontrate per rispondere alla chiamata di Gesù al sacerdozio ministeriale. La seconda, il fatto che vi state formando in un luogo che forse per molti era impensabile; una terra ricca di storia e tradizione, di gente vigorosa “per il clima e i costumi”, ma che ora definite come “la España vaciada”, la Spagna svuotata.

Mi viene in mente il bel Cantar de mio Cid quando parla di Burgos: «Il Cid Ruy Díaz a Burgos entrava; al seguito aveva sessanta pennoni. Uscivano a vederlo, gli uomini e le donne: le genti di Burgos alle finestre stanno piangendo dagli occhi».

Mi viene sempre in mente questo quando parlo di Burgos. Sono stato lì, nel Settanta in visita all’arcivescovo di allora, che era parente di un mio zio politico.

Nel riflettere sul motivo per cui Dio ci ha portati nel luogo in cui siamo, è bene ricordare il brano di Luca in cui Gesù invia i suoi discepoli «dove [lui] stava per recarsi».

È un buon criterio di discernimento e di esame, perché lo possiamo tradurre nella nostra realtà con poche semplici parole: “Gesù mi vuole in questa terra svuotata per riempirla di Dio”, ossia, perché lo renda presente tra i fratelli, affinché costruisca comunità, costruisca Chiesa, Popolo.

Questo proposito si realizza se si è un gruppo eterogeneo che conosce l’accoglienza e l’arricchimento reciproco.

Senza carità verso Dio e i fratelli, senza camminare “a due a due” — come dice l’evangelista —, non possiamo portare Dio.

Mostrare al Signore una disponibilità assoluta, “pregandolo” di mandare noi, anche se sembriamo poco rispetto a un lavoro tanto grande.

E dopo l’atteggiamento di abbandono e fiducia, che il vuoto si faccia solo nel nostro cuore per accogliere Dio e il fratello. Liberandoci dalle false sicurezze umane.

Avere Dio in noi riempie di pace, una pace che possiamo comunicare, portare a tutti i popoli e città, desiderare per ogni luogo.

In tal modo colmerete con la vostra luce i campi che ora sembrano sterili, fecondandoli di speranza.

(Alla comunità del seminario spagnolo di Burgos)

Lunedì 29

Condividere
le diversità
in un mondo di egoismi e particolarismi

Mi fa piacere incontrarvi in occasione dei vostri Capitoli, che sono eventi sinodali fondamentali per ogni Congregazione religiosa. Soprattutto ad essi è affidata la tutela del patrimonio di intenzioni e progetti che lo Spirito ha ispirato ai Fondatori, e di tutto il bene che ne è scaturito.

Si tratta di momenti di grazia, da vivere nella docilità all’azione dello Spirito Santo, facendo memoria grata del passato, ponendo attenzione al presente — nell’ascolto reciproco e nella lettura dei segni dei tempi — e guardando con cuore aperto e fiducioso al futuro, per una verifica e un rinnovamento personale e comunitario.

Passato, presente e futuro entrano in un Capitolo, per ricordare, per valutare e per andare avanti nello sviluppo della Congregazione.

Cari Canossiani, è molto bello vedervi qui, uomini impegnati a seguire Cristo più da vicino sulle orme di una donna, Maddalena di Canossa, di cui ricorrono i 250 anni dalla nascita.

Questa Santa coraggiosa, in un mondo non meno difficile del nostro, si propose di «far conoscere e amare Gesù, che non è amato perché non è conosciuto».

Voi, che volete continuare la sua opera missionaria, avete scelto come tema per i lavori: «Chi non arde non incendia».

A me dà tristezza quando vedo religiosi che sembrano più vigili del fuoco che uomini e donne con ardore per incendiare.

Per favore, non vigili del fuoco! Ne abbiamo già tanti.

Vi impegnate ad ardere per incendiare, ravvivando e alimentando «il dono di Dio che è in voi» per «dare testimonianza al Signore». E lo fate in una famiglia che, in oltre due secoli, si è arricchita di tanti doni.

Presente in sette Paesi e composta da membri di dieci diverse nazionalità, [è] sorretta dalla comunione e dalla collaborazione con le sorelle Canossiane e con una realtà laicale sempre più attiva.

È importante avere i laici coinvolti nella spiritualità di un istituto e che collaborano nel lavoro apostolico.

Si tratta di un’eredità che porta con sé anche delle sfide, ma santa Maddalena vi ha mostrato come si superano le difficoltà: con gli occhi rivolti al Crocifisso e le braccia aperte verso gli ultimi, i piccoli, i poveri e gli ammalati, per curare, educare e servire i fratelli con gioia e semplicità.

Quando il cammino si fa difficile, fate come lei: guardate Gesù Crocifisso e guardate gli occhi e le piaghe dei poveri, e vedrete che lentamente le risposte si faranno strada nei vostri cuori con sempre maggior chiarezza.

Come hanno insegnato anche san Luigi Maria Grignion de Montfort e padre Gabriele Deshayes, alla cui opera si deve la fondazione dei Fratelli di San Gabriele, voi pure siete impegnati a discernere la volontà di Dio per il vostro cammino, in prossimità dei 350 anni dalla nascita di san Luigi Maria.

La vostra famiglia, nata da un piccolo gruppo di collaboratori laici del grande predicatore, oggi conta più di mille religiosi, impegnati nell’assistenza pastorale, nella promozione umana e sociale e nell’educazione — specialmente in favore dei ciechi e dei sordomuti — in trentaquattro Paesi.

Per mantenere viva la vostra presenza, che è profetica, avete scelto di riflettere sul tema «Ascoltare e agire con coraggio».

“Coraggio”: quella parresia apostolica che leggiamo negli Atti degli Apostoli.

È lo Spirito a darci quel coraggio, e noi dobbiamo chiederlo.

Sono due atteggiamenti — l’ascolto e il coraggio — che richiedono umiltà e fede, e che ben rispecchiano lo spirito e l’azione di san Luigi Maria e di padre Deshayes, che vi hanno lasciato un trittico prezioso come bussola: “Dio solo”, la “Croce” — scolpita nel cuore — e “Maria”.

Anche a voi la Provvidenza ha donato la ricchezza di una variegata internazionalità: essa farà tanto bene alla vostra crescita e al vostro apostolato, se la saprete vivere accogliendo e condividendo costruttivamente, tra voi e con tutti, le diversità.

Questo è importante, specie nel nostro mondo, spesso diviso da egoismi e particolarismi: le diversità sono doni preziosi da condividere!

Siate profeti di questo, con la vita. E Colui che fa l’armonia fra le diversità è lo Spirito Santo, maestro dell’armonia.

L’uniformità in un istituto religioso, in una diocesi, in un gruppo laicale, uccide!

La diversità in armonia fa crescere.

Un Capitolo è un «avvenimento di famiglia, ma anche un evento di Chiesa e un avvenimento salvifico».

(Ai capitoli dei Figli della carità “canossiani”
e dei Fratelli di san Gabriele
)

Mercoledì 1 maggio

La fede
è la virtù che fa il cristiano

Oggi vorrei parlare della virtù della fede. Insieme con la carità e la speranza, questa virtù è detta “teologale”. Perché le si può vivere solo grazie al dono di Dio.

Le tre virtù teologali sono i grandi doni che Dio fa alla nostra capacità morale. Senza di esse noi potremmo essere prudenti, giusti, forti e temperanti, ma non avremmo occhi che vedono anche nel buio, non avremmo un cuore che ama anche quando non è amato, non avremmo una speranza che osa contro ogni speranza.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega che la fede è l’atto con cui l’essere umano si abbandona liberamente a Dio.

In questa fede, Abramo è stato il grande padre. Quando accettò di lasciare la terra dei suoi antenati per dirigersi verso la terra che Dio gli avrebbe indicato, probabilmente sarà stato giudicato folle.

Perché lasciare il noto per l’ignoto, il certo per l’incerto? È pazzo? Ma Abramo parte, come se vedesse l’invisibile. Questo dice la Bibbia.

E sarà ancora questo invisibile a farlo salire sul monte con il figlio Isacco, l’unico figlio della promessa, che solo all’ultimo momento sarà risparmiato dal sacrificio.

In questa fede, Abramo diventa padre di una lunga schiera di figli. La fede lo ha reso fecondo.

Uomo di fede sarà Mosè, il quale, accogliendo la voce di Dio anche quando più di un dubbio poteva scuoterlo, continuò a restare saldo e a fidarsi del Signore, e persino a difendere il popolo che invece tante volte mancava di fede.

Donna di fede sarà la Vergine Maria, la quale, ricevendo l’annuncio dell’Angelo, che molti avrebbero liquidato perché troppo impegnativo e rischioso, risponde: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

E con il cuore pieno di fede, di fiducia in Dio, Maria parte per una strada di cui non conosce né il tracciato né i pericoli.

La fede è la virtù che fa il cristiano. Perché essere cristiani non è anzitutto accettare una cultura, con i valori che l’accompagnano, ma è accogliere e custodire un legame con Dio: io e Dio; la mia persona e il volto amabile di Gesù. Questo legame è quello che ci fa cristiani.

Viene in mente un episodio del Vangelo. I discepoli di Gesù stanno attraversando il lago e vengono sorpresi dalla tempesta. Pensano di cavarsela con la forza delle loro braccia, con le risorse dell’esperienza, ma la barca comincia a riempirsi d’acqua e vengono presi dal panico.

Non si rendono conto di avere la soluzione sotto gli occhi: Gesù è lì con loro sulla barca, in mezzo alla tempesta, e Gesù dorme.

Quando finalmente lo svegliano, impauriti e anche arrabbiati perché Lui li lascia morire, Gesù li rimprovera: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».

Ecco, dunque, la grande nemica della fede: non è l’intelligenza, non è la ragione, come, ahimé, qualcuno continua ossessivamente a ripetere, ma la paura.

Per questo la fede è il primo dono da accogliere nella vita cristiana: un dono che va accolto e chiesto quotidianamente, perché si rinnovi in noi.

Apparentemente è un dono da poco, eppure è essenziale. Quando ci hanno portato al fonte battesimale, i nostri genitori, dopo aver annunciato il nome che avevano scelto per noi, si sono sentiti interrogare dal sacerdote: «Che cosa chiedete alla Chiesa di Dio?». E i genitori hanno risposto: «La fede, il battesimo!».

Per un genitore cristiano, consapevole della grazia che gli è stata regalata, è il dono da chiedere anche per suo figlio: la fede. Con essa un genitore sa che, pur in mezzo alle prove della vita, suo figlio non annegherà nella paura. Il nemico è la paura. Sa anche che, quando cesserà di avere un genitore su questa terra, continuerà ad avere un Dio Padre nei cieli, che non lo abbandonerà mai.

Il nostro amore è così fragile, e solo l’amore di Dio vince la morte.

Come dice l’Apostolo, la fede non è di tutti (cfr. 2 Ts 3, 2), e anche noi, che siamo credenti, spesso ci accorgiamo di averne solo una piccola scorta.

Spesso Gesù ci può rimproverare, come fece coi suoi discepoli, di essere “uomini di poca fede”. Però è il dono più felice, l’unica virtù che ci è concesso di invidiare.

Perché chi ha fede è abitato da una forza che non è solo umana; la fede “innesca” la grazia in noi e dischiude la mente al mistero di Dio.

Come disse Gesù: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sradicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe».

Perciò anche noi, come i discepoli, ripetiamo: Signore, aumenta la nostra fede! È una bella preghiera!

Per il Kenya colpito da inondazioni

Desidero trasmettere al popolo del Kenya la mia vicinanza spirituale in questo momento in cui una grave alluvione ha tragicamente tolto la vita a molti nostri fratelli e sorelle, ferendone altri e causando una diffusa distruzione.

Vi invito a pregare per tutti coloro che stanno subendo gli effetti di questo disastro naturale. Anche in mezzo alle avversità, ricordiamo la gioia di Cristo risorto.

San Giuseppe e mese
di Maria

Oggi con tutta la Chiesa facciamo memoria di san Giuseppe Lavoratore ed iniziamo il mese mariano. Pertanto, vorrei riproporre la santa Famiglia di Nazaret come modello di comunità domestica: comunità di vita, di lavoro e di amore.

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi)