· Città del Vaticano ·

A Palazzo Chigi il secondo forum sulla libertà religiosa dedicato ai Paesi lusofoni africani

Dialogo, verità
e riconciliazione
uniche vie per la pace

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30 aprile 2024

«Proteggere la libertà religiosa significa mettere la persona al centro». Così Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio dei ministri italiano e ministro degli Esteri, ha aperto con un saluto introduttivo il secondo forum sulla libertà religiosa, dedicato in particolare alla diplomazia italiana e al contributo delle religioni per la costruzione della pace nei paesi lusofoni africani, svoltosi stamattina nella cornice di Palazzo Chigi a Roma. In questo senso, «è importante il ruolo delle religioni nella costruzione di una società fraterna, solidale, riconciliata», ha aggiunto, sottolineando come esse arrivino «laddove ogni altra forma di dialogo si ferma, dimostrando che la spirale dell’odio non è inevitabile». Poi, con un riferimento all’oggi e all’attuale situazione in corso in Medio Oriente, Tajani — appena rientrato da una visita a Ryiad — ha sottolineato l’impegno della comunità internazionale nel cercare di portare Israele e Hamas all’accordo per la tregua.

E su negoziato e diplomazia ha posto l’attenzione anche Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede: perché questi strumenti, ha detto, «sono la strada principale per costruire la pace». Per arrivarci, necessaria è «la perseveranza — così come è scritto nella dichiarazione di Abu Dhabi firmata da Papa Francesco nel 2019 — nel difendere e diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; evitando di cadere nel vortice dell’estremismo ateo e agnostico, oppure nell’integralismo religioso, nell’estremismo e nel fondamentalismo cieco». Anche oggi, ha concluso Ruffini, «il mondo ha bisogno di leader che permettano ai popoli di comprendersi e dialogare, e generino un nuovo “spirito di Helsinki”, la volontà di rafforzare il multilateralismo, di costruire un mondo più stabile e pacifico pensando alle nuove generazioni».

Sul ruolo della Chiesa nell’impegno per la pace è intervenuto Andrea Monda, direttore de «L’Osservatore Romano», che ha ricordato un’udienza privata di Paolo vi con Amílcar Cabral, José Eduardo Dos Santos e António Agostinho Neto nel 1970, nella quale egli riconobbe la tragicità «di certe situazioni dell’Africa», sottolineando, che «la Chiesa sta dalla parte dei Paesi che soffrono», invitandoli a lottare, «appena potete, con mezzi pacifici». E questo vale allora come oggi.

La religione «è stata un’istituzione mediatrice nel cuore di diversi conflitti, necessaria per garantire lo sviluppo integrale», ha ricordato il giornalista e scrittore Jean Léonard Touadi. E non si può dimenticare, è il pensiero del professor Roberto Mancini dell’Università di Macerata, che la libertà religiosa «è anche libertà dalla violenza e dalla divisione. Ma vivere è con-vivere. La libertà religiosa diventa pertanto decisiva oggi perché i governi e le persone vanno rimotivati: non è solo libertà di non essere perseguitati, è risposta all’amore di Dio che abbraccia tutta l’umanità e tutto il creato. L’orizzonte è quello della riconciliazione, per costruire dinamiche di sicurezza comune e di convivenza autentica».

«Costruire la pace infatti è molto attuale», ha ribadito Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio. Così «come lo è il negoziato», ha aggiunto, ricordando il caso del Mozambico e l’accordo raggiunto, grazie alla mediazione di Sant’Egidio, nel 1992 dopo 16 anni di guerra. «Anche oggi, proprio in un momento in cui la guerra sembra essere normale, le religioni possono avere un ruolo fondamentale. Allora le trattative durarono 27 mesi a Roma, un periodo che consentì alle parti di capire che non c’era via senza l’accettazione dell’altro. La lezione ricavata è quindi che indispensabili sono gli strumenti semplici del dialogo, del contatto umano, dell’immaginazione creativa, della comprensione dei sentimenti di tutti».

Nel citare il caso della Guinea Bissau e Capo Verde, nonché delle leadership di Cabral e monsignor Settimio Ferrazzetta, primo pastore della Chiesa cattolica in Guinea, Fernando Medina, presidente della Commissione politica, African Party for the Independence of Guinea and Cape Verde in Italia, ha evidenziato l’importanza dei popoli «che formano quella radice di un albero che chiamiamo Stati», aggiungendo che solo i rapporti basati sulla «conoscenza reciproca nella solidarietà tra popoli», come diceva Cabral, sono la garanzia di future relazioni durature tra nazioni.

«Vero, la pace è certamente un problema di conoscenza e consapevolezza della nostra comune umanità», ha concluso Filomeno Lopes, scrittore e giornalista di Radio Vaticana. «Lavorare per la pace vuol dire uscire dall’ignoranza e agire con un pensiero, evitando i pericoli della disinvoltura e del dilettantismo, soprattutto in Africa». La pace «è condizione indispensabile per la pienezza della condizione umana ed è la cura dell’altro essere umano che ci rassomiglia».

di Roberto Paglialonga