Ti chiami Assane ed hai bussato alla mia porta circa dodici anni fa insieme a un altro bambino, Amadou. Tu avevi cinque anni. Ti ho conosciuto durante dei provini per girare un cortometraggio, «Babbo Natale», che poi partecipò e vinse la sezione Migrarti del Festival del cinema di Venezia. Non presi te come attore, ma tuo fratello Amadou. Tu eri troppo distratto, timido, ma da quando ci siamo conosciuti sei venuto a casa mia ogni giorno, dopo aver finito la tua giornata di lavoro; vendevi di tutto: accendini, elefanti portafortuna, braccialetti.
«Ricordi, Assane, la prima volta che sei venuto a casa mia?» gli domando. «Sì, me lo ricordo, la tua casa sembrava quella di un mago, perché era antica e i maghi vivono in case antiche».
Ci sono bambini speciali e tu lo sei non perché ora sei mio figlio, ma perché eri fradicio e sei fradicio di magia e di musica. Entrasti nel salotto e poi andasti nello studio. Qui le casse diffondevano Mozart. Andò così: tu, seduto davanti a me, chiudi gli occhi ed inizi a muovere, lentamente, la testa. Io ti chiedo se vuoi un succo di frutta alla pera. Vado a prenderlo, torno e tu continui ad avere gli occhi chiusi, come se vivessi dentro la musica. Mentre bevi il succo io ti guardo. Chi sei? Da dove vieni? Perché sei qui davanti a me?
Vieni da una regione povera del Senegal, parli poco l’italiano. Ogni giorno per prendere l’acqua devi percorrere molta strada. Da solo. Provo ad immaginarti sotto un sole feroce camminare verso un pozzo; ed io dove ero mentre tu riempivi le bottiglie d’acqua? Cosa facevo? Io dove ero mentre tu intraprendevi il viaggio, rischiavi la vita, attraversavi il mare per arrivare in un posto dove si può bere facilmente un bicchiere di succo di frutta?
Il mare. Ti ricordi, Assane, il tuo racconto? Nel mare ci sono i delfini e i delfini salvano i bambini mentre affogano durante i viaggi, nel Mediterraneo, per arrivare in Europa. Eri così fissato con i delfini che mi costringesti ad andare a vederli a Taranto. Pochi lo sanno: Taranto è piena di delfini. In macchina, mentre tornavamo a casa, mi chiedesti: «Vuoi essere mio padre?».
Questa domanda ha scompigliato tutta la mia testa. Non sapevo cosa rispondere. Ma dovevo. Sentivo il peso di questa decisione. Lo sentivo ovunque nel cervello, nella pancia, nelle ossa.
Avevo poco tempo, la mia titubanza ti avrebbe ferito.
Ho detto di sì ed ho avuto paura. Paura di non essere all’altezza, di non avere soldi, paura di non avere la maturità adatta per essere padre. Oggi una vita senza di te sarebbe impensabile.
Ti eri addormentato ascoltando Mozart. Quando ti svegliasti i tuoi occhi mi entrarono dentro.
Quando incontri uno sguardo di un uomo, ancora di più se è un bambino, ti senti coinvolto. Ogni volto umano ti chiama ad un gesto di responsabilità, ti vuole rivelare la sua unicità, il suo dolore, la sua felicità.
Non te l’ho mai detto, Assane, ma io considero l’incontro con te un’esperienza mistica. Qualcosa che mi ha avvicinato moltissimo a Dio.
Ora hai quasi diciotto anni e frequenti il liceo classico Palmieri, sei bravissimo in latino e in greco, e ti hanno nominato direttore del «Palmierino», il giornale della scuola.
Il tuo sogno è diventare scrittore, magistrato e ministro.
Ma ti ricordi quali erano i tuoi primi sogni appena arrivato in Italia?
Mangiare una pizza con le patatine ogni giorno, un pallone e un paio di scarpe da calcetto. Ti chiesi cosa avresti voluto fare da grande. Non mi rispondesti perché il futuro non ti apparteneva, era difficile da immaginare.
Facevi sogni piccoli.
Si può vivere in un mondo che fa fare sogni piccoli a dei bambini solo perché vengono dall’Africa? Non è una forma di razzismo ancora più pericolosa l’idea che la nostra accoglienza si debba limitare al cibo, alla casa, ai vestiti?
Perché non ci può essere il diritto a sognare in grande. I tuoi sogni aiuteranno tutti a capire che i diritti umani hanno una caratteristica: o valgono per tutti o non valgono per nessuno.
Sogna in grande Assane.
Io credo che tu ce la possa fare. La politica ha senso solo se riesce a dire al prossimo che non è solo. Forse è per questo che ti piace, perché arrivato in Italia ti sei sentito perso. Ecco perché ti fai molte docce. Questa cosa me l’hai insegnata tu: fare la doccia ti fa sentire meno la solitudine.
Oltre il confine, il mio film, l’ho dedicato a te.
Per poterlo scrivere ho passato molto tempo con dei minori che provenivano da luoghi del mondo dove sei costretto a lavorare e lottare per poter sopravvivere. Sapete qual è la cosa che più mi ha sorpreso? La capacità di sognare, di vivere la loro vita come se fosse una favola.
A volte con dei lati oscuri, ma quale favola non li ha?
Il racconto del viaggio, da parte dei bambini, è diverso da quello degli adulti. Perché i bambini fregano il dolore con la fantasia.
Raccontare una favola piena di emozioni, colori e dolori questo ho voluto fare con il mio film per rispettare al massimo il punto di vista dei bambini che si mettono in viaggio, da soli, per raggiungere la fortezza Europa e che spesso trovano in mare quello che in mare è impossibile trovare: un muro.
Quello che abbiamo cercato di fare è produrre un film a forte impatto sociale. Costruire non solo un progetto filmico, ma un luogo dove le persone possano sperimentare l’importanza di un incontro: abbiamo iscritto i bambini che hanno lavorato con noi a scuola, abbiamo valorizzato (con la comunità Emmanuel, la Casa della Carità, la nostra casa di produzione Scirocco films e tutta la Chiesa leccese) saperi che erano nascosti.
Abbiamo utilizzato costumisti, operatori, fonici senegalesi, scenografi gambiani. Lo abbiamo fatto nella certezza che il problema dei migranti, del loro viaggio, della loro vita quotidiana, una volta arrivati in Italia, non debba essere affrontato in modo astratto, teorico, ma raccontando il punto di vista personale di chi vive questa situazione.
Come Assane che, arrivato dopo un lungo viaggio, oggi sogna di diventare scrittore, magistrato e ministro ed è innamorato di Mozart.
di Alessandro Valenti *
*Regista e Presidente dell’Accademia
della Casa della carità di Lecce