· Città del Vaticano ·

28 aprile 2024 - Papa Francesco a Venezia
Con gli artisti nella chiesa della Maddalena

Una rete di “città rifugio” dove nessuno è estraneo

 Una rete di “città rifugio” dove nessuno è estraneo  QUO-097
29 aprile 2024

A conclusione dell’appuntamento con le detenute nel cortile interno della Casa di reclusione, Francesco ha raggiunto la chiesa della Maddalena (che è la cappella del carcere della Giudecca) per l’incontro con gli artisti. Lì è stato accolto dal cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione e commissario del Padiglione della Santa Sede alla Biennale d’Arte di Venezia. Dopo il saluto del porporato, il Pontefice ha pronunciato il seguente discorso.

Signor Cardinale, Eccellenze,
Signor Ministro,
Signor Presidente,
Illustri Curatori,
Care Artiste e cari Artisti!

Ho molto desiderato venire alla Biennale d’Arte di Venezia per contraccambiare una visita, com’è buona abitudine tra amici. Nel giugno scorso, infatti, ho avuto la gioia di accogliere un folto gruppo di artisti nella Cappella Sistina. Ora sono io a venire “a casa vostra” per incontrarvi personalmente, per sentirmi ancora più vicino a voi e, in questo modo, ringraziarvi di quello che siete e che fate. E nello stesso tempo da qui vorrei mandare a tutti questo messaggio: il mondo ha bisogno di artisti. Lo dimostra la moltitudine di persone di ogni età che frequentano luoghi ed eventi d’arte; mi piace ricordare tra questi le Vatican Chapels, primo Padiglione della Santa Sede realizzato sei anni fa sull’Isola di San Giorgio, in collaborazione con la Fondazione Cini, nell’ambito della Biennale di Architettura.

Vi confesso che accanto a voi non mi sento un estraneo: mi sento a casa. E penso che in realtà questo valga per ogni essere umano, perché, a tutti gli effetti, l’arte riveste lo statuto di “città rifugio”, un’entità che disobbedisce al regime di violenza e discriminazione per creare forme di appartenenza umana capaci di riconoscere, includere, proteggere, abbracciare tutti. Tutti, a cominciare dagli ultimi.

Le città rifugio sono un’istituzione biblica, menzionata già nel codice deuteronomico (cfr. Dt 4, 41), destinata a prevenire lo spargimento di sangue innocente e a moderare il cieco desiderio di vendetta, per garantire la tutela dei diritti umani e cercare forme di riconciliazione. Sarebbe importante se le varie pratiche artistiche potessero costituirsi ovunque come una sorta di rete di città rifugio, collaborando per liberare il mondo da antinomie insensate e ormai svuotate, ma che cercano di prendere il sopravvento nel razzismo, nella xenofobia, nella disuguaglianza, nello squilibrio ecologico e dell’aporofobia, questo terribile neologismo che significa “fobia dei poveri”. Dietro a queste antinomie c’è sempre il rifiuto dell’altro. C’è l’egoismo che ci fa funzionare come isole solitarie invece che come arcipelaghi collaborativi. Vi imploro, amici artisti, immaginate città che ancora non esistono sulla carta geografica: città in cui nessun essere umano è considerato un estraneo. È per questo che quando diciamo “stranieri ovunque”, stiamo proponendo “fratelli ovunque”.

Il titolo del padiglione in cui ci troviamo è “Con i miei occhi”. Abbiamo tutti bisogno di essere guardati e di osare guardare noi stessi. In questo, Gesù è il Maestro perenne: Egli guarda tutti con l’intensità di un amore che non giudica, ma sa essere vicino e incoraggiare. E direi che l’arte ci educa a questo tipo di sguardo, non possessivo, non oggettivante, ma nemmeno indifferente, superficiale; ci educa a uno sguardo contemplativo. Gli artisti sono nel mondo, ma sono chiamati ad andare oltre. Ad esempio, oggi più che mai è urgente che sappiano distinguere chiaramente l’arte dal mercato. Certo, il mercato promuove e canonizza, ma c’è sempre il rischio che “vampirizzi” la creatività, rubi l’innocenza e, infine, istruisca freddamente sul da farsi.

Oggi abbiamo scelto di ritrovarci tutti insieme qui, nel carcere femminile della Giudecca. È vero che nessuno ha il monopolio del dolore umano. Ma ci sono una gioia e una sofferenza che si uniscono nel femminile in una forma unica e di cui dobbiamo metterci in ascolto, perché hanno qualcosa di importante da insegnarci. Penso ad artiste come Frida Khalo, Corita Kent o Louise Bourgeois e tante altre. Mi auguro con tutto il cuore che l’arte contemporanea possa aprire il nostro sguardo, aiutandoci a valorizzare adeguatamente il contributo delle donne, come coprotagoniste dell’avventura umana.

Care Artiste e cari Artisti, ricordo l’interrogativo indirizzato da Gesù alle folle, a proposito di Giovanni il Battista: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere?» (Mt 11, 7-8). Conserviamo questa domanda nel cuore, nel nostro cuore. Essa ci spinge verso il futuro.

Grazie! Vi porto nella preghiera. E per favore, pregate per me. Grazie.


Per uno stile nuovo nei rapporti tra Chiesa e mondo delle arti


Pubblichiamo il testo del saluto rivolto a Papa Francesco dal cardinale  José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione e commissario del Padiglione della Santa Sede alla Biennale d’Arte di Venezia, all’inizio dell’incontro con gli artisti presso la chiesa della Maddalena, cappella del carcere femminile della Giudecca.

Beatissimo Padre, la sua visita è la prima che un Papa dedica alla Biennale d’Arte, e come tale costituisce una tappa storica. Credo, tuttavia, che la vera portata storica della sua scelta non sia determinata solo da questo fatto, ma dal desiderio che essa incarna di inaugurare una nuova era nei rapporti della Chiesa con il mondo delle arti. 

È vero, come ricordava san Paolo vi, alla fine del Concilio Vaticano ii, che «da lungo tempo la Chiesa ha fatto alleanza» con gli artisti. Ma non dobbiamo dimenticare che nella storia del rapporto della Chiesa con le arti ci sono state anche ambiguità e dure tensioni, al punto che per decenni si è parlato di un persistente “divorzio”, causato anche dalla difficoltà della Chiesa di comprendere e accettare l’autonomia dell’arte, che giustamente non accetta di fare da semplice cassa di risonanza.

La sua visita, Santo Padre, rende evidente la volontà di mettere in atto uno stile nuovo, in cui le convergenze plurali siano intessute nella libertà e la porzione di cammino autentico che possiamo fare insieme sia più apprezzata.

Questo padiglione ne è la testimonianza. Non abbiamo cercato gli artisti più comodi. Non abbiamo voluto costruire una trincea o isolarci in una visione. Al contrario, l’invito è che tutti vedano con i propri occhi.

Naturalmente, si tratta di un lavoro di squadra. A cominciare dalla comunità umana che abita e accompagna questo luogo, con la quale Vostra Santità ha appena avuto un incontro commovente. A tutti loro vogliamo attestare il nostro sentito ringraziamento, così come esso va alle alte autorità qui presenti. Dal ministro della Giustizia a tutte le altre autorità politiche, giudiziarie, alla presidenza della Biennale e ai tanti artisti, esprimiamo poi la nostra gratitudine anche ai curatori del padiglione della Santa Sede, Bruno Racine e Chiara Parisi, e agli artisti che in particolare questo anno hanno accettato questa sfida: Maurizio Cattelan, Bintou Dembelé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sónia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana e Claire Tabouret. Gratitudine anche a tutta la squadra di produzione, nelle persone di Roberto Cremascoli, Flavia Chiavaroli e Cristiano Crisogoni. Al Comitato di patrocinio, in particolare Arnoldo Mosca Mondadori. Allo sponsor principale, Banca Intesa-Sanpaolo. E al Patriarcato di Venezia, nella persona del suo patriarca, che oggi accoglie anche la vostra visita pastorale. Grazie, Santo Padre.