Un gesto di umanità
Sono quattro detenute in misura alternativa a fare da guida al visitatore curioso che con i suoi occhi va alla scoperta delle opere d’arte e le performance che riserva il Padiglione della Santa Sede alla Biennale d’arte di Venezia, che fino al 24 novembre sarà inserito in un contesto particolare come quello del carcere femminile sull’isola della Giudecca.
«Sono molto contente di essere coinvolte in un’opera culturale, ma anche di rilancio della loro umanità — racconta ai media vaticani don Antonio Biancotto, cappellano della casa di reclusione —, è una scommessa sulla loro umanità recuperata dopo un periodo di espiazione della pena. Direi, quindi, che è un’esperienza dall’alto valore culturale ma soprattutto umano».
E a coronare questo sogno incredibile ecco anche Papa Francesco, deciso a vedere, stavolta con i propri occhi, l’allestimento — dal titolo “Con i miei occhi” di Chiara Parisi e Bruno Racine, promosso dal prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, cardinale José Tolentino de Mendonça — per ammirare le opere d’arte dei nove artisti coinvolti, ma soprattutto per incontrare di persona loro, le 80 ospiti dell’istituto di pena.
Stranieri fuori ospiti dentro
Il tema di questa edizione della Biennale, curata dal brasiliano Adriano Pedrosa, direttore artistico del Museo d’arte di San Paolo, è “Stranieri ovunque”, a indicare una condizione universale che tutti possono provare, specialmente in carcere: un luogo in cui si entra da stranieri e che viene percepito come estraneo anche dall’esterno. «Qui le detenute si sentono ospiti, lo vivono come un alloggio di passaggio prima di rientrare nelle loro case e nelle loro famiglie — è la testimonianza del cappellano — ma ci sono anche quelle che devono scontare una pena lunga, magari di anni e anni, per cui quel luogo deve essere anche percepito un po’ come proprio, un luogo dove si può migliorare e recuperare se stesse».
“Con i miei occhi” e lo sguardo sulla marginalità
La mostra del padiglione della Santa Sede è dedicata ai diritti umani e ai mondi marginalizzati, le periferie dove vivono gli ultimi. «Per le detenute questo ha significato un’attenzione in più alla loro condizione — prosegue don Biancotto — che è quella di chi sta facendo questa esperienza detentiva perché è caduta in un errore, ma è anche la condizione di chi è povero, marginalizzato per nascita o per il contesto in cui si trova a vivere. Gli occhi puntati sulla marginalizzazione sono comunque un atto di bontà verso tutti gli emarginati, un’occasione per metterli al centro di un mondo che normalmente non li vuole vedere».
Le recluse, inoltre, nella lunga fase di preparazione del padiglione, hanno potuto partecipare attivamente alla realizzazione delle opere degli artisti, alcuni dei quali si sono ispirati alle loro fotografie, alle loro poesie o le hanno coinvolte in coreografie particolari. «Si sono lasciate coinvolgere con gioia — aggiunge il cappellano — perché vogliono essere protagoniste della propria vita e presto anche nella società che le aspetta fuori».
L’arte in carcere un’esperienza immersiva
Portare l’arte in carcere è un atto rivoluzionario, che si pone l’obiettivo di portare il bello in un luogo tradizionalmente brutto; inoltre permette una fruizione del tutto particolare, perché per visitare, ad esempio, il Padiglione della Santa Sede alla Giudecca bisogna lasciare fuori i telefonini, come per qualunque visita in un istituto di pena. «Se si lasciano perdere la tecnologia e tutte le sovrastrutture che ci accompagnano, come qui si deve fare per forza, ci si lascia prendere davvero dall’opera che si ha davanti: è questo il modo corretto di porsi di fronte all’arte secondo me», dichiara il sacerdote.
La prima volta di un Papa alla Biennale
Domani Francesco sarà a Venezia alla Biennale d’Arte: una visita che non ha precedenti dalla prima partecipazione della Santa Sede a questa manifestazione, nel 2013, grazie al lavoro dell’allora presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, cardinale Gianfranco Ravasi. «Le detenute sono grate al Papa per questa visita, che interpretano come una gentilezza nei loro confronti da parte di un Pontefice da sempre mostratosi sensibile al mondo del carcere e con una predilezione per gli ultimi — conclude il cappellano —; esse sono molto attente a questi gesti di umanità e questo in particolare, del Papa che viene a visitarle, le fa sentire parte di questa umanità a pieno titolo. La speranza è che poi, magari, si possano aprire per alcune di loro anche le porte del carcere: pensiamo al Giubileo del prossimo anno, come già accadde per il Giubileo dei carcerati del 2016, quando si ottenne l’indulto in seguito alla richiesta del Papa di un atto di clemenza verso i reclusi».
di Roberta Barbi