· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-089
18 aprile 2024

Venerdì 12

Con i poveri
e i migranti

Fin dalla nascita, la Papal Foundation è stata veicolo di gioia pasquale, portando la vicinanza, la compassione e la tenerezza di Gesù a tanti fratelli e sorelle [nel] mondo.

Il vostro sostegno a progetti educativi, caritativi e apostolici favorisce lo sviluppo di molti, tra cui poveri, rifugiati, migranti e un numero crescente di persone colpite da guerra e violenza.

Le borse di studio destinate a laici, consacrati, seminaristi e sacerdoti di Paesi in via di sviluppo consentono loro di proseguire gli studi presso le Università Pontificie di Roma e forniscono a quanti le ricevono gli strumenti per testimoniare più efficacemente il Vangelo nei loro Paesi d’origine [e] altrove.

Mediante queste iniziative continuate ad aiutare i Successori di Pietro a far crescere numerose Chiese locali e a prendersi cura di tante persone svantaggiate.

Il vostro lavoro trova ispirazione nella fede cattolica, che chiede di essere alimentata dalla partecipazione alla vita della Chiesa, dai Sacramenti e dal tempo trascorso in silenzio alla presenza del Signore nella preghiera e nell’adorazione.

La preghiera dell’adorazione l’abbiamo trascurata, dobbiamo riprenderla.

La vostra visita avviene durante l’Anno della Preghiera, mentre la Chiesa si prepara a celebrare il Giubileo del 2025.

Attraverso la perseveranza nella preghiera, noi diventiamo a poco a poco «un cuore solo e un’anima sola» con Gesù e gli altri, e ciò si traduce in solidarietà e condivisione del pane quotidiano.

Questo frutto della vita spirituale è importante per il vostro impegno, perché, anche se forse non le incontrerete mai direttamente, i programmi della Papal Fondation promuovono un legame spirituale e fraterno con persone di molte culture, lingue e regioni diverse.

Il vostro servizio è tanto più necessario nel nostro tempo, segnato da individualismo e indifferenza.

(Discorso alla Papal Foundation)

Non lasciamo che la guerra si allarghi

Vi ringrazio per l’opportunità di rivolgervi una parola al termine del Ramadan. Una felice coincidenza ricorre quest’anno: il mese sacro islamico si conclude pochi giorni dopo la Pasqua, la festa più importante per i cristiani.

Questa ricorrenza, che porta ad alzare gli occhi al cielo e ad adorare il Signore «misericordioso e onnipotente», stride fortemente con la tristezza per il sangue che scorre nel Medio Oriente.

Il nostro padre Abramo alzò gli occhi al cielo: la luce della vita, che ci avvolge e abbraccia dall’alto, ci chiede di superare la notte dell’odio perché siano gli astri a illuminare la terra, e non la terra a bruciare, devastata dalle fiamme di armi che infuocano il cielo.

Dio è pace e vuole la pace. Chi crede in Lui non può che ripudiare la guerra, la quale non risolve, ma aumenta i conflitti.

La guerra è sempre e solo una sconfitta: una via senza meta; non apre prospettive, estingue la speranza.

Sono angosciato per il conflitto in Palestina e Israele.

Cessi subito il fuoco nella striscia di Gaza, dove è in corso una catastrofe umanitaria; possano arrivare aiuti alla popolazione palestinese che soffre tantissimo; si rilascino gli ostaggi rapiti a ottobre.

Penso alla martoriata Siria, al Libano, a tutto il Medio Oriente: non lasciamo che divampino le fiamme del rancore, sospinte dai venti funesti della corsa agli armamenti. Non lasciamo che la guerra si allarghi! Arrestiamo l’inerzia del male!

Cessi
il rumore
delle armi

Ho nella mente le famiglie, i giovani, i lavoratori, gli anziani, i bambini: sono certo che nel cuore della gente comune, c’è un grande desiderio di pace.

E che, di fronte al dilagare della violenza, mentre le lacrime scendono dagli occhi, una parola esce dalla bocca: “basta”.

Basta! — ripeto anch’io — a chi ha la grave responsabilità di governare le nazioni: fermatevi!

Fate cessare il rumore delle armi e pensate ai bambini, come ai vostri stessi figli.

Guardiamo al futuro con gli occhi dei bambini. Loro non si chiedono chi è il nemico da distruggere, ma chi sono gli amici con cui giocare; hanno bisogno di case, parchi e scuole, non di tombe e fosse!

Io credo che i deserti possano fiorire: in natura [e] pure nei cuori delle persone e nelle vite dei popoli.

Dai deserti dell’odio spunteranno germogli di speranza solo se sapremo crescere insieme, l’uno a fianco dell’altro; se sapremo rispettare il credo degli altri [e] riconoscere il diritto di esistere di ogni popolo e il diritto di ogni popolo ad avere uno Stato; se sapremo vivere in pace senza demonizzare nessuno.

Io credo e spero in questo e con me i cristiani che, tra non poche difficoltà, vivono in Medio Oriente: li abbraccio e li incoraggio, chiedendo che abbiano sempre e ovunque il diritto e la possibilità di professare liberamente la loro fede, che parla di pace e fraternità.

(Messaggio per il Network Alarabiya)

Sabato 13

I monumenti
parlano
della vita
e della storia
delle persone

Sono lieto di ricevervi in questa “Città” del Vaticano, che, come quelle che voi rappresentate, conserva una ricca eredità della quale siamo custodi. È una grande responsabilità, ma anche una bella vocazione.

Penso che il nostro interesse per il patrimonio non possa limitarsi all’ambito artistico-culturale, ma debba avere una prospettiva più ampia, accogliendo l’integrità della persona che riceve questa eredità e dei popoli che ce l’hanno trasmessa.

Le situazioni storiche — con le loro luci e ombre — ci parlano di uomini e donne reali, di sentimenti autentici, che devono essere lezioni di vita prima che pezzi da museo.

Sono le sofferenze e gli aneliti delle persone che nel corso del tempo hanno costruito le proprie città, il meticciato di culture e di civiltà che si sono succedute in esse, e naturalmente la loro fede in Dio, ciò che fa battere il loro cuore con passione.

Chiedo al Signore che, insieme alla bellezza delle vostre città, vi conceda la grazia di trasmettere la fede, la speranza e la carità della vostra gente.

Che la contemplazione dei diversi monumenti permetta — sia a quanti vi abitano sia a quanti le visitano — di riflettere sulla prudenza e la forza che hanno reso possibile la loro realizzazione.

Possano sentirsi interpellati dalla lezione di giustizia e di temperanza che ogni situazione storica racchiude.

Parleremo così di popoli, persone, di una storia che non si contempla, ma che si realizza, con un occhio al passato e l’altro al futuro, per avere le mani nel presente che c’interroga ogni giorno.

(Discorso ai sindaci delle città Patrimonio
dell’umanità in Spagna)

Domenica 14

Condividere
la gioia
della fede

Oggi il Vangelo ci riporta alla sera di Pasqua. Gli apostoli sono riuniti nel cenacolo, quando da Emmaus tornano i due discepoli e raccontano il loro incontro con Gesù. E mentre esprimono la gioia della loro esperienza, il Risorto appare a tutta la comunità.

Gesù arriva mentre stanno condividendo il racconto dell’incontro con Lui.

È bello, è importante condividere la fede.

Ogni giorno siamo bombardati da mille messaggi.

Parecchi sono superficiali e inutili, altri rivelano una curiosità indiscreta o, peggio ancora, nascono da pettegolezzi e malignità.

Sono notizie che non servono a nulla, anzi fanno male.

Ma ci sono anche notizie belle, positive e costruttive; e fa bene sentirsi dire cose buone, stiamo meglio quando ciò accade.

È bello pure condividere le realtà che, nel bene e nel male, hanno toccato la nostra vita, così da aiutare gli altri.

Eppure c’è una cosa di cui spesso facciamo fatica a parlare... [la] più bella che abbiamo da raccontare: il nostro incontro con Gesù.

Ognuno di noi ha incontrato il Signore e facciamo fatica a parlarne.

Ciascuno potrebbe dire tanto in proposito: vedere come il Signore ci ha toccato, e questo condividerlo, non facendo da maestro agli altri, ma condividendo i momenti unici in cui ha percepito il Signore vivo, vicino, che accendeva nel cuore la gioia o asciugava le lacrime, che trasmetteva fiducia e consolazione, forza ed entusiasmo, oppure perdono, tenerezza.

È importante fare questo in famiglia, nella comunità, con gli amici.

Come fa bene parlare delle ispirazioni buone che ci hanno orientato nella vita, dei pensieri e dei sentimenti che ci aiutano ad andare avanti; anche degli sforzi e delle fatiche che facciamo per capire e per progredire nella fede, magari pure per pentirci e tornare sui nostri passi.

Se lo facciamo, Gesù, come è successo ai discepoli di Emmaus, ci sorprenderà e renderà ancora più belli i nostri incontri e i nostri ambienti.

Proviamo a ricordare un momento forte della vita, un incontro decisivo con Gesù.

Facciamo un piccolo silenzio e pensiamo: quando ho trovato il Signore? Quando si è fatto vicino a me? E questo incontro l’ho condiviso per dare gloria al Signore?

Ho ascoltato gli altri, quando mi dicono di questo incontro con Gesù?

Per la
Università
Cattolica
del Sacro
Cuore

Oggi in Italia si celebra la centesima Giornata nazionale per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul tema “Domanda di futuro. I giovani tra disincanto e desiderio”.

Incoraggio questo grande Ateneo a proseguire il suo importante servizio formativo, nella fedeltà alla sua missione e attento alle odierne istanze giovanili e sociali.

Verso
la Giornata
mondiale
dei bambini

Saluto con affetto i bambini di varie parti del mondo, venuti a ricordare che il 25-26 maggio la Chiesa vivrà la prima Giornata Mondiale dei Bambini.

Invito tutti ad accompagnare con la preghiera il cammino verso questo evento e ringrazio quanti stanno lavorando per prepararlo.

A voi, bambine e bambini, dico: vi aspetto! Tutti!

Abbiamo bisogno della vostra gioia e del vostro desiderio di un mondo migliore, un mondo in pace.

Preghiamo, per i bambini che soffrono per le guerre — sono tanti! — in Ucraina, in Palestina, in Israele, in altre parti del mondo, nel Myanmar. Preghiamo per loro e per la pace.

(Regina Caeli in piazza San Pietro)

Mercoledì 17

Temperanza
la virtù della giusta misura

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, [essa] condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani.

Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità.

Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere.

Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? È la domanda. Per rispondere Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza.

Capacità
di
autodominio

Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La è la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati».

«Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà».

«La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore».

La temperanza è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili.

Equilibrio
ed affidabilità

Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice.

Non dire quello che mi viene in mente. No, pensare a quello che devo dire.

Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio.

Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro, facendo precipitare in uno stato di noia.

Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa!

Meglio cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato.

La persona temperante pesa e dosa bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite.

Specie nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature.

C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura.

Questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente.

Qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera.

Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera.

Un rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso.

Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male.

Il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse.

Il dono del temperante è l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara.

Tutto nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza.

Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola.

È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso.

Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre.

Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Il dono
della maturità

Non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato.

La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita.

Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale.

(Udienza generale in piazza San Pietro)