· Città del Vaticano ·

(s)Punti di vista
A proposito del vuoto della cultura cristiana

Un pensiero cattolico
non può lasciare solo il Papa
nella sua difesa della pace

 Un pensiero cattolico non può lasciare solo il Papa nella sua difesa della pace   QUO-086
15 aprile 2024

Non si può che concordare con quanto scrivono Pierangelo Sequeri e Roberto Righetto sulle pagine di «Avvenire» riguardo alla grave carenza di un pensiero cristiano oggi.

Ne è chiaro documento la recente votazione al Parlamento europeo sull’inclusione del diritto all’aborto nella “Carta dei diritti fondamentali” della Ue con il Partito Popolare in larga misura favorevole. Per Sequeri i preti, i religiosi, i fedeli sono in evidente affanno nel trasmettere un lavoro teologico che si è accumulato negli anni. «Questa emozionante ricchezza, però, ha battuto moneta soprattutto per il mercato interno: con esigua capacità di circolazione nel mondo degli scambi con l’esterno. Dall’esterno ha importato prestiti: spesso troppo spensieratamente apprezzati come valuta pregiata, forme di riconoscimento estemporaneo a sostegno di un’economia sostanzialmente autarchica. Del tesoro della fede non c’è rendita però: e pochissimo scambio. In ogni caso la fede nel riscatto dell’anima dal nichilismo che se la divora senza troppa fatica, e nella destinazione della vita che deve risorgere da qualche parte, per sempre, rimangono in fondo alla lista. Molta morale, poca comunità, zero cultura» (Uscire dalla nevrosi ecclesiogena: raccontiamo la Chiesa com’è, 05-02-2024). Un esempio di questo vuoto, secondo Righetto, è dato dalla «paccottiglia spirituale che imperversa nelle librerie religiose, oggi come ieri, quegli opuscoli edificanti tutti basati sui buoni sentimenti che edulcorano la realtà. C’è il rischio di una “sottocultura” nel mondo cattolico, per cui si guardano solo quei film o si leggono quei libri che dicono bene del cristianesimo» (Perché i cattolici faticano a rispondere alle sfide culturali?, 09-03-2024). Il rilievo è giusto e chiama in causa sia la formazione disciplinare carente degli Istituti teologici e delle Facoltà Pontificie sia la scarsa attenzione che la gerarchia dedica al lavoro intellettuale dei cattolici. Se questo è il contesto, dobbiamo chiederci come sia possibile che la cultura cristiana sia arrivata ad un tale impasse sul terreno teologico, filosofico, politico, letterario, artistico? Perché l’esperienza della fede, testimoniata da una presenza capillare nel settore del volontariato e dell’assistenza sociale, non è più in grado di generare una creatività culturale? Una possibile giustificazione potrebbe essere data dal contesto ideale, profondamente secolarizzato, che ha portato ad un tempo senza maestri. I grandi pensatori che ci hanno accompagnato nel corso dell’ultimo mezzo secolo ci hanno progressivamente abbandonato e non sono stati sostituiti. Questa perdita ha inciso anche nella Chiesa che non ha più i punti di riferimento, teologici e filosofici, di un tempo. Nondimeno è pur vero che si tratta di un processo che non può essere spiegato solo con la secolarizzazione. Ancora negli anni ’80-’90 del secolo passato, per limitarci al contesto italiano, i cattolici hanno dimostrato una passione ideale capace di generare strumenti d’informazione e case editrici. I nuovi movimenti ecclesiali erano qui in prima linea. Editrici come Morcelliana, Città Nuova, Studium, Jaca Book, Città Armoniosa, La Casa di Matriona, Itacalibri, collane come i “Libri dello spirito cristiano” della Rizzoli, hanno pubblicato volumi calati nel presente, non prodotti di un girone parallelo che interessava solo i cristiani. Allo stesso modo settimanali come “Il Sabato” e riviste internazionali come “Communio”, “Concilium”, “30 Giorni”, hanno realizzato una informazione intelligente, aperta, con un ricco patrimonio di idee. Il lascito di quella stagione sono talune case editrici che continuano il loro lavoro. Quello che è venuto meno è il patrimonio ideale complessivo, l’impeto di comunicare una novità al mondo. Non mancano, certamente, intellettuali credenti che singolarmente apportano contributi di grande valore. Ciò che difetta è un pensiero cattolico all’altezza del tempo storico, capace di coniugare la ricchezza della tradizione con le sfide del presente. Per trovarne degli esempi occorre andare agli anni che precedono ed accompagnano il Concilio Vaticano ii . Sul versante teologico: Romano Guardini, Hans Urs von Balthasar, Karl Rahner, Henri de Lubac, Yves Congar, Joseph Ratzinger. Sul versante filosofico: Jacques Maritan, Etienne Gilson, Gabriel Marcel, la Neoscolastica milanese, Cornelio Fabro, Augusto Del Noce, il personalismo. Si tratta di correnti e di pensatori accomunati, a titolo diverso, dal confronto critico con il moderno. Un confronto che porterà il Concilio ad abbandonare l’antimoderno, tipico della neoscolastica, e questo a partire dalla riscoperta della tradizione ecclesiale del primo millennio. Tornare ai Padri, ad un modello teologico-politico diverso da quello medievale, apriva le porte ad un dialogo critico con le libertà moderne. Questa era la grande intuizione del Vaticano ii il cui orizzonte voleva essere kerygmatico e missionario. Ciò non significava gettare via la ricca riflessione neoscolastica ma ripensarla nell’ottica di una cristianità “non costituita”. Questo ripensamento non è però avvenuto nella misura richiesta. Si è mancato un appuntamento storico: quello di ricucire la frattura tra tradizione agostiniana e tradizione tomista che segna la crisi del pensiero cattolico moderno. Così la (giusta) critica alla nozione scolastico-moderna di “natura pura” si è risolta, di fatto, in un soprannaturalismo teologico che non ha più permesso di distinguere adeguatamente tra filosofia e teologia, ragione e fede, cristianesimo e mondo. La fondamentale distinzione tomista tra grazia e natura è stata abbandonata con esiti non propriamente felici. Si è progressivamente persa la gratuità del soprannaturale, la sua radicale novità, la indeducibilità della Rivelazione rispetto al panorama religioso. Come scriveva Heinrich Schlier, nel suo commento a La lettera ai Filippesi: «Senza il Signore Gesù Cristo e senza la sua grazia non ci sarebbe, né a Filippi né altrove, nessuna comunità. “Tutto è grazia” è la conclusione del Diario di un curato di campagna di Bernanos. “Tutto sia grazia” è la conclusione della Lettera ai Filippesi». Se tutto è grazia nulla lo è veramente. Il soprannaturalismo si capovolge in un naturalismo radicale.

Il soprannaturalismo dilagante è dipeso, probabilmente, anche da una motivazione psicologica. Si è pensato, battezzando la secolarizzazione, di uscire finalmente dal “ghetto cattolico”. La cultura ha funzionato, in tal caso, come una coperta per azzerare la distanza tra cristianesimo e mondo: quanto più la società si allontanava da Cristo tanto più il pensiero cristiano la “cristianizzava”. Si è trattato di una grande bolla destinata inevitabilmente a sgonfiarsi. Il risultato è il vuoto del pensiero cristiano che si è ritrovato privo di contenuti e di forma. È qui che le giuste osservazioni di Sequeri e di Righetto assumono tutto il loro rilievo. La sensibilità odierna, venata di inquietudine e di pessimismo, non indulge più alle sublimazioni ottimistiche di fine millennio quando, dopo la caduta del comunismo, il mondo era avvolto dal manto roseo della «New Age» e l’escatologia sembrava realizzarsi. Nel clima plumbeo che ci avvolge ciò che il mondo chiede alla fede è la salvezza dal male e dalla morte, la redenzione e la resurrezione. Chiede alla fede ciò che corrisponde alla sua natura. Un pensiero cattolico sorge da qui, dall’opposizione al male e alla morte, dalla comprensione del valore della carne di Dio come salvezza del mondo. Sorge, oggi, dall’opposizione alla guerra e dalla lotta per la pace. Un pensiero cattolico non lascia solo il Papa nella sua difesa della pace. Se questo accade, come è accaduto a Giovanni Paolo ii nel 1991 e nel 2003, durante la prima e la seconda guerra contro l’Iraq quando molti cattolici si opposero al Papa in nome dei valori “occidentali”, allora significa che quel pensiero non esiste più. Esiste solo una fede privata che non più in grado di assumere un punto di vista critico sulla storia.

di Massimo Borghesi