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Il magistero

 Il magistero  QUO-083
11 aprile 2024

Sabato 6

La capacità di commuoversi vince
indifferenza e individualismo

Sono felice di incontrarvi in occasione dei 50 anni della Fondazione Sant’Angela Merici di Siracusa che, continuando l’ispirazione e l’impegno di Mons. Gozzo, si pone a servizio delle persone più fragili.

La vostra storia e tutto ciò che nei diversi Centri portate avanti con generosità si radicano nel 1953 quando un quadretto raffigurante la Madonna iniziò a lacrimare nella casa dei coniugi Iannuso.

Sono le lacrime di Maria, nostra Madre, per le sofferenze e le pene dei suoi figli che soffrono... lacrime che ci parlano della compassione di Dio per tutti noi.

Egli ha donato a noi sua Madre, che piange le nostre stesse lacrime per non farci sentire soli nei momenti difficili.

Attraverso le lacrime della Vergine Santa, il Signore vuole sciogliere i nostri cuori a volte inariditi nell’indifferenza e induriti nell’egoismo, e rendere sensibile la nostra coscienza, perché ci lasciamo toccare dal dolore dei fratelli e ci muoviamo a compassione per loro, impegnandoci a sollevarli, rialzarli, accompagnarli.

Questa è la ricchezza della vostra storia, queste le radici che non dovete smarrire e questo il significato della vostra opera.

La Fondazione portando avanti un lavoro quotidiano dove si mescolano professionalità e spirito di sacrificio, esprime in gesti concreti le lacrime versate dalla Vergine e nello stesso tempo il suo desiderio materno di asciugare il pianto dei figli.

Cercate di asciugare le lacrime di chi soffre, accompagnare chi è nel dolore, affiancare i più deboli, prendervi cura dei vulnerabili, accogliere e ospitare chi vive situazioni di fragilità.

Il servizio che rendete è prezioso e la fonte della vostra opera è il Vangelo.

Gesù per primo si è lasciato toccare dentro le viscere dinanzi alle sofferenze di coloro che incontrava e per la morte del suo amico Lazzaro.

Voi siete testimonianza viva di questo Vangelo, della compassione di Gesù, quando vi adoperate per accompagnare chi è nel dolore, proprio come il Signore ha comandato ai suoi discepoli di fare dinanzi alle folle affamate, sfinite e oppresse.

Gesù ci chiede di non separare mai l’amore per Dio da quello per il prossimo, in particolare per i poveri. Ci ricorda che saremo giudicati non sulle pratiche esteriori ma sull’amore che, come olio di consolazione, avremo saputo versare sulle ferite dei fratelli.

Chiedo per voi la grazia di sapersi commuovere, la capacità di piangere con chi piange.

L’indifferenza, l’individualismo che ci chiude alle sorti di chi ci sta accanto, e quella anestesia del cuore che non ci fa commuovere davanti ai drammi della vita, sono i mali peggiori della società.

Per favore, non vergognatevi di piangere, di provare commozione per chi soffre; non risparmiatevi nell’esercitare compassione con chi è fragile, perché in queste persone è presente Gesù.

Ringraziate se il vostro lavoro rimane nascosto ed esige un sacrificio silenzioso e quotidiano: il bene fatto a chi non può ricambiare si espande in modo sorprendente e inatteso, come un piccolo seme nascosto nel terreno che prima o poi fa germogliare una vita nuova.

(Discorso alla Fondazione Sant’Angela Merici
di Siracusa)

Domenica 7

Cosa significa «avere la vita»

Oggi, seconda domenica di Pasqua, intitolata da san Giovanni Paolo ii alla Divina Misericordia, il Vangelo (Gv 20, 19-31) dice che credendo in Gesù, Figlio di Dio, possiamo avere la vita eterna.

Tutti vogliamo avere vita, ma ci sono vari modi... C’è chi riduce l’esistenza a una corsa frenetica per godere e possedere, mangiare e bere, divertirsi, accumulare soldi e roba, provare emozioni forti.

È una strada che a prima vista sembra piacevole, ma non sazia il cuore.

Non è così che si “ha la vita”, perché seguendo le strade del piacere e del potere non si trova la felicità.

Restano senza risposta tanti aspetti dell’esistenza come, ad esempio, l’amore, le esperienze inevitabili del dolore, del limite e della morte.

Rimane inappagato il sogno che accomuna tutti: la speranza di vivere per sempre, di essere amati senza fine.

Il Vangelo dice che questa pienezza di vita, a cui ciascuno è chiamato, si realizza in Gesù.

Guardiamo cosa è accaduto ai discepoli. Stanno attraversando il momento più tragico: sono chiusi nel Cenacolo, spaventati e scoraggiati.

Il Risorto si fa loro incontro e mostra le sue piaghe: i segni della sofferenza e del dolore potevano suscitare sensi di colpa, eppure diventano i canali della misericordia e del perdono.

I discepoli toccano con mano che con Gesù la vita vince sempre, la morte e il peccato sono sconfitti.

E ricevono il dono del suo Spirito, che dà loro una vita nuova, da figli amati, impastata di gioia, amore e speranza.

Ecco come fare ad “avere la vita”: basta fissare lo sguardo su Gesù crocifisso e risorto, incontrarlo nei Sacramenti e nella preghiera, riconoscerlo presente, credere in Lui, lasciarsi toccare dalla sua grazia e guidare dal suo esempio, sperimentare la gioia di amare come Lui.

(Regina Caeli in piazza San Pietro)

Mercoledì 10

Terza virtù cardinale:
la fortezza

La catechesi oggi è dedicata alla terza delle virtù cardinali, la fortezza. Partiamo dalla descrizione che ne dà il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni».

Ecco, dunque, la più “combattiva” delle virtù. Se la prima delle virtù cardinali, vale la prudenza, era soprattutto associata alla ragione dell’uomo; e mentre la giustizia trovava la sua dimora nella volontà; questa terza virtù, la fortezza, è spesso legata dagli autori scolastici a ciò che gli antichi chiamavano “appetito irascibile”.

Il pensiero antico non ha immaginato un uomo senza passioni: sarebbe un sasso. E non è detto che le passioni siano necessariamente il residuo di un peccato; però esse vanno educate, indirizzate, purificate con l’acqua del Battesimo, o meglio con il fuoco dello Spirito Santo.

Un cristiano senza coraggio, che non piega al bene la propria forza, che non dà fastidio a nessuno, è inutile.

Gesù non è un Dio diafano e asettico, che non conosce le emozioni umane. Al contrario. Davanti alla morte dell’amico Lazzaro scoppia in pianto; e in certe espressioni traspare il suo animo appassionato, come quando dice: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra».

Davanti al commercio nel tempio ha reagito con forza. Gesù aveva passione.

Questa virtù ci aiuta a portare frutto nella vita. Gli antichi — sia i filosofi greci, che i teologi cristiani — riconoscevano nella fortezza un duplice andamento, uno passivo e un altro attivo.

Il primo è rivolto dentro noi stessi. Ci sono nemici interni che dobbiamo sconfiggere: ansia, angoscia, paura, colpa... forze che si agitano nel nostro intimo e in qualche situazione ci paralizzano.

Quanti lottatori soccombono prima ancora di iniziare la sfida! Perché non si rendono conto di questi nemici interni.

La fortezza è una vittoria anzitutto contro noi stessi. La maggior parte delle paure che nascono in noi sono irrealistiche.

Meglio allora invocare lo Spirito Santo e affrontare tutto con paziente fortezza: un problema alla volta, come siamo capaci, ma non da soli!

Il Signore è con noi, se confidiamo in Lui e cerchiamo sinceramente il bene.

Allora in ogni situazione possiamo contare sulla Provvidenza di Dio che ci fa da scudo e corazza.

Oltre alle prove interne, ci sono nemici esterni, che sono le prove della vita, le persecuzioni, le difficoltà che non ci aspettavamo e ci sorprendono.

Noi possiamo tentare di prevedere quel che ci capiterà, ma in larga parte la realtà è fatta di avvenimenti imponderabili, e in questo mare la nostra barca viene sballottata dalle onde. La fortezza ci fa essere marinai resistenti, che non si spaventano e non si scoraggiano.

È una virtù fondamentale perché prende sul serio la sfida del male nel mondo.

Qualcuno finge che esso non esista, che tutto vada bene, che la volontà umana non sia talvolta cieca, che nella storia non si dibattano forze oscure portatrici di morte.

C’è bisogno
di profeti
scomodi
e visionari
capaci di dire “no” al male

Ma basta sfogliare un libro di storia, o purtroppo anche i giornali, per scoprire le nefandezze di cui siamo un po’ vittime e un po’ protagonisti: guerre, violenze, schiavitù, oppressione dei poveri, ferite mai sanate che ancora sanguinano.

La virtù della fortezza ci fa reagire e gridare un “no” secco a tutto questo.

Nel nostro confortevole Occidente, che ha un po’ annacquato tutto, che ha trasformato il cammino di perfezione in un semplice sviluppo organico, che non ha bisogno di lotte perché tutto gli appare uguale, avvertiamo talvolta una sana nostalgia dei profeti.

Ma sono molto rare le persone scomode e visionarie.

C’è bisogno di qualcuno che ci scalzi dal posto soffice in cui ci siamo adagiati e ci faccia ripetere in maniera risoluta il nostro “no” al male e a tutto ciò che conduce all’indifferenza.

“Sì” al cammino che ci fa progredire, e per questo bisogna lottare.

Riscopriamo nel Vangelo la fortezza di Gesù, e impariamola dalla testimonianza dei santi e delle sante.

Per
il Kazakistan colpito
da alluvioni

Desidero trasmettere al popolo del Kazakistan la mia vicinanza spirituale in questo momento, in cui una massiccia alluvione ha colpito molte regioni del Paese e ha causato l'evacuazione di migliaia di persone dalle loro case.

Invito tutti a pregare per tutti coloro che stanno subendo gli effetti di questo disastro naturale.

(Udienza generale
in piazza San Pietro)