· Città del Vaticano ·

A Porto Alegre, nello stato brasiliano del Rio Grande do Sul, la collaborazione fra istituzioni civili e religiose

Quando l’esperienza
della Chiesa rafforza
le politiche migratorie

 Quando l’esperienza della Chiesa rafforza le politiche migratorie  QUO-078
05 aprile 2024

Il grande lavoro in rete che le istituzioni cattoliche svolgono con organizzazioni della società civile e dello Stato brasiliano fa sì che il loro contributo e la loro opinione siano molto apprezzati al momento di affrontare le sfide che l’arrivo dei migranti comporta.

La vasta esperienza della Chiesa rispetto alla situazione dei migranti nel mondo diventa un’eccellente risorsa quando si tratta di affrontare l’attuale crisi migratoria. È quanto avviene in Brasile, dove diversi organismi ecclesiali offrono un solido contributo allo Stato per elaborare politiche pubbliche che rispondano alle molteplici sfide. Nel comune di Porto Alegre, capitale dello stato Rio Grande do Sul, nel luglio scorso è stata approvata una nuova legge migratoria, a beneficio di più di 35.000 stranieri che vivono nella città, garantendo, tra gli altri diritti, un più facile accesso alla salute e all’istruzione. Questa nuova normativa è stata promossa dal consigliere Roberto Robaina. A suo parere, «la cosa più importante è combattere il razzismo e avere un’idea di fratellanza internazionale perché le persone sono venute qui a causa delle terribili condizioni nei loro paesi, delle immense crisi sociali e politiche». Ma nella stesura di questa legge non si è ascoltata solo la voce dei membri del Consiglio comunale di Porto Alegre ma ci si è anche avvalsi del prezioso contributo del Foro permanente di mobilità umana, ente che coordina diverse istituzioni pro-migranti. All’iter ha partecipato attivamente la religiosa scalabriniana Claudete Rissini, insistendo sulla necessità di lavorare insieme per sensibilizzare il settore pubblico, di modo che queste persone siano riconosciute come soggetti di diritti. «Come Chiesa avvertiamo ancora una certa resistenza perché ci sono persone che non vogliono prestare attenzione né offrire un contesto umanizzato al migrante», afferma suor Claudete.

Il contributo dei mediatori interculturali


Un risultato importante di questa legge è stato lo stanziamento di fondi per il programma dei mediatori interculturali che lavorano nel settore sanitario. Si tratta di un team di cinque persone di diversa provenienza linguistica che facilita l’accesso dei migranti a tutti i servizi sanitari, fungendo da tramite tra pazienti e medici. Non lo fanno solo attraverso la traduzione linguistica ma anche grazie alla loro capacità di decodificare l’intero processo di assistenza medica per renderlo veramente comprensibile. «C’è stata una grande opera di sensibilizzazione da parte degli operatori sanitari, per combattere la xenofobia e il razzismo, per far capire che nessuna persona è illegale e che tutti, cittadini o stranieri, hanno il diritto di accedere all’assistenza sanitaria», spiega soddisfatta Rita Buttes, responsabile comunale della salute dei migranti. Beneficiari regolari di questo servizio sono gli oltre quaranta membri della famiglia Rivero. Si tratta di un clan della tribù warao del Venezuela, che si è stabilito nel quartiere di Camaquã a Porto Alegre nel 2020, dopo aver lasciato la propria casa a Barrancas, un paese dello stato di Monagas. Lì i prezzi dei beni di prima necessità erano saliti alle stelle e a fatica trovavano cibo e medicinali. «Noi indigeni andiamo insieme, non ci separiamo. Mangiamo e balliamo anche insieme», precisa Rodolfo Rivero per spiegare perché l’intero clan si è spostato di 4700 chilometri per stabilirsi in Brasile, dove hanno trovato condizioni di vita molto più accettabili. Il mediatore interculturale Gabriel Lizarraga si è recato diverse volte a casa di questa famiglia warao ed è anche andato con alcuni suoi membri ai centri di assistenza sanitaria: «Accompagniamo le persone agli ambulatori medici per dar loro fiducia, perché a volte provano vergogna, non riuscendo né a parlare né a capire il portoghese», spiega Lizarraga. Quindi, il supporto che offrono ai migranti, sia esso in spagnolo, creolo haitiano, inglese o francese, contribuisce a far sì che nessuno smetta di ricevere un’adeguata assistenza a causa di una barriera linguistica o culturale.

Esteio, città modello


A 16 chilometri a nord di Porto Alegre si trova Esteio, una città con poco più di ottantamila abitanti, attualmente guidata da un giovane sindaco che ha promosso importanti misure di accoglienza per i migranti. Mentre nelle città vicine gli stranieri vengono percepiti come una minaccia, a Esteio la popolazione guarda positivamente ai migranti, apprezzando soprattutto il loro contributo come manodopera che rafforza il mondo del lavoro. Il loro inserimento è riuscito così bene che nelle scuole pubbliche ora si insegna lo spagnolo, affinché anche i brasiliani si arricchiscano con la lingua più comune tra i nuovi concittadini. «Abbiamo buoni partner, molte organizzazioni pubbliche e della società civile che contribuiscono a questo lavoro, e c’è anche un impegno comunitario. La comunità ha capito l’importanza di questa attività e offre il suo contributo in diversi modi, sia attraverso il volontariato e le donazioni, sia partecipando alle iniziative per creare posti di lavoro», sottolinea il sindaco Leonardo Pascoal. “Espaço Mundo” è il nome di uno dei tanti progetti messi in atto nel comune di Esteio per promuovere e rafforzare l’inclusione dei migranti. In un’area dedicata appositamente a loro, possono svolgere attività proprie e ricevere indicazioni per accedere ai servizi del Comune. Inoltre, nello spirito di creare alleanze strategiche, partendo da “Espaço Mundo” vengono messi in contatto con decine di altre istituzioni, tra le quali spicca il Cibai, centro dei religiosi scalabriniani che da oltre settant’anni si dedica ai migranti a Porto Alegre. Lì sanno che la risposta alle sfide poste dalla migrazione richiede un efficiente coordinamento fra tutti gli enti che cercano di accoglierli e di integrarli. «Noi scalabriniani, che abbiamo il carisma di vivere e di lavorare per i migranti, cerchiamo di coinvolgere altre organizzazioni, a livello sia ecclesiale sia della società civile e dei governi», spiega padre Alexandre De Nardi, superiore regionale degli scalabriniani per l’America del Sud. Così, unendo sforzi pubblici, privati ed ecclesiali, si è riusciti a far capire a tutti che, pur avendo obiettivi simili, la forza non si ottiene competendo ma condividendo l’unica missione di rispondere all’immensa mobilità umana che oggi sfida il mondo.

da Porto Alegre (Brasile)
Felipe Herrera-Espaliat


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