
Dopo oltre 20 anni di attesa, 80 abitanti di La Oroya — cittadina a 3.740 metri sul livello del mare, nella parte centrale delle Ande peruviane — hanno avuto giustizia. La Corte interamericana dei diritti umani ha riconosciuto la loro battaglia legale per il diritto a vivere in un ambiente sano, condannando lo Stato del Perú a un risarcimento economico per la contaminazione causata nel corso degli anni da un grande complesso metallurgico situato ai piedi del villaggio.
Attivo sin dal 1922, il complesso metallurgico è stato nazionalizzato negli anni Settanta e, pur costituendo un importante fonte di lavoro, ha reso La Oroya uno dei luoghi più inquinati del pianeta. Così è stata definita questa cittadina delle Ande in un rapporto dell’Istituto Blacksmith di New York, mentre già tra il 2004 e il 2006 il ministero della Salute di Lima rilevava come il 90% dei bambini e delle donne gestanti residenti nell’area avessero alte concentrazioni di piombo nel sangue.
La sentenza di fine marzo ha accolto il ricorso di 80 abitanti di La Oroya, ritenendo lo Stato peruviano responsabile della violazione di numerosi diritti: a vivere in un ambiente sano, alla salute, all'integrità personale, ad una vita dignitosa, all’accesso all'informazione, alle garanzie e alla tutela giudiziarie, all'infanzia e alla vita. In relazione ai minori colpiti dalla contaminazione metallurgica, i giudici hanno concluso che «è possibile» dedurre che lo Stato peruviano ne fosse a conoscenza sin dal 1981.
La Corte interamericana dei diritti umani ha inoltre condannato Lima per non avere indagato sulle molestie subite dai difensori dell’ambiente e sulle denunce da questi presentate al pubblico ministero. Tanti abitanti, a differenza degli 80 ricorrenti, hanno infatti desistito dalla battaglia legale contro il complesso minerario per le minacce e le molestie subite.
I minerali — su tutti rame, oro, argento, piombo e zinco — si confermano condanna e opportunità per il Perú. Oggi, seppure l’attività del complesso metallurgico si sia ridotta, così come la popolazione locale, gli attuali gestori si dicono impegnati ad agire nel rispetto dell’ambiente e questa industria rappresenta ancora la principale fonte di lavoro per molti dei 12.000 abitanti rimasti a La Oroya.
«La sentenza è il primo caso in cui la Corte riconosce la responsabilità di uno stato per la violazione del diritto ad un ambiente sano e le implicazioni che questo ha su molti altri diritti», sottolinea l’avvocato Liliana Ávila, che coordina il programma diritti umani dell’Associazione interamericana per la difesa dell’ambiente. Degli 80 ricorrenti, oggi solo 74 sono ancora vivi, mentre altri sei sono morti per varie cause. Due decessi, quello di Juan di soli 5 anni e María di 14 — così identificati dalla Corte per proteggere la loro identità — sono esplicitamente ritenuti responsabilità dello Stato per le inadempienze nel proteggere il diritto all’ambiente e alla salute.
«La decisione della Corte è irrevocabile e inappellabile», conclude Ávila, secondo cui la nuova battaglia è ora dare attuazione ai dettami della sentenza fino all’effettivo rispetto di tutti gli standard ambientali. (valerio palombaro)