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L’inchiesta di «Scarp de’ tenis»

Un gioco (per niente) da ragazzi

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07 aprile 2024

«Scarp de’ tenis», il giornale di strada realizzato a Milano dalla Caritas e venduto in 17 città della penisola, ha pubblicato nel numero di febbraio un’ampia e approfondita inchiesta sulla preoccupante crescita del numero di giovani e adolescenti attratti nella rete dell’azzardo. Lo racconta per «L’Osservatore di Strada» l’autrice dello “speciale”. Il numero di «Scarp» si può acquistare, in forma digitale, su www.social-shop.it. Una parte del prezzo di copertina va a sostenere il reddito dei venditori del giornale, persone che vivono una situazione di fragilità economica e sociale e attraverso questo lavoro riescono a riprendere in mano la loro vita.

Lo chiamano gioco, ma non lo è. Soprattutto, non è un gioco da ragazzi. Il gioco d’azzardo (anche se sarebbe meglio chiamarlo solo “azzardo”) è un’attività che porta a una vera e propria dipendenza, rubando pian piano sempre più tempo, energie, soldi e vita.

Ma l’aspetto ancora più preoccupante è che questa dipendenza sta colpendo una nuova e più fragile categoria: giovani e ragazzini sempre più piccoli, a volte già agli ultimi anni delle scuole elementari.

«Lo sballo è nel muovere i soldi, nell’illusione che si possa guadagnare facile, senza fatica. Una sorta di Paese dei Balocchi dove Pinocchio pianta i soldi credendo che cresca la pianta», racconta Simone Feder, psicologo coordinatore dell’area giovani e dipendenze della Casa del Giovane di Pavia, da anni impegnato nel contrasto all’azzardo.

Non immaginatevi solo le slot nei bar o i gratta e vinci: l’azzardo per i giovani oggi è dentro casa, nella loro tasca, è spesso dentro il loro telefono. Black jack, slot machine online, Crazy time, soprattutto scommesse e persino criptovalute e aste online. Il mondo in cui i ragazzi si invischiano in giochi di azzardo è sempre più fluido e accessibile.

«La digitalizzazione durante il periodo della pandemia ha riguardato anche il mondo dell’azzardo, aumentando all’infinito le possibilità di gioco. Se in un bar c’è almeno il controllo del barista, da un telefono è facile dichiararsi maggiorenni e accedere dove non si potrebbe — spiega Luciano Gualzetti, presidente della Consulta Nazionale Antiusura —. Quello online è un sistema accattivante, pensato per stimolare l’eccitazione in modo continuo, che abbassa le difese di chi è più fragile. E tra chi è più vulnerabile sicuramente ci sono gli adolescenti».

Secondo uno studio di Espad (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs) nelle scuole italiane, la metà degli studenti ha ammesso di aver “giocato” almeno una volta nella vita, mentre uno su dieci ha un comportamento di gioco considerato “a rischio” e il 6% problematico.

I primi segnali di allarme non sono così evidenti da cogliere: «Spesso i genitori non si rendono conto perché vedono il loro ragazzo al sicuro in casa, magari hanno anche impostato un budget massimo, quindi non c’è un problema di grandi cifre spese. Ma poi il gioco diventa un pensiero fisso, che occupa tutto il tempo, spegne ogni altro interesse, condiziona l’apprendimento a scuola, chiude i rapporti con gli amici e con i familiari. Si arriva a pensieri di morte, depressione, tagli e autolesionismo», spiega Feder.

Nell’inchiesta su questo fenomeno, «Scarp de’ tenis», oltre a riportare le voci degli esperti, ha raccolto storie dal Nord al Sud Italia, da Torino a Napoli, da Pavia a Bari. Come quella di Matteo, che oggi ha 21 anni ed è riuscito con molta fatica a uscirne, con diversi tentativi e l’inserimento in una comunità, e che ricorda con sensi di colpa il periodo in cui la mamma era ricoverata in ospedale e lui non andava nemmeno a trovarla, perché passava il tempo allo smartphone a controllare le puntate delle sue scommesse. Il suo impegno è ora portare la sua testimonianza negli incontri nelle scuole, perché la sensibilizzazione è un’arma molto importante per prevenire le situazioni prima che diventino gravi.

di Marta Zanella