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Sono caduto dal pero e me ne vergogno

 Sono caduto  dal pero  e  me ne vergogno  ODS-020
07 aprile 2024

«Ma sei caduto dal pero?» mi hanno detto. Sì! L’ho dovuto ammettere. Mi è successo, quando, improvvisamente, tramite la sensibilità di persone amiche, ho toccato con mano il fenomeno dell’azzardo. Terribile è stato il risveglio, con sensi di colpa per non essere stato capace di avvertire il pericolo, rendermi conto del dolore e lo sconcerto toccato con mano in tante persone impietrite dalla loro stessa povertà psicologica.

Ho ancora davanti agli occhi il volto disperato di un uomo sull’orlo del suicidio, dipendente del Ministero dell’Istruzione, con moglie — anche lei insegnante — e due figlie, che in quattro anni, cominciando con i “grattini” ha accumulato 850.000 euro di debiti. Ricordo Stefano (nome di fantasia), barese, che è riuscito a farsi comprare dalla famiglia una ricevitoria — da lui stesso utilizzata — che ha dovuto lasciare quando è arrivato al milione e mezzo di buco. Mi rattrista ancora il ricordo delle tante persone trovate per la strada perché la loro pensione faceva il piccolo viaggio dalle pt alla “Las Vegas” del quartiere. E potrei continuare a snocciolare numeri, volti e lacrime.

Il giro di affari intorno a questo problema, per il 2022 si sarebbe aggirato intorno ai 136 miliardi. Il quadruplo dell’ultima manovra di bilancio!

Sono caduto dal pero. E me ne vergogno. Un fenomeno così destabilizzante per la nostra società, dannatamente presente, non percepito, sottovalutato, anzi incoraggiato. Addirittura, c’è nell’ambiente una certa ammirazione, quasi invidia, per chi, puntando, vince. Cosa che produce una tale euforia, in chi gioca, da fargli pensare: Io valgo, ci so fare e gli altri mi invidiano. Da tutto l’ambiente poi arrivano continui messaggi che invitano a provare il gioco.

L’Italia è piena di centri, legali e illegali, in cui si gioca d’azzardo. Gratta e vinci di ogni tipo in quasi tutti i bar, manifesti in cui si sbandierano vincite strabilianti ottenute da una piccola giocata fatta in quel posto. E lo Stato, pur sapendo che il gioco d’azzardo è pericoloso e può indurre una dipendenza tanto che la segnala (ha dato un nome — ludopatia — al gioco d’azzardo compulsivo, anche se sarebbe meglio chiamarlo azzardopatia , perché non è un gioco), lo favorisce moltiplicando le licenze di esercizio. E non si rammarica di ricavarne benefici economici, anche modesti, per spendere poi molto di più per la cura della patologia, che è difficilissima da curare. Dalla droga, si può uscire definitivamente. Dal gioco d’azzardo, anche se per un breve periodo se ne viene fuori, è difficilissimo smettere, ce lo testimoniano i “ludopatici”. È — dicono — come se una forza incontrollabile si sia impadronita di te. Inoltre, e qui è il paradosso: nel caso della droga — dopo un percorso di disintossicazione, quando si ricomincia a vivere una vita normale —, la società aiuta a mantenere il nuovo stile di vita, perché tutti hanno stima di chi è riuscito a tirarsi fuori dalla droga. Si pensa che drogarsi è una sciagura e che riuscire a stame lontano è una vittoria. Per l’azzardo, la cultura corrente non la pensa così, perché la società italiana è ammalata di questa peste. C’è la convinzione che il “colpo di fortuna” possa risolvere tutti i problemi e oggi, che si hanno tante difficoltà per il lavoro e c’è una grande crisi, si fa sempre più forte la convinzione che è il gioco ad aiutare gli audaci, non il merito e la pazienza.

Si vuole tutto e subito. Viene, così, minato il prezioso e sacro tessuto di cultura sociale ed economica italiana che con sacrifici, con piccoli e lenti passi è sempre riuscita a risorgere alla grande da ogni difficoltà. Oggi la prospettiva di uscire dal gioco d’azzardo sembra nulla! È malato l’individuo ed è malata anche la società alla quale si appartiene.

Allora, la domanda: esiste una via per uscire dal gorgo del gioco d’azzardo, una strada che può sembrare un’utopia fantastica non realizzabile?

Sì, c’è! Adottando gli stessi criteri che i gestori del gioco d’azzardo hanno adottato. Questi, per non farsi mancare i clienti di domani, “curano” i bambini.

In molti degli esercizi di gioco d’azzardo hanno creato un locale separato, dedicato ai bambini con tanti bei giochi innocenti e ad accesso libero. È tassativo, però, che loro, i bambini, non possano accedere al locale dove c’è il vero gioco, dove si possono vincere grandi somme, quello riservato agli adulti. Il bambino cresce sognando di diventare presto adulto per essere ammesso a questo gioco miracoloso. Non vede l’ora di diventare un giocatore.

In sintesi: le grandi epidemie, i grandi mali da cui la società è guarita hanno avuto una sola cura: la prevenzione.

Bisogna rivolgere l’attenzione alle giovani generazioni, ai bambini che ancora sono immuni dal demone del gioco d’azzardo e premunirli con una buona dose di saggia cultura economica (ma ce l’abbiamo?). Insegnando loro che le piccole e le grandi difficoltà della vita si risolvono con il lavoro, il merito, la perseveranza, e che anche le giuste ambizioni di benessere e i grandi traguardi sono conseguibili solo gradualmente, non con lo slogan imperante oggi: tutto e subito. Grande stima per quelle persone, anche nello sport, che sanno pubblicizzare, con la loro serietà, la meta raggiunta con l’impegno ed il lavoro.

Una volta ai bambini si consigliava il salvadanaio per le proprie piccole necessità o per realizzare i propri desideri. Si raccontava di non fidarsi come Pinocchio del Gatto e della Volpe, che lo hanno ingannato con il campo dei miracoli, e la società era immune dal demone dell’azzardo.

Sono le giovani coppie che stanno per sposarsi che debbono meditare su questi problemi, quando ancora la frenesia collettiva non li ha contagiati, e prepararsi ad una sana vita economica della loro nuova famiglia. Sono loro che dovranno trasmettere ai figli l’efficacia del merito, del lavoro e della pazienza. Conoscere, riflettere, prevenire, guardare al domani con fiducia. (Enrico Feroci)

del cardinale Enrico Feroci