· Città del Vaticano ·

I volti della povertà in carcere - 9

I volti della povertà in carcere

 I volti della povertà in carcere  ODS-020
07 aprile 2024

Con Cretu siamo entrati nel reparto “giovani adulti” cogliendo attimi di vita quotidiana. Lo abbiamo intervistato nelle “aule avvocati” e poi coinvolto in un momento di condivisione con Giuseppe, suo compagno di reparto, e gli educatori del carcere per parlare di pane e di speranza. Sarà stato provvidenziale, ma questi incontri gli hanno restituito tanto, soprattutto la fiducia di rivedere presto suo figlio. La direzione del carcere di San Vittore ha accolto le nostre richieste e, come sempre, in questi viaggi ci ha offerto l’opportunità di conoscere uomini e donne bisognosi di raccontarsi.

«Signore, insegnaci a diventare
come il pane, che non figura
nella lista delle specialità;
ma è sempre lì per accompagnare.
Signore, aiutaci a coltivare
la tenerezza e la bontà, perché così
è il pane, tenero e buono».

Sono le 9 e il reparto “giovani adulti” prende vita e profuma di forno. È sabato e il menù del pranzo prevede la pizza per i centocinquanta detenuti del raggio. Purtroppo le quantità minime di materia prima non sono in grado di soddisfare tutti, ma Cretu e altri due lavoranti preparano con maestria le grandi teglie da infornare, cercando di far in modo che ci sia pizza per tutti. Il cielo attraverso le sbarre è plumbeo, ma l’atmosfera che si crea tra noi — racconti di vita, tempi di cottura e preparazione dei cibi, battute, qualche risata — placa l’inquietudine sui nostri volti. Il tempo corre velocemente, la pizza è quasi pronta e all’improvviso ci sembra di essere altrove... in un forno, perché quei profumi hanno invaso le sale limitrofe e i corridoi dell’area trattamentale.

Che gioia questa condivisione! Un pezzo di pizza tocca anche a noi, che ci vergogniamo di accettare per non toglierla a chi l’attende ogni sabato. Ma Cretu ci rassicura — «Ce n’è per tutti, mangiate!» — e ci prepara due piatti con la pizza ancora fumante.

Il tema del cibo è molto sofferto a San Vittore, come ci aveva raccontato anche Giuseppe. Nella cucina del carcere si prepara anche con gli avanzi di pane del giorno precedente e, con altri prodotti che la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti riesce a fornire, si reiventano nuove ricette. «Ogni giorno grattugiamo il pane avanzato e con la farina ottenuta prepariamo la pizza per le persone del reparto. Anche la mozzarella non basta e utilizziamo il formaggio che avanza. Il pomodoro si diluisce con un po’ d’acqua».

Quante ore ti occupa l’attività in cucina? «Inizio presto la mattina, alle 7 e fino alle 12 cucino per il pranzo. Poi, dalle 14 fino alle 15 per la cena. Passa più veloce il tempo e le mie giornate qui sono impegnate. Nel tempo libero vado un po’ in palestra».

Cretu affronta i turni quotidiani in cucina con la determinazione dettata dalla fede e dalla responsabilità paterna.

Il giorno prima lo abbiamo incontrato nelle aule avvocati e ci aveva raccontato di sé, della sua storia che inizia nelle campagne della Romania, dieci anni di matrimonio alle spalle e un figlio dodicenne a cui dover mentire sul carcere: «Mi manca moltissimo, le nostre partite a scacchi, il calcio e soprattutto nuotare con lui…».

Com’era la tua vita in Romania?, gli chiedo. «Lavoravo in un ristorante, ma la paga non era sufficiente. La vita in Romania costa come in Italia. Le sigarette costano lo stesso come anche la benzina, come puoi sopravvivere e dare un futuro ad un figlio?».

La promessa vana di un lavoro facile, un contatto via internet, un apparente senso di sicurezza e di successo, senza neanche bisogno di documenti o autorizzazioni, lo aveva portato in Italia. «Ho iniziato a lavorare appena arrivato in Italia, dopo due settimane ho ricevuto i primi soldi. Poi più nulla. Non avevo più nulla e non potevo neanche ritornare in Romania. Mi dicevano: “Il resto del denaro te lo darò poi”». Parole che si sono rivelate ben presto prive di concretezza. I primi guadagni servivano per assaporare l’idea di avercela fatta, ma quelle stesse parole sono diventate delusione e attesa. La speranza si era trasformata in paura e drammatica ricerca di denaro per vivere e lo hanno portato inevitabilmente su un binario sbagliato, un reato e l’arresto.

Per quanto tempo dovrai stare qui? «Tanto… la condanna è di cinque anni, tanti, troppi e quando sarò uscito mio figlio sarà forse diventato già uomo senza un padre accanto».

Cretu, che cosa è per te la speranza? «La speranza è una bacchetta magica, un incantesimo. Spero possa far passare il tempo il più velocemente possibile per riabbracciare mio figlio, tornare a fare una vita normale, anche insieme a lui». (Rossana Ruggiero)

di Rossana Ruggiero