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Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati

 Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati  ODS-020
07 aprile 2024

Sono un insieme di visioni, surreali, amare, nostalgiche ed anche argute, i “canti dalle periferie” che alcuni dei nostri autori ci hanno regalato per questo numero dell’«Osservatore di Strada» dedicato all’azzardo. Così ci ricordano anche che il brivido di “azzardare” non riguarda solo il gioco. Può diventare uno stile di vita, quando si pensa di provare la strada facile, ma scivolosa, di affidarsi alla fortuna per avere tutto e subito. Salvo poi ritrovarsi, quando la fortuna mostra le spalle, anche nella cella di una prigione.

Scorciatoie agevoli
verso l’infelicità

Mi capita di vedere un lui ed una lei davanti ad una slot machine. L’uno e l’altra come se fossero usciti da loro stessi, posseduti da tastiere, luci, immagini accattivanti e prospettive di denaro facile. Sul ciglio della strada, stessi sguardi. La causa? Le moderne macchine dell’illusione di diventare un qualche Re Mida, scorciatoie agevoli verso l’infelicità.

Una notte, a Firenze, ho visto un ragazzo, ancora adolescente, riverso per terra vicino a bottiglie di super alcolici. Il suo fegato in rovina.

Lo stesso mi è capitato a Villa Borghese: due ragazzi dai volti assenti con mozziconi tra le dita e bottiglie di alcol per mettersi in gioco per annientarsi.

Si potrebbe continuare all’infinito. Gli psicofarmaci, ad esempio. Come il “prozac”. Un tipo alla guida di un’automobile falcia un suo simile. Mix di alcolici, psicofarmaci... e poi fasci di gratta e vinci.

Dall’altra parte si vedono le crescite economiche esponenziali di chi trae beneficio da tutto questo.

Ma c’è una visione più tragica.

In un parco, un bambino e suo padre non giocano. La madre di lui, uscita per andare a fare la spesa, è stata uccisa da un automobilista che poi è fuggito. Quel bambino non ha più sua madre e suo padre la donna che amava.

Ecco il veleno. Tutto il denaro che potrete avere non potrà sostituire una madre e una moglie.

Ecco perché in quel parco non sorridono.

Allora dove sta il gioco?

L’azzardo di mettersi in discussione, di lavorare su se stessi, lì c’è il gioco vero che apre spazi di creatività e responsabilità, uniti nel gioco del farsi coinvolgere dalla vita.

Mezzi informatici pieni di scorciatoie, girandole che fanno girare denaro, basta far numero e non contare: il gioco è fatto. Ma la fortuna sta nel rimboccarsi le maniche e darsi da fare. Aprire spazi per non finire, come nella scena iniziale del film «La vita è meravigliosa», quando il protagonista vuole buttarsi dal ponte per farla finita. Nel film, però, qualcosa accade e rimette in azione il gioco del vivere.

Reinventarsi partendo dalle condizioni più avverse. Nulla è statico in questa terra. Basta farsi coinvolgere dalla vita per passare attraverso gli angoli retti dei tuoi percorsi.

Anch’io sono vittima
di questa “pandemia”

Per trattare questo argomento devo prima fare diversi respiri profondi. Vedere il proliferare di “gratta e vinci” e di sistemi telematici che inducono a tentare di diventar ricchi, come pure vedere le file, quasi sempre di persone anziane, davanti alle sale giochi, e l’inerzia delle istituzioni, anzi il loro manifesto interesse a incentivare questo fenomeno distruttivo e dilagante mi induce a rabbia convulsa che stento a nascondere, rischiando di farmi perdere di obiettività.

Io stesso sono vittima di questa “pandemia”. Vent’anni fa, alla sua dipartita, scoprii che mia madre, già vedova di mio padre, giocava ingenti somme alle lotterie nazionali. Era arrivata fino al punto di vendere ad un usuraio la nuda proprietà della sua unica casa. Era certa che, prima di morire, avrebbe vinto, rendendo ricchi me e mio fratello. Sì, perché lo faceva per noi, per i figli.

Nel piccolo paese dove viveva tutti lo sapevano, ma nessuno ci aveva mai detto qualcosa.

Altissimo è il mio grido contro le istituzioni che fingono di occuparsi dell’enorme problema dell’azzardo, riducendo le iniziative di contrasto all’obbligo, per le società titolari dei vari giochi, di stampare frasette tipo “gioca con consapevolezza” e ad altre iniziative che non producono alcun effetto.

Cos’è che spinge così tanta gente in questo vortice terribile? Non è difficile capirlo. A volte mi soffermo a pensare a quello che viene detto “shopping terapeutico”: se spendi ti senti meglio, o quello che inculca la televisione, spingendo persone indifese a bere “l’acqua avvelenata” che propone. Così acquistano cose inutili pur di apparire migliori agli occhi di altri che non conoscono e ai quali non interessa nulla di loro.

Il carcere è pieno
di chi gioca d’azzardo
con la vita

L’azzardo: ovvero il tentativo di mettere la propria persona nella giostra della fortuna. Nel tempo in cui viviamo, l’azzardo è una malattia quando è legato al gioco. Il nostro sistema sanitario lo ha inserito tra le forme di dipendenza.

Ma l’azzardo non è solo questione di gioco e di giocatori. Appartiene alla nostra natura umana, anche se tendiamo a nasconderlo. Ci sono tante forme “semplici” di azzardo di cui siamo stati protagonisti: un sorpasso — quante volte? —, ma anche una domanda posta per ottenere una risposta a noi gradita, un lavoro fatto non proprio a regola d’arte, ma che abbiamo comunque tentato di fare. Insomma, ci si prova. Si tenta e se va bene — come qualche volta capita — si ritenta.

Anche chi finisce in carcere ha sperato che l’azzardo gli andasse bene, così da ripeterlo. Ma, quasi sempre, finisce male e cioè “dentro”. Quante persone, in carcere e fuori dal carcere, sono “giocatori d’azzardo della vita”?.

Il numero è elevato. Parliamo di oltre duecentomila persone che sono in carcere o alle misure alternative o in attesa di essere raggiunti dall’esecuzione della pena. Vivono così perché hanno pensato che, con un azzardo, potesse cambiare la loro vita.

Ci sono intere famiglie che vivono con questa illusione. Se ti va bene, non ti preoccupi più di tanto di quello che hai fatto, ma lo rifai, confidando in quella fortuna che, inevitabilmente, prima o poi ti gira le spalle e ti abbandona nelle mani di giudici, avvocati, alle prese con le lungaggini insopportabili di uno Stato che tradisce la Costituzione perché non rispetta il contenuto della stessa quando parla di rieducazione.

Così l’azzardo entra nella pelle di ognuno e non l’abbandona più, perché l’idea che la fortuna ti assista rimane sempre, anche dopo il carcere.

L’azzardo è dunque da tener lontano, perché se ti assale è difficile liberartene. E qui non ci sono medici o psicologi, ma solo tu, con la tua volontà.

Tresette, mezzo litro
e una gazzosa

Sono nato sessantacinque anni fa in una borgata di Roma. Un posto dove non c’era nulla e i divertimenti per persone, come mio padre, erano le carte e le bocce. Ricordo partite che duravano ore: briscole, tresette... andata e ritorno e, se ci scappava, pure la “bella”.

Giocavano sempre a coppie, due contro due, e si giocavano mezzo litro e una gazzosa. Quando qualcuno sbagliava volavano parolacce o di peggio... fin su in cielo. Però, ricordo che, man mano che giocavano, la partita cambiava forma. Cambiava di senso. Diventava un raccontarsi, un ricordare: ogni carta tirata era accompagnata da un aneddoto, da storie vissute. Così il mezzo litro e la gazzosa perdevano la loro importanza.

Il gioco delle carte era un mezzo per stare insieme. Li sentivo quando raccontavano di storie di guerra e ognuno aveva la sua di storia. Raccontavano di quando, nelle poche ore di riposo al fronte, si giocavano le sigarette e parlavano delle loro famiglie e dei loro figli.

Oggi, vedo persone sole che non parlano più, si mettono davanti a una macchinetta e sono convinti di potersi arricchire facilmente tramite il gioco, sfidando il mondo.

Ma a me piace, e lo voglio ricordare così, il gioco come un momento di aggregazione, di socializzazione, per raccontare le proprie esperienze di vita... e, poi, chi vince vince. Non è questo il problema, anche perché, sicuramente, vince la vita.

Domenico Coliccia

Arios, uomo libero
(Attilio Saletta)

Elio

S.C.