· Città del Vaticano ·

La Sua pace
è il nostro compito

 La Sua pace è il nostro compito  QUO-074
30 marzo 2024

«Pace a voi!». È la prima parola che Gesù risorto rivolge agli apostoli tutti insieme raccolti, per paura, nel Cenacolo. La pace. Oggi più che mai questa parola fa vibrare, commuove, scuote nel profondo. Dire “pace” oggi è come scoprire e indicare agli altri la presenza di una goccia d’acqua nel deserto, nel deserto di un mondo, chiuso nella paura e nella sfiducia, che continua ad essere lacerato da venti di sabbia e di rabbia, quel vento della guerra che da Caino fino ai nostri giorni abita e agita il cuore dell’uomo.

La mancanza di pace non è solo nelle cartine geografiche degli strateghi militari ma è prima ancora nei nostri cuori. E non esiste un luogo nelle cartine geografiche del mondo che sia esente da questa mancanza, non esiste un posto “sicuro”. Dovunque l’uomo stia, convive con questa fonte di violenza che sgorga “da dentro”.

Il campo di battaglia dove il male e il bene si combattono è il cuore dell’uomo, come scriveva Dostoevskij e non si stanca di ricordarci Francesco, con la tenace fiducia che la conversione del cuore è possibile ed è la chiave per raggiungere l’orizzonte della pace. Così come intuiva acutamente il gesuita Silvano Fausti nella sua riflessione sulla Passione secondo Matteo, quando sottolineava che Gesù non è tradito dai suoi nemici ma dai suoi amici e che Giuda non ha un copione da seguire, non è che «toccava a lui fare “la parte del giuda” […] Sta scritto perché noi lo facciamo, non perché Dio ci ha predestinato; sta scritto che da Caino in poi uccidiamo i fratelli, viviamo di violenza. La scrittura è una cronaca, così è la nostra storia. […] Allora il Figlio dell’uomo ci restituisce la nostra umanità che non fa violenza, nel quale si arresta tutta la violenza, si scarica tutta la violenza della nostra disumanità sulla sua croce. Questo è scritto.  Quindi Giuda non fa un peccato strano, fa il peccato che facciamo tutti: è il peccato del mondo, nel quale tutti abbiamo una quota di partecipazione, porta su di sé la nostra violenza, ed è così grave che è meglio non essere nati che farla. Cioè quella violenza è distruzione dell’uomo, è l’inferno, e Gesù viene proprio a salvarci da questo».

A questa proposta inaudita di Gesù che discende nel nostro inferno per portarci il suo paradiso, l’uomo è chiamato a rispondere, nella sua libertà, senza copioni prestabiliti a cui obbedire. Per farlo deve credere che il male può essere estirpato dal cuore, credere in quella goccia d’acqua che sgorga sorprendentemente nel deserto e lo salva, portando una nuova vita, fresca, che zampilla e canta perché non teme più la morte.

Questo canto pasquale è il gioioso compito, il giogo leggero, il destino luminoso del cristiano. 

di Andrea Monda