· Città del Vaticano ·

L’impegno della Cei per Haiti sconvolta dalla violenza delle bande

In una terra che ha fame anche di speranza

epa11232417 A burning tire next to a debris barricade on a street where lifeless bodies were found ...
29 marzo 2024

Quella ad Haiti sarà una Pasqua di un Paese in cui si consuma «una vera e propria guerra», ma nel quale «la preghiera e la fede per una risurrezione di un intero popolo non verranno mai meno». Paolo Beccegato, responsabile del coordinamento amministrativo del Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli della Conferenza episcopale italiana (Cei), al nostro giornale analizza la profonda emergenza che attanaglia la nazione caraibica, in preda alla violenza delle bande armate. Lo fa a pochi giorni dalla pubblicazione del dossier “Camminare insieme – Haiti, un popolo che ha fame… di speranza” in cui la Chiesa italiana, facendo propria la sollecitudine di Papa Francesco per quella terra, ripercorre gli interventi a sostegno della popolazione, mai cessati dopo il devastante sisma del 2010, e rafforza la propria vicinanza ad una popolazione che, secondo l’Onu, è in una situazione “oltre l’insostenibile”.

Nel quadro di una crisi politica, sociale ed economica già grave, a luglio 2021 venne assassinato il presidente Jovenel Moïse, ucciso a Port-au-Prince da un gruppo di sicari colombiani. Da allora gli undici milioni di abitanti di Haiti hanno assistito inermi al deteriorarsi delle condizioni di sicurezza, fatti oggetto di attacchi, saccheggi, rapimenti, abusi, anche sessuali. Dal 29 febbraio scorso si sono ulteriormente intensificate le azioni criminali delle bande, con l’obiettivo di costringere alle dimissioni — annunciate poi il 12 marzo — il primo ministro Ariel Henry. Mentre la Comunità dei Caraibi (Caricom) tenta di far decollare il difficile percorso del Consiglio presidenziale transitorio, che dovrà nominare un primo ministro incaricato di costituire un nuovo governo, non cessano gli assalti contro le stazioni di polizia, il principale aeroporto internazionale, che al momento rimane chiuso, e le due maggiori prigioni della parte occidentale dell’isola di Hispaniola, da cui sono evasi più di 4.000 detenuti. Proseguono i saccheggi di abitazioni civili, scuole, farmacie, ospedali, in particolare a Port-au-Prince, che ha una popolazione stimata di 3 milioni di abitanti e all’80% è controllata dalle bande: tra l’8 e il 20 marzo è stato calcolato che 33.000 persone siano state costrette a fuggire dalla capitale per il deteriorarsi dell’insicurezza. Secondo le Nazioni Unite, dall’inizio dell’anno sono morte oltre 1.500 persone per le violenze.

La gente di Haiti vive di fatto «un conflitto ad alta intensità, circolano armi di grosso calibro, con alcuni gruppi di cittadini che si stanno armando per difendersi dai saccheggi, dai furti, dai rapimenti di queste bande armate, gran parte delle quali sono composte da minori», spiega Beccegato, richiamando un contesto di «povertà estrema che ormai ha colpito gran parte del Paese, con più dell’80% della popolazione che vive in povertà assoluta e metà di essa che è in una situazione di insicurezza alimentare: la Chiesa locale ci testimonia come vi siano già morti per fame».

«La commistione tra povertà e violenza — osserva — segna la situazione generale da decenni: l’insicurezza è molto diffusa, nella capitale e dintorni, mentre nelle aree più remote, quelle rurali, le baby gang sono meno presenti. Lì c’è un problema di approvvigionamento perché di fatto, anche se aeroporto e porto in questo momento sono sostanzialmente bloccati, il grosso delle importazioni passa per Port-au-Prince. Quindi fuori dalla capitale c’è una grandissima scarsità di generi di prima necessità oppure le merci viaggiano sul mercato nero, però a prezzi esorbitanti». L’analisi si sofferma inoltre su un altro duplice fenomeno allarmante. «Se, da un lato, ci sono persone in fuga dalla capitale per cercare di evitare ogni tipo di violenza, dall’altro molti ragazzi attratti dal “miraggio di potere e di denaro” offerto dalle baby gang purtroppo scappano dalle zone rurali per andare ad arruolarsi nelle loro file. Ci sono poi casi di rastrellamenti casa per casa: le gang che hanno carenza di giovani spesso vanno a cercarli, in una sorta di arruolamento “forzato”».

In una situazione che sembra peggiorare di giorno in giorno, la Chiesa «è sempre col suo popolo, attraverso le dieci diocesi, le numerose parrocchie e — ricorda Beccegato — la forte presenza missionaria», che negli anni ha testimoniato il proprio impegno ad Haiti anche con un doloroso tributo di sangue, come quello di suor Luisa Dell’Orto, uccisa nel 2022. A febbraio scorso monsignor Pierre André Dumas, vescovo di Anse-à-Veau e Miragoâne, è invece rimasto gravemente ferito per una esplosione a Port-au-Prince. Tanti religiosi e religiose hanno inoltre vissuto in prima persona la tragica esperienza del sequestro.

In quasi 15 anni, anche dopo il terremoto del 2010, per le emergenze dovute ad altre forti scosse sismiche che hanno aggravato le conseguenze del colera o gli effetti della devastazione dell’uragano Matthew, spiega Beccegato, la Cei è rimasta al fianco degli haitiani, destinando «circa 40 milioni di euro, tra quelli reperiti dalle risorse dell’8x1000 e quelli raccolti tramite le collette e gli appelli alla popolazione italiana», per interventi emergenziali, progetti di sviluppo socio-economico, accompagnamento alle diocesi locali: mobilitata la Caritas Italiana, in collaborazione con la Caritas Haiti ed altre realtà sul territorio. In questo momento, riferisce, prevalgono «gli aiuti umanitari», per portare un sostegno tangibile a chi è nel bisogno, frutto concreto di quella preghiera e vicinanza di Papa Francesco per l’«amato Paese provato da tanta violenza».

di Giada Aquilino