· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-072
28 marzo 2024

Sabato 23

Informazione
corretta
pluralista
e senza
pregiudizi

Settant’anni di televisione, cento di radio: un doppio compleanno, che vi invita a guardare indietro, alla vostra storia, intrecciata con quella italiana; e sfida a guardare al futuro, al ruolo che avrete in un tempo dove ogni vita è sempre più connessa con le altre.

In Vaticano molti conoscono questi luoghi, perché la Rai ha sempre seguito da vicino i Successori di Pietro. Essa non è stata solo testimone dei processi di cambiamento della società: in parte, li ha costruiti.

I media, infatti, influiscono nel bene e nel male. Qui è il senso del servizio pubblico che svolgete. Vorrei riflettere con voi su queste due parole: servizio e pubblico.

Servizio

è una parola che spesso riduciamo al significato strumentale, finendo per confondere il servire con il servirsi, la dedizione con l’uso.

Il vostro lavoro, invece, vuole essere una risposta ai bisogni dei cittadini, in spirito di apertura universale, con un’azione capace di articolarsi sul territorio senza diventare localista, nel rispetto della dignità di ogni persona.

Un contributo alla verità e al bene comune che assume risvolti precisi nell’informazione, intrattenimento, cultura e tecnologia.

Nell’informazione, servire significa promuovere la verità, contrastando le fake news e il subdolo disegno di chi cerca di influenzare l’opinione pubblica in modo ideologico, mentendo e disgregando il tessuto sociale.

La verità è una, è armonica, non si può dividere con gli interessi personali.

Significa evitare ogni riduzione ingannevole, ricordando che la verità è “sinfonica” e la si coglie meglio imparando ad ascoltare la varietà delle voci — come in un coro — piuttosto che gridando sempre e soltanto la propria idea.

Significa servire il diritto dei cittadini a una corretta informazione, trasmessa senza pregiudizi, non traendo conclusioni affrettate ma prendendo il tempo necessario per capire e riflettere, combattendo l’inquinamento cognitivo, perché anche l’informazione dev’essere “ecologica”. Significa garantire un pluralismo rispettoso delle diverse opinioni e fonti.

Coltivare il dialogo, tessendo trame di unità... bisogna ascoltare. Tante volte l’ascolto serve a prepararmi la risposta, ma non è vero ascolto pensare alla mia posizione senza ricevere quella degli altri.

Il pluralismo riguarda anche i linguaggi della comunicazione: cinema, fiction, serie tv, programmi culturali e intrattenimento, sport, programmi per bambini.

Nella nostra epoca ricca di tecnica ma povera di umanità, promuovere la ricerca della bellezza, avviare dinamiche di solidarietà, custodire la libertà, lavorare perché ogni espressione artistica aiuti ad elevarsi, riflettere, emozionarsi, sorridere e anche piangere di commozione, per trovare nella vita un senso, un significato che non sia arrendersi al peggio.

Quanto alla tecnica e alla tecnologia, sono tante le domande [su] modelli di regolamentazione etica per arginare i risvolti dannosi e discriminatori, socialmente ingiusti, dei sistemi di intelligenza artificiale e contrastare il loro utilizzo nella riduzione del pluralismo, nella polarizzazione dell’opinione pubblica o nella costruzione di un pensiero unico.

Pubblico

La seconda parola sottolinea che il vostro lavoro è connesso al bene comune e non solo di qualcuno. Ciò comporta l’impegno a dar voce specialmente agli ultimi.

Implica la vocazione a essere strumento di crescita nella conoscenza, a far riflettere e non alienare, ad aprire nuovi sguardi sulla realtà e non ad alimentare bolle di indifferenza, a educare i giovani a sognare.

L’intero sistema dei media a livello globale ha bisogno di essere provocato e stimolato a mettersi in discussione, per guardare al di là... è una responsabilità alla quale non potete sottrarvi, se volete tenere alto il livello.

Non inseguire gli ascolti a scapito dei contenuti: costruire, attraverso la vostra offerta, una domanda diffusa di qualità.

La comunicazione, in quanto dialogo per il bene, può svolgere un ruolo anche nel ritessere valori vitali. La Rai entra ogni giorno in tante case, ed è bello pensare alla sua presenza non come a una “cattedra di tuttologi”, ma a un gruppo di amici che bussano alla porta offrire compagnia, condividere gioie e dolori, promuovere in famiglia e nella società unità e riconciliazione, ascolto e dialogo, per informare e anche per mettersi in ascolto.

(Ai dipendenti della Radiotelevisione Italiana)

Lunedì 25

Integrare
e dialogare
a partire
dalla propria
identità

Vorrei soffermarmi su tre elementi: gratitudine, ricchezza nella diversità e dialogo. Ringraziare Dio per i numerosi giovani nigeriani che hanno ascoltato la chiamata del Signore al sacerdozio e alla vita consacrata e hanno risposto con generosità, umiltà e perseveranza.

Ce ne sono alcuni qui, giovani sacerdoti e suore. A ciascun seguace di Gesù secondo la sua particolare vocazione, è affidata la responsabilità di servire Dio e il prossimo, rendendo Cristo presente nella vita dei fratelli.

La diversità di etnie, tradizioni culturali e lingue nella vostra Nazione non costituisce un problema, ma è un dono che arricchisce e consente di promuovere i valori della comprensione e della convivenza.

Spero che la vostra comunità, nell’accogliere e accompagnare i fedeli nigeriani e gli altri credenti, assomigli a una famiglia inclusiva, dove tutti possano mettere a frutto i propri talenti, che sono frutti dello Spirito Santo, per sostenervi e rafforzarvi a vicenda nei momenti di gioia e di dolore, di successo e di difficoltà.

Attenti al pericolo di non essere universali ma chiudersi in un isolamento tribale. Le vostre radici si chiudono, si isolano in questo atteggiamento tribale e non comunitario. Comunità sì, tribù no. Questo vale per tutti.

Purtroppo, molte regioni del mondo stanno attraversando conflitti e sofferenze, anche la Nigeria. Nell’assicurarvi la mia preghiera per la sicurezza, l’unità e il progresso spirituale ed economico, invito a favorire il dialogo e ad ascoltarsi a vicenda, senza escludere nessuno a livello politico, sociale e religioso.

Integrare, dialogare, universalizzare, sempre a partire dalla propria identità. Allo stesso tempo, incoraggio a essere annunciatori della misericordia del Signore, operando per la riconciliazione, contribuendo ad alleviare il peso dei poveri e bisognosi.

(Alla comunità cattolica dei nigeriani in Roma)

Martedì 26

Corruzione
e riciclaggio
favoriscono
il narcotraffico

In un momento di crisi, come quelli che vive la città del Rosario, comprendiamo il bisogno della presenza delle forze di sicurezza per portare tranquillità alla comunità.

Nel cammino della pace si devono percorrere risposte complesse e integrali, con la collaborazione di tutte le istituzioni.

Ogni popolo ha in sé gli strumenti per superare ciò che attenta alla sua integrità.

Senza complicità di un settore del potere politico, giudiziario, economico, finanziario e della polizia non sarebbe possibile arrivare alla situazione in cui si trova la città.

Tutti sono chiamati a percorrere il cammino del consenso e del dialogo per generare leggi e politiche pubbliche che accompagnino un processo di recupero del tessuto sociale.

L’alternanza delle amministrazioni deve sostenere la continuità dei processi di cambiamento. Occorre lavorare non solo sull’offerta, ma anche sulla domanda di droghe, attraverso politiche di prevenzione e di assistenza.

Il silenzio dello Stato in questo campo facilita la promozione del consumo di droghe e la loro commercializzazione.

Il sistema democratico vegli sull’istituzionalità della giustizia, di modo che possa essere indipendente, per indagare sulle reti della corruzione e del riciclaggio di denaro che favoriscono l’avanzare del narcotraffico.

Ogni membro del potere giudiziario è responsabile di custodire la sua integrità, che inizia dalla rettitudine del cuore.

Vanno ringraziati tutti quegli uomini e quelle donne che, con silenzioso impegno per la giustizia, tante volte mettono a rischio la vita per il bene comune in un contesto spesso disumanizzato.

Si prospetta un grande compito nel settore imprenditoriale, non solo impedendo la complicità negli affari con le organizzazioni mafiose, ma anche impegnandosi socialmente.

Ci sono grandi esempi di ciò nella vita dell’imprenditoria argentina, tra i quali Enrique Shaw.

Nessuno si salva da solo, anche nei quartieri privati si possono trovare l’insicurezza e la minaccia del consumo per i propri figli.

La pace esige la creatività e l’impegno di tutti coloro che hanno il dono d’intraprendere e innovare.

Dato che, in ogni sistema mafioso, i poveri sono il materiale “usa e getta”, invito a unire gli sforzi affinché lo Stato e le istituzioni intermedie possano offrire spazi comunitari nei quartieri vulnerabili.

Creare condizioni affinché bambini, adolescenti e giovani abbiano un futuro migliore di quello che hanno avuto i genitori e nonni.

Tutti — istituzioni sociali, civili e religiose — dobbiamo essere uniti per creare comunità. Rosario può contare su una grande ricchezza di istituzioni al servizio degli altri.

Tutti possiamo collaborare e partecipare agli spazi sportivi, educativi e comunitari. Il timore isola, paralizza. Non dovete aver paura d’impegnarvi per essere risposta pacifica e ispiratrice.

La Chiesa, Madre e samaritana, è chiamata ad accompagnare i familiari delle vittime che hanno perso la vita a causa della violenza, accompagnare i malati, quanti vivono la piaga delle dipendenze e i loro familiari, accompagnare quanti si trovano in carcere e hanno bisogno di reinserimento, accompagnare quanti vivono in situazioni di vulnerabilità.

La parrocchia è la Chiesa che si fa vicina, è la comunità dove tutti possono sentirsi amati. Per molti bambini, adolescenti e giovani vulnerabili sarà forse l’unica esperienza di famiglia che avranno l’opportunità di conoscere.

In questi tempi, l’amore, la carità, sarà l’annuncio più esplicito del Vangelo per una società che si sente minacciata.

(Videomessaggio alla città argentina di Rosario)

Mercoledì 27

Cristiani
controcorrente
in un mondo
dominato
dalla fretta

Domenica scorsa abbiamo ascoltato il racconto della Passione del Signore. Alle sofferenze che subisce, Gesù risponde con una virtù che, pur non contemplata tra quelle tradizionali, è importante: la pazienza.

Essa riguarda la sopportazione di ciò che si patisce: non a caso pazienza ha la stessa radice di passione.

E proprio nella Passione emerge la pazienza di Cristo, che con mitezza e mansuetudine accetta di essere arrestato, schiaffeggiato e condannato ingiustamente; davanti a Pilato non recrimina; sopporta gli insulti, gli sputi e la flagellazione dei soldati; porta il peso della croce; perdona chi lo inchioda al legno e sulla croce non risponde alle provocazioni, ma offre misericordia.

La pazienza di Gesù non consiste in una stoica resistenza nel soffrire, ma è il frutto di un amore più grande.

L’Apostolo Paolo nel cosiddetto “Inno alla carità” congiunge strettamente amore e pazienza.

Nel descrivere la prima qualità della carità, utilizza una parola che si traduce con “magnanima”, “paziente”.

Esprime un concetto sorprendente, che torna spesso nella Bibbia: Dio, di fronte alla nostra infedeltà, si mostra «lento all’ira»: anziché sfogare il proprio disgusto per il male e il peccato, si rivela pronto ogni volta a ricominciare con infinita pazienza.

Questo per Paolo è il primo tratto dell’amore di Dio, che davanti al peccato propone il perdono.

Non solo: è il primo tratto di ogni grande amore, che sa rispondere al male col bene, che non si chiude nella rabbia e nello sconforto, ma persevera e rilancia.

Alla radice della pazienza c’è l’amore.

Si potrebbe dire che non c’è migliore testimonianza dell’amore di Gesù che incontrare un cristiano paziente.

Pensiamo anche a quante mamme e papà, lavoratori, medici e infermieri, ammalati che ogni giorno, nel nascondimento, abbelliscono il mondo con una santa pazienza!

Tuttavia, siamo spesso carenti di pazienza. Nel quotidiano siamo impazienti, tutti.

Vitamina
essenziale

Ne abbiamo bisogno come della “vitamina essenziale” per andare avanti, ma ci viene istintivo spazientirci e rispondere al male col male.

È difficile stare calmi, controllare l’istinto, trattenere brutte risposte, disinnescare litigi e conflitti in famiglia, al lavoro o nella comunità cristiana.

Non siamo capaci di essere pazienti. Ricordiamo però che la pazienza non è solo una necessità, è una chiamata: se Cristo è paziente, il cristiano è chiamato a essere paziente.

Ciò chiede di andare controcorrente rispetto alla mentalità oggi diffusa, in cui dominano la fretta e il “tutto subito”; dove, anziché attendere che maturino le situazioni, si spremono le persone, pretendendo che cambino all’istante.

Non dimentichiamo che la fretta e l’impazienza sono nemiche della vita spirituale. Perché Dio è amore, e chi ama non si stanca, non è irascibile, non dà ultimatum, sa attendere.

Pensiamo al racconto del Padre misericordioso, che aspetta il figlio andato via di casa: soffre con pazienza, impaziente solo di abbracciarlo appena lo vede tornare; o pensiamo alla parabola del grano e della zizzania, con il Signore che non ha fretta di sradicare il male prima del tempo, perché nulla vada perduto.

La pazienza ci fa salvare tutto. In questi giorni contemplare il Crocifisso per assimilarne la pazienza.

Un bell’esercizio è anche quello di portare a Lui le persone più fastidiose, domandando la grazia di mettere in pratica nei loro riguardi quell’opera di misericordia tanto nota quanto disattesa: sopportare pazientemente le persone moleste.

Si comincia dal chiedere di guardarle con compassione, sapendo distinguere i loro volti dai loro sbagli.

Abbiamo l’abitudine di catalogare le persone con gli sbagli che fanno. Non è buono questo. Cerchiamo le persone per i loro volti, per il loro cuore e non per gli sbagli!

Un’amicizia
oltre la guerra
e il dolore

Qui oggi ci sono due papà: uno israeliano e uno arabo. Ambedue hanno perso le figlie in questa guerra [ma] sono amici.

Non guardano all’inimicizia della guerra, ma guardano l’amicizia di due uomini che si vogliono bene e che sono passati per la stessa crocifissione.

Pensiamo a questa testimonianza bella di queste due persone che hanno sofferto la guerra della Terra Santa.

(Catechesi all’udienza generale nell’Aula Paolo vi)

Dalla Passione
alla
Risurrezione
per una Pasqua
di pace

Da tempo vi penso e ogni giorno prego per voi. Ma ora, alla vigilia di questa Pasqua, che per voi sa tanto di Passione e ancora poco di Risurrezione, sento il bisogno di dirvi che vi porto nel cuore.

Sono vicino a tutti voi, nei vostri vari riti, cari fedeli cattolici sparsi su tutto il territorio della Terra Santa: in particolare a quanti, in questi frangenti, stanno patendo più dolorosamente il dramma assurdo della guerra, ai bambini cui viene negato il futuro, a quanti sono nel pianto e nel dolore, a quanti provano angoscia e smarrimento.

La Pasqua, cuore della nostra fede, è ancora più significativa per voi che la celebrate nei Luoghi in cui il Signore è vissuto, morto e risorto: non solo la storia, ma neanche la geografia della salvezza esisterebbe senza la Terra che voi abitate da secoli, dove volete restare e dov’è bene che possiate restare.

Grazie per la vostra testimonianza di fede, grazie per la carità che c’è tra di voi, grazie perché sapete sperare contro ogni speranza.

Desidero che ciascuno di voi senta il mio affetto di padre, che conosce le vostre sofferenze e le vostre fatiche, in particolare quelle di questi ultimi mesi.

Insieme al mio affetto, possiate percepire quello di tutti i cattolici del mondo!

Il Signore Gesù, nostra Vita, come Buon Samaritano versi sulle ferite del vostro corpo e della vostra anima l’olio della consolazione e il vino della speranza.

Pensandovi, torna alla memoria il pellegrinaggio che ho compiuto in mezzo a voi dieci anni fa; e faccio mie le parole che San Paolo vi, primo Successore di Pietro pellegrino in Terra Santa, rivolse a tutti i credenti cinquant’anni fa: «Il protrarsi dello stato di tensione nel Medio Oriente, senza che siano compiuti passi conclusivi verso la pace, costituisce un grave e costante pericolo, che minaccia non solo la tranquillità e la sicurezza di quelle popolazioni – e la pace del mondo intero – ma anche certi valori sommamente cari, per diversi motivi, a tanta parte dell’umanità» (Esort. Ap. Nobis in Animo).

La comunità cristiana di Terra Santa non è stata soltanto, lungo i secoli, custode dei Luoghi della salvezza, ma ha costantemente testimoniato, attraverso le proprie sofferenze, il mistero della Passione del Signore.

Con la sua capacità di rialzarsi e andare avanti, ha annunciato e continua ad annunciare che il Crocifisso è Risorto, che con i segni della Passione è apparso ai discepoli e salito al cielo, portando al Padre la nostra umanità tormentata ma redenta.

In questi tempi oscuri, in cui sembra che le tenebre del Venerdì santo ricoprano la vostra Terra e troppe parti del mondo sfigurate dall’inutile follia della guerra, che è sempre e per tutti una sanguinosa sconfitta, voi siete fiaccole accese nella notte; siete semi di bene in una terra lacerata da conflitti.

Per voi e con voi prego: Fa’ che nessuno ci rubi dal cuore la speranza di rialzarci e di risorgere con te, che non ci stanchiamo di affermare la dignità di ogni uomo, senza distinzione di religione, di etnia o di nazionalità, a partire dai più fragili: dalle donne, dagli anziani, dai piccoli e dai poveri.

Non siete soli e non vi lasceremo soli, ma rimarremo solidali con voi attraverso la preghiera e la carità operosa, sperando di poter tornare presto da voi come pellegrini, per guardarvi negli occhi e abbracciarvi, per spezzare il pane della fraternità e contemplare quei virgulti di speranza cresciuti dai vostri semi, sparsi nel dolore e coltivati con pazienza.

So che i vostri Pastori, i religiosi e le religiose vi sono vicini: li ringrazio per quanto hanno fatto e continuano a fare.

Cresca e risplenda, nel crogiolo della sofferenza, l’oro dell’unità, anche con i fratelli e le sorelle delle altre Confessioni cristiane, ai quali pure desidero manifestare vicinanza e incoraggiamento.

Rinnovo l’invito a tutti i cristiani del mondo a farvi sentire il loro sostegno concreto e a pregare senza stancarsi, perché l’intera popolazione della vostra cara Terra sia finalmente nella pace.

(Lettera ai cattolici di Terra Santa)