· Città del Vaticano ·

A colloquio con don Giovanni La Manna, direttore della Caritas della diocesi di Trieste

Al centro la dignità
dei migranti

 Al centro la dignità dei migranti  QUO-066
21 marzo 2024

Dormono in tende malandate, tra il fango, i topi, il freddo, dopo un viaggio disseminato di pericoli, violenze e traumi, non ancora giunto al termine. I migranti che giungono a Trieste, dopo aver percorso la cosiddetta “rotta balcanica”, da anni sono costretti a rifugiarsi nella struttura faticente dell’ex silos, a poca distanza dalla stazione centrale. Davanti a questa drammatica situazione, sono diverse le associazioni scese in campo al fianco di coloro che non riescono a entrare nei circuiti di accoglienza o che attendono l’esito della richiesta di protezione internazionale. In prima linea la Caritas di Trieste, come spiega a «L’Osservatore Romano» il direttore don Giovanni La Manna: «La Caritas è impegnata da anni nell’accoglienza e nell’accompagnamento dei migranti, dei rifugiati, dei senza fissa dimora e di tutte le persone che sono in difficoltà. Le povertà sono tante e per ogni situazione si cerca di dare una risposta: abbiamo un centro di ascolto, una scuola di italiano, servizio legale, formazione al lavoro». Da pochi mesi, inoltre, è stato inaugurato un dormitorio per 25 persone e alcune famiglie, su iniziativa del nuovo vescovo Enrico Trevisi. «Avendo visitato il silos e visto quanti si fermano in piazza della libertà, il vescovo ha avuto il desiderio di fare qualcosa come segno ed espressione della comunità di credenti presenti a Trieste», spiega La Manna, che ben conosce le sofferenze dei migranti, anche grazie al suo precedente servizio come presidente del Centro Astalli dal 2004 al 2014. «I migranti vivevano nel silos di Trieste dal 2016-2017: era una situazione che durava da tempo e su cui si è fatto fatica a trovare un’alternativa dignitosa», afferma.

Di recente, infatti, un’interrogazione parlamentare ha sollevato la questione all’attenzione del ministro dell’Interno italiano Matteo Piantedosi, che ha dichiarato l’intenzione di attrezzare il campo scout nella frazione di Prosecco, per adibirlo all’accoglienza dei migranti su quel territorio. Una soluzione che, secondo La Manna, «è frutto di un lavoro che non si vede e che ha richiesto del tempo», anche se non sono mancate le polemiche. «Credo sia importante evitare contrapposizioni che nascono da idee politiche diverse, da punti di vista diversi — spiega il sacerdote —. Invito ad andare al silos e a vedere in che condizioni indegne sono costrette a vivere queste persone. La soluzione è uno spazio gestito dalla Caritas: ci sono delle stanze, dei letti e non delle tende messe sopra fango e all’acqua, quando piove e si allaga. Ci sono bagni, docce, la possibilità di consumare un pasto in luoghi dignitosi». Si tratta, dunque, di «un passaggio da una situazione indegna a una più degna, senz’altro migliorabile», afferma. D’altronde l’ex silos «è un luogo indegno — ribadisce il presidente della Caritas di Trieste — dove le persone cercano un accampamento di fortuna, in attesa di entrare nei circuiti dell’accoglienza. Nella migliore delle ipotesi, hanno percorso poche volte la rotta balcanica. Ci sono persone che raccontano di aver impiegato dieci anni per arrivare da noi, che hanno subito violenza lungo il percorso. Si fa di tutto per scoraggiarne il viaggio piuttosto che sostenerli e, oltretutto, la maggioranza dei paesi europei sono firmatari della Convenzione di Ginevra».

Sono tanti e diversi i percorsi di viaggio dei richiedenti asilo: «Arrivano a piedi dopo migliaia di chilometri a tappe, toccando spesso Turchia, Grecia, passando per diversi paesi balcanici. A volte vengono fermati in Croazia, Bosnia, Slovenia e tentano il viaggio più volte». Lo chiamano “game”, ma il loro non è un gioco: è una cruda realtà, difficile da sopportare, e che li porta, in alcuni casi, a ricorrere agli psicofarmaci, senza prescrizione medica, per aumentare la soglia della resistenza, come emerge dai racconti che ascolta spesso don La Manna. In questa situazione come agire da cristiani? «Ce lo ha ricordato Pif (pseudonimo di Pierfrancesco Diliberto, regista e scrittore) in una recente trasmissione, quando ha detto: “Entri nel silos di Trieste ed è qui che incontri Cristo”. Umanità sofferente: è la sintesi di ciò che viviamo e crediamo. Nel sofferente, in colui che è messo in croce, si può riconoscere Gesù Cristo». Molte storie lasciano sconvolti: «Quando vedo un giovane, che deve essere partito minorenne — perché ha 23 anni e ha impiegato 10 anni per arrivare a Trieste — penso che verremo ricordati come una civiltà barbara, che rimane indifferente alle morti in mare e alle tragedie di queste persone», denuncia il presidente della Caritas di Trieste. «Dobbiamo ricordare che tutti coloro che lasciano il proprio paese per venire in Italia e in Europa, sono innanzitutto persone e poi che non hanno scelta — continua —. Quanti, nel nostro “civilissimo” mondo, sarebbero disposti a pagare in prima persona per rimanere fedeli alla propria dignità, alla propria religione e alla propria idea politica?». Una esemplificativa reazione della società è quella avvenuta a seguito dei fatti dell’Afghanistan, le cui drammatiche immagini hanno lasciato tutti «indignati, rattristati, arrabbiati». Poi, però, «quando si vede arrivare un afgano — afferma la Manna — diventa un problema»: «Su questo bisogna lavorare: non possiamo reagire sempre emotivamente, ma dobbiamo sedimentare ciò che viviamo e questo dovrebbe alimentare la nostra curiosità di capire come stanno le cose e perché queste persone scappano dal proprio paese». Da lì l’appello a «svegliare le coscienze e reagire con consapevolezza» e a «uscire dalla contrapposizione ideologica dalla diversità di pensieri»: «Con libertà affrontiamo le situazioni concrete, mettendo al centro la dignità e i diritti di queste persone. Il protagonismo va messo da parte e dobbiamo lavorare tutti — istituzioni, Caritas e realtà di volontariato — per il bene di queste persone».

di Beatrice Guarrera