· Città del Vaticano ·

Un nuovo gruppo di minori è arrivato questa notte in Italia per ricevere cure mediche

Le ferite dei bambini di Gaza

Padre Ibrahim Faltas accoglie i gazawi all’interno dell’aereo atterrato a Ciampino stanotte  (foto: George Jaraiseh)
11 marzo 2024

Jiwan ha 7 anni.  Le sue parole sono un torrente in piena.  E quando non parla, canta.  Canta canzoncine popolari palestinesi. Canzoni che alternano tenerezza a rabbia. Il mediatore culturale che l’assiste all’ospedale Rizzoli di Bologna ce ne traduce qualche brano.  Perché Jiwan, a soli 7 anni, parla e ragiona come un adulto. Il suo interminabile parlare indica una ferita psicologica, forse anche peggiore di quella fisica. Una ferita dalla quale forse non guarirà mai.  Perché quello che ha vissuto, e quello che ha visto, saranno indelebili nella sua memoria.  Le sue gambe sono maciullate dalle macerie della sua casa, colpita dalle bombe israeliane, da cui l’hanno estratta ancora viva. Suo padre no.  Suo padre è rimasto sotto. Lei lo sa che suo padre non c’è più, ma non ne vuole parlare. La fragilità della bambina è compensata da un’intelligenza straordinaria.  A Gaza non si può essere bambini a lungo, si diventa adulti subito.  In sole due settimane al Rizzoli è riuscita ad imparare anche un po’ di italiano. «Ti vollio tanto tanto tanto bene» dice a padre Ibrahim Faltas che le ha portato in dono un grande uovo di Pasqua. La dottoressa che ci accompagna la osserva in un misto di apprensione e di dolcezza e ci racconta: «Ora è molto socievole e parla tanto per difendersi dalla sua ferita interiore, ma appena arrivata è stato molto difficile: temeva di essere finita in mano agli israeliani, voleva ogni momento avere la certezza che anche noi medici e le infermiere non fossimo israeliani». Le sue fratture sono scomposte, occorreranno interventi e molto tempo perché possa guarire. Qui è accompagnata dalla zia, che oggi è preoccupata. Non riesce a parlare con il fidanzato, che vorrebbe sposare presto, ma non sa quando potrà mai rientrare a Gaza. E intanto lui è in pericolo. 

Shaimaa ha cinque anni. Quando entriamo nella sua stanza si nasconde sotto le lenzuola. Ma, come la sua amica Jiwan, è tutt’altro che timida.  Semplicemente non vuole farci vedere la gamba che non c’è più. Anche lei è accompagnata da una giovane zia.  Che ci racconta: «È stata estratta dalle macerie della sua casa bombardata dall’aviazione israeliana, i soccorritori si sono subito resi conto che per salvarle la vita era necessario tagliarle la gamba. È stata operata subito, dentro una tenda, pulita con acqua piovana, e soprattutto è stata amputata senza anestesia». Ci colgono i brividi solo ad immaginarlo. Al Rizzoli è stata operata di nuovo, e forse altri interventi saranno necessari per correggere l’amputazione, fino a renderla compatibile con l’inserimento di una protesi. Quando Shaimaa sente che stiamo parlando e giocando con Jiwan si fa forza, vince l’imbarazzo, e ci raggiunge nella sala d’ aspetto. Ora, accanto alla sua amichetta, è più serena.  Si affida ai nostri abbracci. Sorride. Ma di un sorriso colmo di tristezza. 

Salem ha sei anni.  La bomba israeliana lo ha colpito mentre andava a prendere il pane. Più delle fratture per lui sono stati micidiali i frammenti della bomba. Ha un centinaio di piccole schegge su tutto il corpo e sul viso. La maggior parte lo accompagneranno per tutta la vita. Gli vengono estratte solo quelle pericolose per gli organi vitali. Già ha subito due operazioni per estrarle dagli occhi, e non ci vede molto bene. Dobbiamo anche parlargli a voce alta perché la bomba gli ha leso i timpani. Sarà forse per questo che, a differenza delle due ragazzine, rimane in silenzio e in disparte. O forse è timido. O forse, più probabilmente è traumatizzato. Poi si risveglia quando squilla il telefono della nonna che lo accompagna. È suo padre che lo chiama da Gaza. Sbirciamo la video chiamata e vediamo che dietro il viso del padre c’è un panorama che sembra lunare, di totale distruzione. Lui risponde a monosillabi ma sorride, si vede che ora è contento. «Voglio tornare da te» sibila al padre.  Dopo la telefonata, complice un uovo di cioccolata che attende anche lui, esce dalla stanza e si unisce a noi e alle due bambine. Ora sembra più sollevato. 

«Non stiamo facendo nulla di speciale» è la bugia buona che ci porge Anselmo Campana, il direttore del Rizzoli. Modestia smentita dall’osservazione dei medici e degli infermieri che non sembrano affatto presi dall’ordinarietà trattando questi bambini. La passione che esprimono gli occhi della caposala Caterina Guerra ce lo conferma. 

Fuori del palazzo del Comune un grande striscione reclama «Ceasefire now!», «Cessate il fuoco ora». «Bologna continua a rimanere aperta al soccorso di chi è in difficoltà, nell’impegno quotidiano per offrire accoglienza alle vittime, ai deboli e ai vulnerabili – spiega il cardinale Matteo Maria Zuppi –. Quello che Hamas ha fatto il 7 ottobre è terribile, non ha giustificazioni e va condannato. Ma con altrettanta fermezza bisogna dire che la giustizia non è mai vendetta e la reazione di Israele è spropositata. Il terrorismo non lo si sconfigge con una guerra, anzi la guerra lo alimenta perché è sempre fonte di rabbia e mai di pace». Le ferite e gli sguardi di questi bambini gli danno ragione. 

Dopo gli arrivi delle scorse settimane, è atterrato questa notte all’aeroporto di Ciampino un aereo con nuovi bambini provenienti da Gaza, traferiti in Italia per essere curati. Ad accoglierli in aeroporto padre Ibrahim Faltas e il generale Francesco Paolo Figliuolo, al vertice del Comando operativo di vertice interforze dello stato maggiore della difesa italiana.  (foto: George Jaraiseh)

di Roberto Cetera


(foto: George Jaraiseh)