· Città del Vaticano ·

Alla presenza del Papa il cardinale Parolin conferisce l’ordinazione episcopale al nunzio Vincenzo Turturro

Apostolo e messaggero
al servizio della Chiesa

 Apostolo e messaggero  QUO-058
09 marzo 2024

«Nunzio significa “messaggero”», ma ogni messaggio «è connotato dall’aggettivo “apostolico”»: non è quindi «questione di cose da fare o da non fare, da dire o da non dire, ma di apostolato da vivere, di vita da spendere per la Chiesa e per il Paese in cui ti troverai». Così il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, si è rivolto a monsignor Vincenzo Turturro — nominato lo scorso 29 dicembre dal Pontefice arcivescovo titolare di Ravello e nunzio apostolico in Paraguay — al quale ha conferito stamane l’ordinazione episcopale. Il rito è stato celebrato, alla presenza di Papa Francesco, all’altare della Cattedra della basilica di San Pietro. Co-consacranti l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, e il vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, monsignor Domenico Cornacchia. Molti i cardinali, i presuli e i prelati che hanno concelebrato.

Nel Paese sudamericano nel quale compirà la sua missione (dopo che dal 2019 ha svolto il suo servizio nella Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali e presso la Segreteria particolare del cardinale Parolin) monsignor Turturro «non sarà mai straniero: non solo — ha detto il porporato rivolgendosi all’ordinando — per la cospicua presenza di cattolici, ma soprattutto perché quel popolo, come ogni popolo, è abitato e amato da Dio, che adesso ti manda in quanto l’apostolo per definizione è proprio colui che è mandato». Questo, ha aggiunto il segretario di Stato, «lo farai certamente nel tuo stile, entrando in punta di piedi in una realtà che sai precederti ed eccederti; lo farai con l’entusiasmo che caratterizza la tua età» e, al contempo, «con l’esperienza maturata al servizio della Santa Sede»; ma anche «facendo tesoro della storia di grazia che il Signore ti ha donato, delle radici che affondano nella tua cara famiglia e nella tua comunità diocesana, che oggi ti stringono in un forte abbraccio».

La Provvidenza «ha voluto che tu venga ordinato nel giorno della nascita del vescovo che ti ordinò sacerdote», ha detto il cardinale ricordando monsignor Luigi Martella, che fu pastore di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi dal 2000 al 2015. Ed è bello, ha continuato riferendosi poi a monsignor Tonino Bello, che «vegli su di te dal cielo il vescovo che ha accompagnato i passi della tua vocazione e dei tuoi primi anni di seminario: quel venerabile pastore che amava farsi chiamare semplicemente “don Tonino”». A questo proposito, il porporato ha ricordato «tre suoi brevi spunti icastici e poetici, riguardanti il tempo, il vestiario e il luogo dell’ordinazione».

«Il tempo in cui vieni ordinato è quello che precede la Pasqua» e «don Tonino Bello amava vederlo come un cammino che, conducendo il cuore al culmine della vita cristiana, interpella la totalità della persona», ha evidenziato Parolin. Il presule pugliese diceva che si tratta di «un cammino che va dalla testa ai piedi»: la Quaresima «si incastona, infatti, tra l’imposizione delle ceneri sulla testa e la lavanda dei piedi del Giovedì Santo». Quindi abbraccia «tutto il nostro essere, superando ogni distanza con il Signore».

Poi il porporato ha invitato a riflettere sul vestiario, prendendo spunto proprio dalla lavanda dei piedi. Monsignor Bello amava «ancorare l’essenza del ministro sacro a questo gesto inaudito e, pensando al clima in cui era scaturito il dono del sacerdozio», coniò l’espressione «Chiesa del grembiule», cioè «Chiesa del servizio». Egli notava «argutamente come tra i tanti regali che adornano i vestiari degli ordinandi, manchi spesso il grembiule, unico paramento sacerdotale ricordato nel Vangelo». Manca, tuttavia, perché «non si smette mai, perché è da indossare abitualmente e non togliere, sull’esempio di Gesù che si alzò e riprese le vesti, ma non depose l’asciugatoio». Questo ardore «di servire sia l’anima del tuo ministero» ha detto Parolin rivolgendosi a monsignor Turturro.

Infine il segretario di Stato ha fatto riferimento al luogo dell’ordinazione. «Vieni consacrato — ha detto — nella basilica papale di San Pietro e ciò richiama un episodio caratteristico, avvenuto quando il santuario diocesano della Madonna dei martiri di Molfetta venne elevato a basilica minore». La sera precedente, ha ricordato, «ci fu una veglia e in quell’assemblea si levò la domanda di un giovane il quale, lieto per l’elevazione a basilica, chiese ad alta voce al vescovo perché tuttavia si trattasse solo di una basilica minore». Monsignor Bello «non aveva in mente la distinzione tra quelle maggiori — le basiliche romane — e le altre, le basiliche minori sparse nel mondo». E improvvisò, «con un lampo di genio evangelico». Si avvicinò alla parete del tempio, la batté con la mano e disse: «Basilica minore è quella fatta di pietre; basilica maggiore è quella fatta di carne. L’uomo, insomma. Basilica maggiore sono io, sei tu».

Riprendendo un versetto — «il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza» — del salmo 23 (dal quale monsignor Turturro ha tratto il suo motto episcopale Quoniam tu mecum est, “Perché Tu sei con me”), il porporato ha spiegato che se il bastone richiama «la protezione del buon pastore contro gli ostacoli che impediscono il cammino del gregge, l’immagine del vincastro aggiunge qualcosa di decisivo». Esso è «un ramo più tenero attraverso il quale il pastore stimolava delicatamente le pecore». Fuori di metafora, ha evidenziato, Cristo Buon Pastore, «oltre a proteggerci, con il suo vincastro ci stimola dolcemente a metterci in cammino, aprendoci a scenari inattesi e sorprendenti, accomunati da un dilatamento degli orizzonti dell’amore». Il vincastro aveva «un’estremità ricurva la quale permetteva al pastore, per così dire, di agganciare le pecore per avvicinarle a sé». È indicativo che proprio dal vincastro «tragga origine il ricciolo presente nel pastorale del vescovo, a simboleggiarne la sollecitudine nei riguardi del gregge che è chiamato a servire». Per farlo in modo adeguato, il vincastro ricorda al vescovo «l’imprescindibile vicinanza con il Buon Pastore: è questo il segreto per affrontare le sfide del ministero di successore degli apostoli».

Monsignor Turturro, che ha rivolto ai presenti parole di saluto e di ringraziamento al termine del rito, presiederà nella cattedrale di Molfetta la concelebrazione eucaristica sabato pomeriggio, 16 marzo.