· Città del Vaticano ·

L’apostolato di suor Aurélie Allouchéry a Troyes, al fianco dei malati

Una vita radicata in Cristo

 Una vita radicata in Cristo  QUO-057
08 marzo 2024

Suor Aurélie Allouchéry, della congregazione di Nostra Signora del Buon Soccorso di Troyes, ci conduce alla scoperta della sua vocazione. Pensava di essere destinata a una vita familiare, con figli, e a una carriera professionale nell’insegnamento. Illustra il percorso che l’ha portata prima alla vita religiosa, poi all’accompagnamento dei malati.

Suor Aurélie Allouchéry, lei è una suora di Nostra Signora del Buon Soccorso, una congregazione che descrive la sua missione in tre parole: compassione, guarigione e liberazione. Si è impegnata 20 anni fa, come si è avvicinata alla vita consacrata?

In realtà ho frequentato la Chiesa fin dall’infanzia. I miei genitori mi hanno sempre incoraggiato ad andare a messa la domenica, mia madre insegnava catechismo e io facevo parte di un’associazione benefica. All’età di 25 anni, dopo una giovinezza ben vissuta, si è posta la questione. Quale era la chiamata? Che cosa mi avrebbe reso felice? Così ho partecipato a un anno di discernimento proposto dalla diocesi di Reims. Si è concluso con un ritiro, al termine del quale la risposta mi è apparsa chiara: provavo davvero il desiderio di donare la mia vita a Cristo, l’intera mia vita, tutto ciò che sono, tutto il mio essere.

Papa Francesco dice spesso che la Chiesa deve funzionare per attrazione. Si è sentita attratta da Dio?

Sì, mi sono sentita attratta da Dio. Avevo però molti pregiudizi rispetto alla vita religiosa e alle religiose che incontravo e che trovavo piuttosto antiquate, non molto alla moda, insomma non molto attraenti. È anche vero che, mentre partecipavo a quel ritiro, non avevo assolutamente idea della scelta di vita che avrei fatto. Ero piuttosto orientata al matrimonio, con una vita coniugale e dei figli, tanti figli. Ma alla fine, no. Ho scelto la vita religiosa. È stata questa chiamata di Dio, questo amore molto forte per me provato durante quel ritiro, ad attirarmi a Lui e a farmi rinunciare a quella vita che avevo immaginato fosse la mia.

Dice di aver “rinunciato” a quella vita che aveva immaginato. La sua fedeltà a Cristo comporta sacrifici?

Non posso dire che comporti sacrifici perché mi sento appagata da questa vita donata, offerta, e dalle grazie che ricevo in cambio. Ovviamente non voglio edulcorare le cose, ma in realtà una vita di fedeltà a Dio, a Cristo, è davvero una vita piena. Non posso dire diversamente. Non mi sembra di fare sacrifici. Detto questo, come in ogni vita, ci sono rinunce da fare. Non si può vivere tutto, non si può fare tutto e non si può scegliere tutto. Fare una scelta significa necessariamente rinunciare.

La vita religiosa è bella perché è varia. Ci sono molte comunità con carismi diversi. Come ha scelto Nostra Signora del Buon Soccorso?

È stato davvero un incontro inaspettato. Venivo dall’insegnamento e questa congregazione, orientata alla cura, non era esattamente adatta a me. E in effetti, incontrando le suore, ascoltandole mentre raccontavano davvero la loro missione, ad attrarmi è stata la vicinanza che vivevano con i malati a casa, nelle famiglie, il sollievo delle membra sofferenti di Cristo.

Cosa direbbe oggi ai giovani o alle giovani che s’interrogano su una scelta di vita e che sono forse alla ricerca di spiritualità, di una vita particolare. Quali indicazioni potrebbe dare loro?

È molto difficile dare consigli, indicazioni, perché ognuno segue il proprio cammino. Mi piace quella frase del Vangelo che dice: «Venite e vedrete». Incontrate le persone, ascoltate, osservate, percepirete le cose. Penso che sia davvero una vita radicata in Cristo, un desiderio profondo di vivere la sua sequela e una vita d’impegno.

Oggi, nella sua scelta di vita, nella vita spirituale e religiosa, si sente pienamente realizzata?

Sì, e lo penso davvero. Si cerca sempre attraverso quei fondamenti della vita religiosa che sono la vita comunitaria, la vita di preghiera e la vita apostolica, i tre pilastri fondanti, di unificare ciò che si è, la propria personalità e anche di potersi realizzare, ma restando aperti agli altri. È una vita di dono e dal momento in cui ci si dona, penso che ci si realizzi.

Suor Aurélie, la sua vocazione era fin dall'inizio quella di stare al capezzale degli ammalati?

No, non mi attirava per niente. Venivo dall’insegnamento e pensavo piuttosto di restare nel mondo dell’educazione specializzata nell’accompagnamento dei bambini. Ma il fatto di incontrare le suore di Nostra Signora del Buon Soccorso di Troyes mi ha davvero fatto cambiare prospettiva. Ero sicura che era proprio così che avrei dato il meglio di me.

L’intenzione di preghiera del Papa di questo mese è per i malati terminali. Che cosa comporta l’accompagnamento di queste persone? Lei, che cosa dona? E che cosa riceve?

Personalmente ritengo che ad abitare in me sia davvero la figura del Cristo compassionevole. Ogni volta che mi reco al capezzale dei malati, quella che faccio è davvero un’invocazione allo Spirito perché passi attraverso di me, per essere quella Presenza. Quindi, come assistente sanitaria, è una presenza che si concretizza in semplici gesti di cura. Il fatto di essere abitata, di invocare lo Spirito, mi permette di essere totalmente presente e di lasciar passare il Signore attraverso i miei gesti. Per quanto riguarda l’accompagnamento del fine vita, direi che è identico all’accompagnamento di una persona malata, che è appena venuta a conoscenza di una diagnosi grave. L’accompagnamento richiede davvero una presenza totale e un grande ascolto.

Le suore di Nostra Signora del Buon Soccorso sono in qualche modo l’espressione della tenerezza di Maria verso suo Figlio, la tenerezza di una madre. Come si esprime questa tenerezza nella sua missione?

Se sono giunta all’apostolato di assistente sanitaria è proprio per parlare attraverso i miei gesti ed essere quella tenerezza che viene per consolare, che viene per dare sollievo, e che a volte guarisce. Non necessariamente nel senso in cui lo si intende, ma che fa bene. La missione delle suore di Nostra Signora del Buon Soccorso è veramente quella di accogliere il corpo tra le loro braccia e offrirgli tutte le cure di cui ha bisogno per ritrovare una dignità e onorare quel tempio che è il nostro corpo.

di Jean-Charles Putzolu


#sistersproject