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Nasce a Catania per iniziativa dei vincenziani uno spazio di “luce” e rinascita per le donne vittime di violenza

Casa «Lumière»

 Casa «Lumière»  QUO-057
08 marzo 2024

La giornata internazionale della donna è segnata a Catania da un’evento speciale. Si inaugura infatti oggi, 8 marzo, la struttura dei missionari vincenziani che accoglierà donne sole, vittime di ogni tipo di violenza, nel piano inferiore della Locanda del Samaritano (che ospita persone senza fissa dimora). Si tratta di un ulteriore segno di prossimità ai vulnerabili.

Ritrovare una dignità troppe volte calpestata a causa di violenza subita, di emarginazione, sopraffazione. È l’obiettivo della Casa femminile «Lumière», ricavata in quella Locanda che ad ottobre scorso già si era ampliata con la caffetteria solidale «Pane quotidiano». La struttura ha tre stanze, ciascuna con quattro letti. Dotata di riscaldamento e climatizzazione e di ogni comfort che possa rendere la vita di queste donne «una luce ritrovata».

Il direttore, padre Mario Sirica, sottolinea che tra i senzatetto rientrano spesso proprio le donne che subiscono abusi. Poi ci sono i padri separati monoreddito che, dando il mantenimento alla propria famiglia, faticano ad andare avanti; uomini che hanno perduto il lavoro a un’età in cui è difficile trovarne un altro; giovani che per l’orientamento sessuale hanno avuto una vita difficile in famiglia senza accoglienza e cura; giovani dipendenti da droga o alcol in attesa di trovare un posto in comunità.

Padre Mario precisa inoltre che «con l’eliminazione del reddito di cittadinanza c’è stato un aumento delle povertà. L’altro giorno è venuta una coppia di sessantenni — racconta — che mi parlava delle loro difficoltà a pagare la rata del mutuo a causa dei tassi di interessi troppo alti. Possiamo incontrare anche giovani adottati, per esempio, che hanno fatto fatica a inserirsi nella famiglia adottiva e, ancora di più, giovani per i quali, alla morte dei genitori la cui pensione permetteva loro di andare avanti, diventa più complicato sbarcare il lunario», osserva ancora padre Sirica. «E poi ci sono i tanti migranti che, finiti i progetti dello Stato, si trovano per strada».

Riflettendo sull’enormità dei casi di violenza di cui le donne sono vittima, il religioso vincenziano insiste che c’è patologia e che «queste persone vanno condannate ed allontanate. La violenza esercitata dall’uomo crea una sudditanza psicologica. Bisogna denunciare un amore oppressivo che non è amore. Mi è capitato di vedere donne che hanno lasciato la struttura — aggiunge — perché divorate dai sensi di colpa».

Di necessità di accompagnamento parla Serena Anastasi, che lavora come operatrice alla Locanda del Samaritano da quattro anni. Racconta di come cerca, insieme agli altri operatori e volontari, di ascoltare «a 360 gradi» i bisogni di chi si rivolge a loro per un aiuto. «Le storie che abbiamo ascoltato sono tante. Una ragazza venne da noi per problemi presunti con la religione, poi abbiamo scoperto che il problema era la relazione con il fidanzato», dice. Si pensava che la donna si potesse riscattare da «un rapporto tossico» ma non è stato così.

Grazie al supporto dei vincenziani era riuscita a trovare una occupazione. Un giorno la videro piena di lividi. Il datore di lavoro se n’è accorto. «Lei così decise di tornare da noi e cominciò un percorso legale ma il fidanzato si fece di nuovo presente e lei lo seguì tornando tra le grinfie di quest’uomo. Una storia che purtroppo racconta la storia di tante altre donne», lamenta.

Un giorno arrivarono una madre e una figlia in stato di completo abbandono, racconta ancora Serena. Il suo gesto, in quella circostanza, fu prendere letteralmente tra le proprie braccia il corpo di queste donne e pulirlo. «Un gesto concreto di solidarietà, di cura, che ancora mi commuove». Serena chiosa con una parola sul patriarcato: «Mi fa molta paura. Non esiste un potere assoluto dell’uomo sulla donna. Non esiste un livello più alto o più basso. Esiste semplicemente l’amore verso il prossimo. Dobbiamo rispettarci l’un l’altro in quanto esseri umani».

di Antonella Palermo