· Città del Vaticano ·

Lacrime e sorrisi durante l’udienza del Papa all’associazione “Talità Kum”

Luce di arcobaleni
nella Sala Clementina

 Luce di arcobaleni nella Sala Clementina  QUO-056
07 marzo 2024

La mattina di sabato 2 marzo, tra nuvole e sole, abbiamo attraversato piazza San Pietro, presi da un’ansia misteriosa, e con la gioia di un sogno che si realizza.

I due gruppi Talità Kum (Isola Vicentina e Milano), i genitori che hanno un figlio in cielo, si andavano preparando dall’autunno scorso all’incontro con Papa Francesco. Volevamo arrivare non presi alla sprovvista, ma capaci di non lasciar cadere una sola parola, un sorriso, una carezza sul cuore. Desiderosi di essere accolti nel loro immenso dolore.

Perdere un figlio è la cosa più brutta che possa capitare. Un dolore che ti svuota dentro, lancinante e senza spiegazioni, che non tace e non si spegne. Che non cerca spiegazioni, ma condivisione e conforto

Man mano che salivamo lentamente l’ampio scalone che porta alla Sala Clementina, guidati dal passo lento, solenne, liturgico quasi, di una guardia svizzera che apriva il corteo, saliva anche l’emozione. C’erano due parole che correvano sulla bocca di tutti: commozione e conforto.

Abbiamo atteso in silenzio pochi minuti, e quando il Santo Padre è entrato, mostrando tutta la sua fragilità e tutto il suo coraggio nell’affrontarla, abbiamo capito. Accostava la sua sofferenza a quella dei genitori. E tutti lo hanno sentito, cercando di comunicargli la gratitudine più profonda per essere venuto vicino a noi… perché la sua stessa presenza era già un conforto, mentre ci si immaginava di appoggiare il capo sulla sua spalla (come si fa con un padre) per essere consolati….

E quando ho potuto sussurrargli una parola: «coraggio, Santità», con la poca voce che aveva ha risposto: «non io, coraggio voi!».

E ci mostrava, con il fatto di aver voluto venire ad accoglierci, nonostante l’evidente, grande fatica di camminare e di parlare, che si possono amare le persone anche quando si sta male, che l’amore è più potente del dolore, che nonostante le prove si può andare avanti, trovare dentro di sé le risorse e la voglia di incontrare e confortare, l’amore e la fede per condividere lacrime e sorrisi .

Poi ha salutato ad uno ad uno, con una stretta di mano, un sorriso, una parola, tutti i 140 presenti. E quando ci siamo trovati a un millimetro di sguardi, abbiamo visto un uomo amico della vita, dallo sguardo vivo, che ti fissa negli occhi con tenerezza. E in quel momento fai l’esperienza che ti regalano solo pochi uomini veri, l’esperienza che lui è tutto per te, che non pensa ad altro, che non è distratto dai mille problemi della umanità e della Chiesa, che è lì totalmente, veramente tutto per te. E tu sei importante, il tuo dolore conta, la tua storia gli interessa.

Ha voluto farci il dono più grande: esserci a fianco e condividere con ciascuno un pezzetto di cammino.

A causa della bronchite, non ha potuto leggere il discorso che aveva preparato, lo ha passato a un collaboratore, ma le sue parole sono andate diritte al cuore: «desidero guardarvi in volto, accogliere con le braccia aperte le vostre storie segnate dal dolore ed offrire una carezza al vostro cuore».

E tutti hanno sentito salire una grande commozione che, mano a mano che procedeva il discorso, diventava come un balsamo di consolazione che avvolgeva il cuore e lo calmava. Le parole ci avvolgevano come un abbraccio, come se fossero la riproduzione vibrante de Il Cristo abbracciante che abbiamo dietro l’altare maggiore a Santa Maria del Cengio, che ci accoglie all’inizio di ogni nostra liturgia.

Potente discorso, nessuna frase di circostanza, nessuna parola banale, un testo alto, scritto apposta per i genitori nel dramma, calibrato sul dolore: Dio piange con noi quando perdiamo un figlio.

E che raccoglieva senza paura tutti gli interrogativi senza risposta (perché proprio a me? perché la mia bambina così giovane? Dio perché non sei intervenuto?), domande che tornano, che bruciano dentro e inquietano il cuore. Ma poi ha aggiunto: se però ci mettiamo in cammino, come avete fatto voi, con tanto coraggio e tanta fatica, senza mettere il silenziatore alla sofferenza, «sono proprio queste domande sofferte ad aprire spiragli di luce che danno la forza di andare avanti».

Ha ripetuto poi le parole di Gesù, che hanno dato il nome al nostro gruppo: Talita kum, rivolte a noi: bambina, fanciulla, giovane vita, mamma, papà, alzati! Aggrappati al filo della preghiera e alla mano di Gesù, che risponde al dolore non con una teoria, ma camminando a fianco e asciugando le lacrime.

Quante lacrime e quanti sorrisi a quelle parole buone e luminose! Ma quando un raggio di luce incontra una goccia d’acqua nascono arcobaleni. La Sala Clementina, quel sabato mattina, si è illuminata di arcobaleni.

di Ermes Ronchi


Nel giardino dei ciliegi


Due gruppi di genitori che vivono il dolore più grande, quello della perdita di un figlio.  È questa la realtà  di Talità Kum, nella quale convergono l’esperienza di Vicenza, nata alcuni anni fa attorno alla comunità dell’ordine dei Servi di Maria di Santa Maria di Isola Vicentina (88 persone), e quella di Milano, la prima a venire alla luce attorno al convento servita di San Carlo (35 persone). I due gruppi,  accompagnati spiritualmente da padre Ermes Ronchi, hanno voluto incontrare, abbracciare, ringraziare il Papa, dirgli il loro affetto. E chiedergli  aiuto nel trovare uno spiraglio di luce, offuscata dal mantello del lutto. Hanno preso come motto e nome la parola di Gesù: «Talità kum, bambina alzati», che è un invito a non restare a terra,  nell’angolo oscuro, riprendendo a vivere, a camminare, ad amare. Ad aprirsi, perché se si chiudono le porte, la tristezza non può uscire e la gioia non può entrare. E poi, una volta guariti, prendersi cura, con un gesto, una parola, un’opera di bene: «Guarisci la ferita d’altri e si rimarginerà presto la tua ferita. Illumina altri e ti illuminerai» (Isaia 58, 8).

Entrambe le realtà vivono un “tempo speciale”, una volta al mese, presso il convento di Santa Maria di Isola Vicentina. Il pomeriggio si apre con una meditazione biblica di padre Ronchi, seguita dalla condivisione in piccoli gruppi, quindi l’Eucaristia, infine una cena condivisa con ciò che ciascuno porta da casa. Un’occasione per favorire il dialogo, per scoprirsi fratelli nel dolore, in cui la fede di ciascuno sostiene e conferma quella degli altri, messa alla prova. Hanno anche un “luogo speciale”: il giardino dei ciliegi, sulla collina del convento, tra il bosco e i prati, dove cercare anche di vivere lo spirito profetico dell’enciclica di Francesco sulla cura della casa comune, insieme con la comunità Laudato si’  nata presso il convento.