· Città del Vaticano ·

Il cardinale Piacenza apre i lavori del XXXIV corso sul foro interno

Ripartire dalla confessione
per essere
pellegrini di speranza

 Ripartire dalla confessione   QUO-053
04 marzo 2024

Uno dei fondamentali errori del nostro tempo, «tipico dell’ideologia del progresso», è quello di essere convinti che «le generazioni passate, fino ad ora, non abbiano compreso cosa sia davvero la Chiesa», oppure che siano state «troppo timorose e poco “illuminate” nella sua riforma». Lo sottolinea il cardinale penitenziere maggiore Mauro Piacenza nella lectio magistralis che tiene questo pomeriggio sul tema: «Ripartire dalla confessione per essere “Pellegrini di speranza”» in occasione dell’apertura dei lavori del xxxiv corso sul foro interno. All’incontro — che si svolge fino a venerdì 8 nel palazzo romano della Cancelleria — partecipano circa cinquecento tra sacerdoti e candidati prossimi agli ordini sacri, e altri collegati da remoto. Anticipiamo ampi stralci dell’intervento del cardinale.

Meno di dieci mesi ci separano dall’apertura del Giubileo 2025, che, come ogni ricorrenza giubilare, vedrà al centro la duplice dimensione del pellegrinaggio ad Petri Sedem e del sacramento della riconciliazione. Anche se i mezzi di comunicazione parlano pochissimo di questo secondo aspetto — sia per oggettiva incompetenza, sia per volontaria censura — noi sappiamo quanto esso sia centrale, anzi, determinante e quanto rappresenti l’autentica ragione del Giubileo che, altrimenti, sarebbe un non-senso. La riconciliazione sacramentale con Dio e con la Chiesa è, infatti, il presupposto di ogni altra possibile riconciliazione: con se stessi, con i fratelli, con la società e con la storia. Per tale ragione è sempre necessario: «Ripartire dalla confessione, per essere pellegrini di speranza».

La confessione è una vera e propria “nuova creazione”, l’unico vero rinnovamento di cui l’uomo ha ancora e sempre bisogno. Mi vengono in mente, a tal proposito, due esempi, uno artistico ed uno teologico, che possono essere utili per comprendere quanto stiamo affermando.

Il primo riguarda il grande Michelangelo, di cui qui a Roma possiamo quotidianamente godere la straordinaria opera. Michelangelo riprese antiche concezioni della mistica e della filosofia cristiane e, con lo sguardo dell’artista, vedeva già nella pietra che gli stava davanti l’immagine-guida che, nascostamente, attendeva di venir liberata e messa in luce. Il compito dell’artista — secondo lui — era solo quello di “toglier via” ciò che ancora ricopriva l’immagine. Michelangelo concepiva l’autentica azione artistica come un “riportare alla luce”, un rimettere in libertà, non come un fare.

Il sacramento della riconciliazione può essere interpretato esattamente in questo modo: il Signore, divino scultore, libera il penitente da tutte le “scorie inutili”, che si sono sedimentate in lui a causa del peccato, e “libera”, fa emergere, ancora e sempre, l’uomo nuovo, fatto a sua immagine e somiglianza!

Il secondo esempio teologico lo traggo dall’Opera di san Bonaventura. Anch’egli spiega il cammino attraverso cui l’uomo diviene autenticamente se stesso, prendendo lo spunto dal paragone con l’intagliatore di immagini, cioè con lo scultore. Lo scultore non fa qualcosa, dice il grande teologo francescano. La sua opera è invece una ablatio: essa consiste nell’eliminare, nel “togliere via” ciò che è inautentico. In questa maniera, attraverso la ablatio, emerge la nobilis forma, cioè la figura preziosa. Così anche l’uomo, affinché risplenda in lui l’immagine di Dio, deve soprattutto e prima di tutto accogliere quella purificazione, attraverso la quale lo scultore, cioè Dio, lo libera da tutte quelle scorie che oscurano l’aspetto autentico del suo essere. Solo lasciando operare in noi la divina misericordia può sorgere il sole della speranza: nessuno può “auto-scolpirsi”.

La confessione, in tal senso, ci fa pellegrini di speranza, perché ci dona la certezza di essere rinnovati continuamente dalla Grazia, di essere ancora sempre “scolpiti”, liberati da Dio, che fa emergere la sua “immagine e somiglianza” in ciascun uomo battezzato.

Spesso si parla di “riforma” della Chiesa, ma cosa intendiamo esattamente con questo termine? Che cos’è la vera riforma? Perché in tanti sperano nella sempre invocata “riforma”?

Certamente è un dato molto positivo che si speri nelle “riforme”, perché significa che, dalla Chiesa, gli uomini si attendono qualcosa. Si attendono che sia diversa dal mondo, che sia più giusta, più vera; si attendono che sia un luogo di riconciliazione e di speranza, nel quale l’uomo possa, finalmente, incontrare quella pace, quella comunione e quel compimento, che il suo cuore tanto desidera.

Uno dei fondamentali errori del nostro tempo, tipico dell’ideologia del progresso, è quello di essere convinti che le generazioni passate, fino ad ora, non abbiano compreso cosa sia davvero la Chiesa; oppure che siano state troppo timorose e poco “illuminate” nella sua riforma.

Questa illusoria convinzione, oltre a non avere alcun fondamento nella realtà, è profondamente irrispettosa di duemila anni di cristianesimo e di santità, di dottrina e teologia, di storia e di carità. Siamo certi che la riforma della Chiesa sia “opera nostra”?

Tutto quello che gli uomini fanno, può anche essere annullato da altri uomini. Tutto ciò che proviene da un gusto umano, può non piacere ad altri. Tutto ciò che una maggioranza decide, può venire abrogato da un’altra maggioranza.

Una Chiesa, che “riposi” sulle decisioni di una maggioranza, diventa una Chiesa puramente umana; ridotta al livello di ciò che è plausibile, frutto della propria azione e delle proprie intuizioni ed opinioni. Allora l’opinione soggettiva sostituisce la fede.

Una Chiesa “riformata” in questo modo, una Chiesa fatta dal gusto degli uomini, alla fine avrà solo il sapore di “se stessi”, che agli altri, spesso, non è gradito e ben presto rivela la propria piccolezza. Sarebbe una Chiesa ritirata nell’ambito umano, empirico, controllabile, misurabile, priva della novità irriducibile di Dio e così puramente umana, lontanissima anche dall’ideale da molti sognato, incapace di donare speranza e capace invece di generare conflitti, scontri.

Non abbiamo bisogno di una Chiesa più umana, ma di una Chiesa più divina, che sia capace, attraverso i suoi membri, sempre rinnovati dalla grazia, di far risplendere la luce di Dio nell’umano di ogni giorno.

Infine, ma non da ultimo, sempre in terna di “riforme” e di “maggioranze”, mi pare doveroso ricordare che la Chiesa non è soltanto il piccolo gruppo di “laici impegnati” (o “adulti”); la Chiesa non è nemmeno solo l’insieme, grande o piccolo, di coloro che nel giorno del Signore si radunano, convocati dallo Spirito Santo, per celebrare l’Eucarestia, anche se questi la rappresentano. La Chiesa è più della sua gerarchia: molto più del Papa, dei vescovi e dei sacerdoti, di tutti coloro che sono insigniti dell’ordine sacro.

Tutti costoro fanno parte della Chiesa, ma il respiro della communio della quale siamo resi partecipi mediante la fede ed il battesimo è molto più ampio, supera i limiti dello spazio e del tempo, giungendo persino oltre la morte. Allora non sono le “maggioranze occasionali”, che si formano qua o là nella Chiesa, a decidere il suo Volto, la sua natura e la Verità che Cristo Le ha affidato nella Divina Rivelazione!