· Città del Vaticano ·

A ottant’anni dalla tragedia ferroviaria di Balvano

Effetto monossido
tra sonno e censura

 Effetto monossido tra sonno e censura  QUO-053
04 marzo 2024

Avvelenamento da monossido di carbonio: questa la causa della morte di seicento persone a bordo del treno merci che, partito da Napoli e diretto a Potenza nella notte del 3 marzo 1944, si fermò accidentalmente nella lunga galleria Delle Armi, nei pressi della località lucana di Balvano. Precisamente ottant’anni dopo, per ricordare nella preghiera una tragedia troppo poco conosciuta, nella mattina del 3 marzo, il vescovo emerito di Potenza, monsignor Salvatore Ligorio, ha celebrato la messa nella Chiesa Madre Santa Maria Assunta di Balvano, nell’ambito delle iniziative commemorative organizzate dalle istituzioni locali.

«Si tratta del più grave disastro ferroviario della storia», ha detto a Telepace Gian Luca Barneschi, che ha appena dato alle stampe il libro Il disastro dimenticato — Treno 8017 Balvano 1944 (Siena, Edizioni Cantagalli, 2024, pagine 424, euro 25). «Facendo un parallelismo dico sempre che questo è il Titanic ferroviario, con la grande differenza che tutto il mondo conosce il Titanic, mentre in Italia questa vicenda è ancora totalmente sconosciuta».

Il volume ricostruisce puntualmente quella terribile nottata a partire dai documenti a disposizione. L’autore è andato a trovarli negli archivi angloamericani, dopo aver letto per caso trent’anni fa poche righe su una rivista specializzata e dopo aver compreso che in Italia non c’era nessuna pubblicazione al riguardo. Da allora ha sempre ampliato l’indagine, scritto saggi e raccolto testimonianze di vario tipo. «In questi anni — confida — ho capito che per i familiari delle vittime parlare di questa vicenda rappresenta una sorta di risarcimento morale».

C’erano tanti giovani e tante madri di famiglia a bordo di quel treno merci. E per capire il motivo bisogna tener presente il contesto del meridione liberato dalle forze alleate dopo l’armistizio dell’8 settembre. «Nel 1944 — sottolinea Barneschi — in quella zona d’Italia non c’era la guerra, il fronte era tra Cassino e Anzio. Però c’erano le conseguenze della guerra, a cominciare dalla fame. Il trasporto ferroviario era totalmente finalizzato alle esigenze belliche degli Alleati e i civili erano costretti ad assaltare i treni merci per spostarsi». In particolare, da Napoli e Salerno la gente cercava di raggiungere le zone agricole della Basilicata e della Puglia per barattare qualcosa in modo da provvedere alla sussistenza delle proprie famiglie.

Uno dei pochi documenti ufficiali italiani definisce le vittime «viaggiatori di frodo» e «contrabbandieri». La narrazione “madre” della vicenda è affidata alla relazione dell’indagine condotta dalla commissione nominata dagli Alleati composta da membri del Military railway service e delle Ferrovie dello Stato. Nel suo libro, Barneschi riporta diversi passaggi di questo documento — secretato per lungo tempo — avvertendo subito che l’obiettivo degli angloamericani era essenzialmente evitare ricadute sull’ordine pubblico più che accertare le responsabilità. Tant’è — si legge nel volume — che sull’incidente «calò subito la censura, che con il passare del tempo generò oblio e rimozione».

Nessuno ha mai pagato per quanto successo. Secondo il volume, ci sono diverse concause all’origine del blocco del treno (che peraltro era pesantissimo perché composto da molti più vagoni del dovuto). Tutto si è consumato su una tratta in salita all’interno della lunghissima galleria che misura all’incirca due chilometri e che era già satura dei fumi del treno transitato in precedenza. Il treno 8017 è arrivato dunque già sotto sforzo in quel punto dove notoriamente tutti i treni tendevano a slittare per una scarsa aderenza sulle rotaie. L’ipotesi è che dopo la sosta, il monossido di carbonio abbia subito ridotto la lucidità dei macchinisti delle due locomotive che non sono riusciti a comunicare tra di loro e neppure a coordinarsi con i frenatori, collocati in coda al convoglio, per approntare la ripartenza.

Il fattore tempo è stato decisivo anche sul fronte dei soccorsi che sono giunti sul posto sei ore dopo. Un ferroviere addetto al telegrafo che in quelle ore del disastro era in servizio ha contattato Barneschi nel 2009. «Nessuno si interessò, tutti dormivano», si legge nella lettera manoscritta riportata nel libro. In sostanza, non vedendo arrivare il treno 8017 nella stazione successiva l’uomo sostiene di aver telegrafato svariate volte ai dirigenti per chiedere di mandare qualcuno per rendersi conto di dove si fosse fermato il convoglio. Nessuno si attivò e in seguito nessuno di coloro che si sono occupati dell’inchiesta interpellò mai il ferroviere, come lui stesso scrive.

«Una clamorosa confessione che avvalora quanto emerso dalla mia indagine», afferma l’autore del libro. Si sono salvate solo le persone, forse un centinaio, che si trovavano negli ultimi tre vagoni rimasti fuori del tunnel. È chiaro — si legge nel volume di Barneschi — che «se i soccorsi fossero stati tempestivi, il bilancio del disastro avrebbe potuto essere molto meno grave».

di Eugenio Bonanata