· Città del Vaticano ·

Sulla via della Croce / 2
Cristiani in Terra Santa

Un’ingiusta condanna

 Un’ingiusta condanna  QUO-052
02 marzo 2024

Negli incontri fatti in questi anni con i giovani cristiani della Terra Santa è quasi sempre emersa una domanda: «Perché, anziché andarcene via, dovremmo rimanere qui in questa terra dove sembra che per noi non ci sia alcun futuro?». Mentre i pellegrini pensano che sia una grazia il poter venire in Terra Santa e il potersi fermare a lungo, magari per tutta la vita, per molti cristiani che ci vivono l’essere nati in Terra Santa sembra quasi una condanna, perché devono spesso sopportare una doppia discriminazione: quella di essere palestinesi e quella di essere cristiani.

Negli ultimi cinquant’anni le comunità cristiane del Medio Oriente (i cui membri sono i discendenti delle prime comunità cristiane, quelle dalle quali anche noi abbiamo ricevuto il dono del Vangelo) hanno visto ridursi progressivamente il numero dei loro membri a causa di guerre che hanno condannato molti a lasciare il proprio paese per cercare un futuro altrove: è successo in Palestina, poi in Libano, in Iraq, in Siria, in Egitto e ora di nuovo in Israele e in Palestina.

Anche in questo caso, come nell’ora della condanna di Gesù, c’è chi se ne lava le mani. Non il povero Pilato trovatosi un giorno costretto a prendere una decisione e a emettere un giudizio che era al di là delle sue capacità. Oggi Pilato non è un individuo, ma un soggetto collettivo che ha il volto degli organismi internazionali paralizzati nella loro stessa struttura, dei potentati economici anonimi eppure capaci di condannare all’estinzione intere popolazioni in nome del profitto, di un sistema comunicativo che di nuovo si chiede con cinismo «Cos’è la verità?», senza però cercare la risposta a questa domanda decisiva.

Eppure anche oggi trovarsi al posto di Gesù nel subire un’ingiusta condanna non è una fatalità o una maledizione, è la chiamata a seguire le sue orme, a prolungare nella storia la sua testimonianza alla Verità, per la salvezza del mondo. 

di Francesco Patton