Tempo libero
Il tempo libero è un tempo che libera, liberante. Al tempo stesso è un tempo da liberare, dono e conquista al tempo stesso. Lo riceviamo ma dobbiamo anche liberarlo, spesso dal peso di noi stessi, con il nostro lavoro quotidiano. Così scrive Alessandro Gisotti nello stimolante articolo di venerdì scorso che si conclude con la riflessione sulla «vera ricchezza del tempo libero: essere dono per intessere la relazione con l’altro e con Dio e così diventare più uomini, in fondo più se stessi».
I problemi che l’uomo occidentale contemporaneo ha con il tempo libero sono gli stessi problemi che ha con la libertà: la desidera e la teme. Spesso del tempo libero si arriva a provare disagio, paura. C’è un’inquietudine inestirpabile nel cuore umano, come già intuiva Sant’Agostino e secoli dopo rimarcava Pascal secondo il quale i problemi dell’umanità dipendono dall’incapacità dell’uomo di stare solo in una stanza. Pensiamo all’uomo «molla dell’ingranaggio» all’interno dei meccanismi lavorativi e produttivi, il Chaplin di Tempi moderni per intenderci: la sua giornata è “piena”, è “occupata”, il tempo libero è proprio quello che non ha. E soffre per questa rincorsa ad un tempo che gli sfugge. Poi però arriva il weekend in cui viene “sgombrato” dall’obbligo lavorativo e si trova riconsegnato a se stesso, si trova “solo in una stanza”, e non sa più cosa fare. Forse perché pensa che il “fare” sia per lui l’unico orizzonte praticabile. In quell’orizzonte, finché gli altri, i “superiori” gli imponevano di comportarsi in un certo modo, era tranquillo, ora tocca a lui a fissare la sua agenda, l’ordine del giorno e prova smarrimento. Arriva a comportamenti paradossali per cui organizza viaggi fuori città con la famiglia e realizza un “programma” dettagliato fino ai minuti in modo che non sia uno spazio di quel weekend lasciato libero, come fosse preso da un horror vacui.
Ora il problema si complica ulteriormente perché, come ha rilevato nel 1976 lo scrittore e giornalista americano Tom Wolfe nel saggio Il decennio dell’Io, mai come oggi l’uomo occidentale ha potuto godere di così tanto tempo libero, egli è «il primo uomo comune della storia del mondo con la tanto vagheggiata combinazione di denaro, libertà e tempo libero». Il decennio precedente, (1966-1976), secondo Wolfe, ha visto la definitiva affermazione dell’«argomento più affascinante di questa terra: l’Io». A distanza di quasi cinquant’anni siamo ancora lì, con i frutti di quella svolta verso l’individualismo che è il nome bello e moderno che diamo ad un dramma antico: la solitudine.
Forse la radice del problema sta appunto nel nostro rapporto con la libertà, che consideriamo un fine, per giunta inarrivabile, infine irrealizzabile, quindi frustrante. E se invece la libertà fosse un mezzo? Più che chiederci contro cosa dobbiamo lottare, quale altro diritto dobbiamo rivendicare per ottenere la libertà, forse potremmo chiederci: ma di tutta questa libertà che abbiamo ottenuto negli ultimi secoli, cosa dobbiamo farne? Come mettere a frutto la grande occasione del tempo libero che, mai come ora, abbiamo tra le mani? Questi interrogativi hanno a che fare con la propria visione del mondo e della vita, e se la vita poi per noi ha un senso, una direzione, un fine.
Per chi si è occupato di educazione, tutta questa serie di domande, ha molto peso. Qui non serve essere genitore o insegnante, la questione riguarda tutti, perché tutti sono investititi nella vita della questione educativa. Ed è bello, e anche inquietante, scoprire ad esempio che tempo libero in greco si dice scholé. In origine questa parola significava, come otium per i latini, il tempo libero, cioè il piacevole uso delle proprie disposizioni intellettuali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico, e quindi, più tardi, il luogo dove si attende allo studio, la scuola appunto.
La domanda viene spontanea: gli studenti che ogni mattina frequentano quel “luogo”, lo percepiscono come l’occasione per il piacevole uso delle proprie disposizioni intellettuali, il tempo per la creatività e la gratuità, oppure come l’essere immessi in un meccanismo, dissociato dalla vita, e ispirato solo a criteri e finalità produttive? Si sentono come degli artigiani che si ri-conoscono e si ri-creano, o come «molle dell’ingranaggio» di un sistema anonimo e burocratico?
Non sarebbe bello recuperare l’antico senso della scuola come tempo libero? L’impresa è audace, la missione quasi impossibile, ma è alla portata degli uomini, degli uomini «liberi e forti».
di Andrea Monda