· Città del Vaticano ·

Montecassino e i presunti “silenzi” vaticani

«Nulla fu fatto»?

 «Nulla fu fatto»?  QUO-052
02 marzo 2024

Il 13 febbraio scorso il quotidiano britannico «The Guardian» intitolava «Nothing was done»: Vatican note suggests part blame in bombing of Monte Cassino un articolo (poi ripreso da testate italiane) sulle «nuove questioni circa il ruolo del Vaticano nella catastrofe di Cassino». Il riferimento era alla recente seconda edizione del libro autoprodotto di Nando Tasciotti, Montecassino 1944, in cui si narrano le vicende della celebre abbazia, distrutta il 15 febbraio 1944 da un bombardamento alleato.

Il libro (che pur contiene diversi spunti interessanti) teorizza la responsabilità del Vaticano nel non aver saputo fermare la tragedia. Stando infatti all’autore, nelle carte del pontificato di Pio xii aperte nel 2020 risiedono le prove delle “colpe” vaticane. Il «Guardian» menziona «l’ammissione da parte della Santa Sede che il bombardamento avrebbe potuto essere evitato se essa avesse intrapreso un’azione decisa per rafforzare la zona neutrale intorno al monastero».

Si è insomma teorizzato anche in questo caso un “silenzio” di Pio xii . Secondo questa ricostruzione, il Papa tacque proprio quando una sua parola avrebbe potuto salvare Montecassino. A riprova delle nuove “colpe” papali viene citato un appunto manoscritto di quattro pagine redatto da un diplomatico vaticano di origini molisane, monsignor Armando Lombardi, subito dopo la liberazione di Roma. Qualcosa avrebbe potuto esser fatto, si afferma: per esempio, insistere sul rispetto della zona di sicurezza e per un cessate il fuoco fra tedeschi e alleati. Ma «nothing was done».

Ma le carte rivelano una situazione molto diversa da quella narrata. Monsignor Armando Lombardi era uditore di nunziatura di seconda classe alla Prima Sezione della Segreteria di Stato, un funzionario amministrativo che nel turbine degli eventi italiani del 1943-1944 si trovò a occuparsi di ciò che restava di Montecassino dopo il bombardamento. «Bisognerà raccomandare agli alleati le rovine di Montecassino — scriveva il 3 giugno 1944 il Sostituto della Segreteria di Stato monsignor Domenico Tardini —. Me lo disse monsignor Lombardi. Io assentii ben volentieri. Poi Lombardi non mi ha dato nessun appunto, nessun progetto, nulla. E allora? Coraggio! Darmi qualche cosa».

Queste lamentele sono all’origine dell’appunto manoscritto di quattro pagine di cui parla il «Guardian». Fu redatto da Lombardi il 24 giugno 1944 e consegnato a Tardini nell’originaria forma manoscritta. L’appunto, reperito presso l’Archivio Storico della Segreteria di Stato, è conservato in un corposo dossier della Serie “Italia” (Pos. 1364a), la cui lettura si rivela interessante.

Scriveva monsignor Lombardi nel suo breve appunto del 24 giugno (prot. 5090/44): «La Segreteria di Stato nelle trattative svolte per salvare il Monastero di Montecassino, si è limitata, una volta fatto il primo passo con una Nota di scarso valore, a trascrivere testualmente, fra virgolette, alle Rappresentanze diplomatiche le assicurazioni date dall’altra parte belligerante. Non sembra però che il tenore e la portata di tali assicurazioni siano stati attentamente vagliati». In altre parole, per Lombardi la Santa Sede aveva fatto troppo poco per salvare Montecassino, e lo aveva fatto «sulla base di informazioni inesatte o inesattamente interpretate». Per giunta, aggiungeva Lombardi, «si ha l’impressione che dopo la prima decade di gennaio, e cioè nel periodo più critico, la Segreteria di Stato si sia disinteressata della questione».

Quando fu abolita dai tedeschi la zona di protezione intorno all’abbazia, ciò avrebbe dovuto far temere il peggio. «Ma non si fece e non si disse nulla al riguardo... chi studia serenamente la questione si inclina a credere che il Monastero si sarebbe forse potuto salvare se il principio della zona neutra fosse stato accettato e rispettato da entrambi i belligeranti. Con un’azione energica la S. Sede avrebbe forse potuto ottenere ciò». Sembrano accuse piuttosto gravi, queste rivolte da monsignor Lombardi ai superiori. Se però si citano i restanti documenti del dossier, la prospettiva cambia nettamente.

Il destinatario di questo appunto, monsignor Tardini, dopo averlo letto chiosò con due vistosi punti interrogativi a matita blu il passaggio sul monastero che «si sarebbe forse potuto salvare ecc.». Tardini aggiunse a margine che sarebbe stato «bene, però, tener presente anche la Nota n. 34 degli Stati Uniti, in data 25 gennaio, per poter dare un giudizio completo».

Gli storici sanno che i punti interrogativi di monsignor Tardini erano quasi degli “editoriali” di dubbi importanti su ciò che il prelato leggeva. E infatti Tardini reagì immediatamente alle accuse contenute nel promemoria di Lombardi, il 25 giugno 1944, con un perentorio «Lombardi, parlarmene». Evidentemente il Sostituto voleva discutere con il suo sottoposto i gravi contenuti dell’appunto appena letto.

Ed è qui che si registra un’evoluzione interessante. Tardini convocò monsignor Lombardi al quale probabilmente ordinò di studiarsi la documentazione su Montecassino. Lombardi ne trasse, nel luglio 1944, un secondo lungo appunto conservato insieme al primo del 24 giugno (anzi, nello stesso dossier è reperibile proprio al foglio successivo). Trattandosi di riflessioni lunghe e meditate rispetto al primo documento di Lombardi, giova soffermarvisi.

Il nuovo promemoria anzitutto evidenziava che le preoccupazioni dei monaci per la sorte di Montecassino erano condivise dalla Segreteria di Stato, che fra il 23 e il 25 ottobre 1943 aveva chiesto ai belligeranti di non fare dell’abbazia un campo di battaglia, rischiando così danni irreparabili. Sempre in questo documento Lombardi riportava i passi svolti anche dal Segretario di Stato cardinale Maglione presso gli alleati allo stesso fine; nonché la richiesta di tutela degli archivi e della biblioteca del monastero.

Nel nuovo documento di monsignor Lombardi si legge poi che, quando da Londra giunsero allarmanti notizie di pesanti contromisure nel caso di utilizzo militare dell’abbazia da parte dei tedeschi, la Santa Sede si affrettò a comunicare ciò ai tedeschi, che assicurarono di aver raccomandato alle loro autorità militari «la preservazione dell’Abbazia». Anzi alla Santa Sede fu anticipato che i nuovi piani militari tedeschi avrebbero curato «di evitare che l’Abbazia avesse una funzione di prima linea».

Nel suo “appunto lungo”, Lombardi scriveva inoltre che, ricevute analoghe assicurazioni da Washington, il 10 novembre 1943 la Santa Sede si affrettò a comunicarle al comando tedesco del fronte sud. Le assicurazioni americane furono confermate tre giorni dopo dal rappresentante americano in Vaticano, Tittmann.

Ma a inizio dicembre del 1943 i tedeschi avviarono lavori di fortificazione nei pressi dell’abbazia (con osservatòri, piazzole di tiro, munizioni per mortai collocate in due grotte adiacenti). Ne seguirono le rimostranze dell’Abate. Questa notizia però non giunse subito in Vaticano, dove invece si seppe di danni provocati da colpi di artiglieria alleati contro le postazioni germaniche. Il 7 dicembre 1943 fu effettuato un nuovo passo dalla Santa Sede presso i belligeranti, ricordando loro le assicurazioni già date. Tre giorni dopo, i tedeschi comunicarono all’Abate la delimitazione di una zona di sicurezza di 300 metri intorno al monastero. Tardando i tedeschi a definirla, furono i monaci stessi a incaricarsene, «sbarrando poi la strada e ponendo tabelle indicatrici nei luoghi d’accesso.

Nuove assicurazioni sulla preservazione del monastero erano intanto giunte dagli inglesi il 13 dicembre, in risposta alla nota vaticana del 7 precedente. La Segreteria di Stato inoltrò il 13 dicembre le nuove comunicazioni ai tedeschi, pregandoli di dare le stesse assicurazioni. Dieci giorni dopo l’ambasciata tedesca rinnovava la promessa di fare tutto il possibile per preservare l’abbazia di Montecassino. Lombardi ci informa che la Segreteria di Stato inoltrò agli alleati tale ulteriore assicurazione.

A inizio del 1944 giunsero in Vaticano «vaghe notizie» (la Santa Sede non riusciva a comunicare direttamente con Montecassino) su lavori di fortificazione compiuti dai germanici. Su questo punto Lombardi ci informa che la Segreteria di Stato chiese nuovamente ai tedeschi «assicurazioni riguardanti non solo l’edificio dell’Abbazia ma anche la zona circostante», e «di evitare tutto ciò che potesse richiamare sullo storico monastero l’attenzione e l’offesa che potrebbero derivarne» (il corsivo è nostro). I tedeschi risposero senza menzionare la zona circostante e senza far cenno ai lavori in corso. E persino si adontarono del fatto che le loro precedenti assicurazioni fossero state messe in dubbio.

Ma il Vaticano aveva ragione di dubitare. Il 5 gennaio 1944, narra monsignor Lombardi, i tedeschi comunicarono all’Abate, solo tramite un interprete e senza la presenza di ufficiali, di aver annullato la zona di protezione di 300 metri, esortando tutti, monaci e civili, a evacuare il monastero. L’Abate rifiutò: disse che lui e i monaci sarebbero rimasti a custodia del sepolcro di San Benedetto. Ma l’evacuazione si sarebbe presto resa necessaria. Dal 13 gennaio cannonate e granate alleate colpirono il monastero, con intensità crescente. Dal 20 gennaio ormai nessun tedesco si trovava in abbazia. Ma i tedeschi allestirono un osservatorio militare (detto “Fortino”) a 300 metri dal monastero, sul lato nord, e a 50 metri, sul lato sud. Dopo i primi gravi danni sofferti dall’abbazia, il 25 gennaio 1944 gli americani inviarono alla Santa Sede la nota n. 34 citata da Tardini, affermando che il fuoco indirizzato al sito non aveva potuto essere evitato e che probabilmente si trattava di «fuoco erratico». Gli americani rinnovavano le assicurazioni già date, di «far tutto il possibile» per preservare il sacro luogo.

Nulla di tutto questo fu fatto. Sicché, narra sempre il “promemoria lungo” di monsignor Lombardi, «quando più grave si profilò la minaccia per il Monastero, la Segreteria di Stato ebbe premura, in conversazioni orali, di richiamare al riguardo l’attenzione dei Rappresentanti diplomatici delle Nazioni belligeranti». L’impegno della Santa Sede non venne meno neppure quando la Gran Bretagna, quattro giorni prima del “raid” alleato su Montecassino, chiese l’assicurazione che l’abbazia non sarebbe stata occupata dai tedeschi, e di appurare se tale garanzia sarebbe valsa anche per il territorio circostante.

Come scrive Lombardi, la Segreteria di Stato «si rivolse sollecitamente» ai tedeschi, i quali il 14 febbraio 1944 dichiararono false le notizie sulla presenza di cannoni, mortai, mitragliatrici o loro truppe, e s’impegnarono a non fare di Montecassino un luogo di transito. Il giorno dopo la Segreteria di Stato comunicava agli alleati quanto appreso. Ma proprio mentre si accingeva a far questo, poco dopo le nove del mattino il bombardamento alleato di Montecassino ebbe inizio.

Questi i contenuti del lungo nuovo promemoria di Lombardi del luglio 1944, che annullava il precedente appunto del 24 giugno. Come si vede, in questo memorandum Lombardi non trova alcun motivo di accusa contro Pio xii o la Segreteria di Stato. Nella sua definitiva stesura, stavolta dattiloscritta, il documento sarebbe stato consegnato personalmente da Tardini agli americani e ai britannici (appare infatti negli archivi di Washington e di Kew). Fu anche predisposta una versione francese (lingua diplomatica ufficiale del Vaticano) intitolata Les dernièrs Jours de Mont-Cassin.

Non «nulla fu fatto», dunque; ma ben più di qualcosa fu fatto. Nel nuovo documento di monsignor Lombardi sparivano peraltro le accuse di ritardi e di “silenzi” vaticani, riconoscendo l’impegno della Santa Sede per la salvaguardia di Montecassino.

Dopo il 15 febbraio 1944, risalendo la penisola, gli alleati si portarono dietro gli strascichi di una velenosa polemica con la Santa Sede per l’accaduto. La prima guida per i visitatori di Montecassino, pubblicata nel dopoguerra, alle pagine 9-10 citava l’occupazione tedesca del sito successivamente al bombardamento alleato, così negando la tesi della “fortezza tedesca” da espugnare bombardando dall’aria. Gli alleati, saputolo, chiesero alla Santa Sede di ordinare all’Abate la correzione nella guida del passaggio incriminato. Era piuttosto evidente la volontà di chiedere una sorta di “silenzio vaticano” sui loro recenti tragici errori.

di Matteo Luigi Napolitano