· Città del Vaticano ·

L’appello dei familiari dei 94 migranti morti un anno fa davanti alle coste della Calabria

«Verità e giustizia» per le vittime del naufragio di Cutro

 «Verità e giustizia» per le vittime del naufragio di Cutro  QUO-047
26 febbraio 2024

KR46Mø. La sigla usata lo scorso anno per indicare il feretro bianco che custodiva il corpicino di un neonato morto nel naufragio di Cutro è stampata su una maglietta bianca. Giaceva sulla sabbia di Steccato, in riva al mare, alle 4 di questa mattina. Stessa data, stesso luogo, stesso orario del naufragio del caicco “Summer Love” di un anno fa. Al posto dei cadaveri, dei loro indumenti e dei loro effetti personali, trasportati a riva da quella che i testimoni paragonano a una «esplosione», ci sono candele e peluches. Trentacinque peluches, tanti quanti i bambini morti in questa tragedia — avvenuta peraltro a 100 metri dalla riva — per la quale si indaga sulle cause e sul perché i soccorsi siano arrivati dopo circa quattro ore. «Verità e giustizia» chiedono infatti i familiari delle 94 vittime complessive e dei diversi dispersi: afghani, siriani, pakistani, iraniani, venuti dagli Usa e da diverse regioni d’Europa, che intenteranno una causa civile contro lo Stato italiano per omissione di soccorso. Lo hanno annunciato in una conferenza in mattinata.

Nessuna parola a riguardo, invece, durante la veglia della notte, dove c’è stato spazio solo per il dolore e la memoria, resa plastica dall’altare di fiori, giochi, candele intorno al quale si sono strette un centinaio di persone di Crotone e circondario. C’erano un gruppo di studenti da Catanzaro che ha noleggiato un pullman, una famiglia con due bimbe piccole («È importante che vedano», spiegava la mamma), l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, Filippo Ungaro, rappresentante dell’Unhcr, l’ambasciatore afghano in Italia, Khaled Ahmad Zekriya. C’era pure Wayd, venuto dalla Germania dopo aver perso moglie e due figlie. Il maschietto di 5 anni è tra gli undici dispersi. I corpi di altri tre bambini sono invece in fase di riconoscimento. Tra loro Alì, al quale è stato intitolato un “Giardino”.

Tutti i presenti guardavano verso il mare. Sono rimasti così per circa un’ora, sempre in silenzio. Si sentivano solo le onde dello Ionio talmente agitate da ridurre in mille pezzi la corona di fiori gettata dai due pescatori che per primi l’anno scorso si sono buttati in acqua per salvare più vite possibili. Uno è Vincenzo Luciano, 50 anni. Ai media vaticani confidava la difficoltà dopo la tragedia ad andare avanti, a dormire, a tornare a casa. Un anno dopo, poco è cambiato: «Tutte le mattine ricordo le stesse scene…Spero di dimenticare ma come fai a dimenticare quando ti muore un bambino in braccio?».

A portare l’omaggio floreale c’era pure una giovane donna che non ha retto al pensiero di trovarsi davanti al mare che ha inghiottito i suoi cari e, dopo un pianto a dirotto, è svenuta. Negli stessi momenti un giovane sopravvissuto afghano guidava la preghiera del mattino, sul tappeto, con lo sguardo verso La Mecca. Poco prima Gul Jamshidi, zio di un ventenne morto nel naufragio, ha recitato versetti del Corano e invocato da Allah la pace nel cuore per gente che ha perso mamme, figli, nipoti, cognati, zii e zie, cugini, e che si dice delusa per il nome scelto al decreto che ha ristretto ancor di più le maglie di flussi migratori: “Decreto Cutro”.

La loro richiesta principale è che le promesse fatte dal governo italiano vengano mantenute. A cominciare dal ricongiungimento con i familiari, magari prima che si imbarchino per disperazione in uno di questi “viaggi della morte”. Lo gridavano già ieri durante il corteo per le strade di Crotone, che ha visto tutti e 52 i parenti camminare insieme a cittadini e volontari sotto una pioggia furente. Un nubifragio mai visto negli ultimi trent’anni a Crotone, dove si fa il bagno in mare pure d’inverno. «Anche il tempo ci aiuta a ricordare quello che è successo un anno fa. Solo che noi siamo sulla terraferma, loro sperduti in mare», è stato il drammatico parallelismo.

I familiari tenevano in mano lo striscione “Mai più stragi di migranti nel Mediterraneo”. Parole urlate pure in arabo e in farsi. Pochi conoscono l’italiano; uno è Amarkhel ir Shah, nipote della giornalista afghana Amarkhel Torpekai che collaborava con l’Onu per dar voce alle connazionali. Un lavoro impossibile con i talebani; per questo aveva deciso di lasciare Kabul. È morta a Cutro con la cugina, il marito e tre figli. «Quattro ritrovati. Un’altra, Aysha, 7 anni, mai più», spiega Amarkhel.

Tra fango e strade allagate (presente pure la segretaria del Pd, Elly Schlein), il corteo ha raggiunto in serata il Museo di Pitagora per una conferenza stampa durante la quale si sono avvicendati numerosi interventi. Tutti appelli a Italia ed Europa a far tornare il Mediterraneo un Mare Nostrum. Proprio come chiedeva il Papa a Marsiglia: non Mare Mortuum, ma Mare Nostrum. Il Papa, il primo ad aver allertato il mondo sulla tragedia in Calabria, lo cita l’europarlamentare Pietro Bartolo: «Sempre è dalla parte dei più fragili». Solo lui e pochi altri, afferma il medico di Lampedusa, che invoca canali regolari per questa gente che subisce «violenze, maltrattamenti, sevizie e la morte, a pochi metri dall’Europa». «È immorale — sottolinea —, dovremmo vergognarci un po’ tutti». (salvatore cernuzio)

da Crotone
Salvatore Cernuzio