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Pubblicati gli atti del convegno di Salamanca dedicato alla figura e all’opera del cardinale Ernesto Ruffini

Un pastore dalla parte dei poveri

 Un pastore dalla parte dei poveri  QUO-047
26 febbraio 2024

Chi scrive in questi giorni ha avuto modo di leggere con grande interesse gli Atti di un convegno che si è svolto il 24 ottobre 2023 alla Pontificia Università di Salamanca in occasione del 25mo di fondazione della Cattedra cardinale Ernesto Ruffini (10 dicembre 1998) sul tema «L’opzione per i poveri nel ministero pastorale del cardinale Ruffini». Istituita al fine di approfondire studi biblici, di ecclesiologia e della dottrina sociale della Chiesa, così come anche il pensiero e l’azione del cardinale Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo dal 1945 al 1967, anno della sua scomparsa, la Cattedra si è fatta promotrice della pubblicazione degli Atti del convegno.

Ciò riporta alla memoria quanto affermato da san Giovanni Paolo ii, nel suo messaggio inviato in occasione della inaugurazione della Cattedra, rivolgendo i suoi migliori voti perché questa iniziativa contribuisse ad incrementare la cultura di ispirazione cristiana, a vivificare e a rendere più incisivo il messaggio rivolto all’uomo e alla società di oggi. Attraverso di essa — scrisse — si vuole rendere noto il riconoscimento del lavoro pastorale, intellettuale e sociale del cardinale Ruffini.

Curatore dell’opera, fresca di stampa, è stato il professore José Antonio Calvo Gómez, direttore della Cattedra il quale ha proposto al volume una titolazione perfettamente in linea con le relazioni del convegno: La opciòn por los pobres (Pontificia Università di Salamanca, novembre 2023, pagine 338, euro 13).

Aurelia Macaluso, direttrice generale del Servizio sociale missionario, fondato dal cardinale Ruffini, ha evidenziato nel suo intervento che il fare memoria di un pastore come Ruffini, davvero grande nella carità, si traduce in una lode al Signore che si è servito di questo vescovo, «uomo di Dio», per seminare nei solchi della storia della diocesi di Palermo, semi di prossimità, giustizia, dignità a favore dei più poveri ed esclusi.

Tra i partecipanti al convegno figurava anche Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione, che ha offerto ai partecipanti una riflessione su «la carità sociale nel cardinal Ernesto Ruffini». Facendo tesoro dei suoi ricordi personali, e a tratti commoventi, dello zio cardinale, egli ha ricordato tra l’altro che l’opzione preferenziale per i poveri lo portò a declinare così la carità: «Il povero rappresenta Cristo Redentore. E se dobbiamo avere una preferenza questa deve essere per coloro che sono sfigurati, che sono derelitti, che sono il rifiuto della società (...) Il vero amore di Dio viene quaggiù attuato nell’amore del prossimo e questo secondo amore è la prova irrefutabile del primo (...) Non si ama il prossimo se non si procura, nelle sue necessità, di aiutarlo. Per i poveri non è mai troppo» (Lettera pastorale La vita cristiana, 19 marzo 1953).

«Aveva trovato nel Vangelo — ha proseguito Ruffini — la risposta alle sue domande, alla sua sete bambina di perfezione, di verità, di felicità ed anche la radice spirituale della carità sociale, della fratellanza universale, dell’impegno per il bene pubblico». La coerenza tra le parole lette e dette e le cose fatte, tra la fede e le opere — ha sottolineato il prefetto — è espressa nel suo Testamento spirituale, dove scrisse: «Ho sempre amato la povertà — sono fin da giovane sacerdote terziario cappuccino — e godo di morte senza proprietà alcuna di beni immobili. Povero tra i miei poveri che tanto da vicino mi rappresentano Gesù Cristo, mio dolce Salvatore». «Quando morì — ha sottolineato Ruffini — il bene più prezioso che lasciò furono le sue opere sociali, e un grande rimpianto in chi conobbe il suo amore di Pastore». I poveri per lui non erano una categoria: «Erano — scriveva il cardinale — persone da amare, facendosi lui stesso povero».

Nasceva così una vocazione nella vocazione. E la consapevolezza che è nei poveri che si rivela Dio, ed è solo condividendo la loro povertà che li si incontra pienamente. «Una settimana dopo il suo arrivo a Palermo (31 marzo 1946) erano giunte in arcivescovado più di 80mila domande di aiuto. Nessuna rimase lettera morta. Il cardinale leggeva ad alta voce, con i suoi collaboratori, quasi tutte le lettere che gli venivano consegnate dal suo segretario. Leggeva e cercava la risposta giusta (...) La religione — diceva — “non è soltanto culto, ma fermento sociale (...) Non si può aver pace finché si sa che nella propria parrocchia vi sono poveri senza pane e senza tetto. Se sarà necessario, sarà dato il permesso di vendere i calici per soccorrerli e anche io venderò la mia croce di vescovo”. E ancora: “La carità è la sostanza del Vangelo, non è una virtù facoltativa” (Auguri natalizi alle autorità, Palermo 1950)».

Ruffini ha sottolineato come lo zio cardinale, «di fronte alla fragilità del welfare pubblico, contando sulla provvidenza, progettò e diede vita a Palermo e provincia, a una serie impressionante di opere sociali fra gli anni Quaranta e Cinquanta: mense per i poveri dovunque fosse possibile; un poliambulatorio centrale per malati privi di assistenza mutualistica e dodici ambulatori periferici; dodici centri di servizio sociale; quarantatré oratori; scuole popolari per analfabeti, ragazzi e adulti; ventitré scuole materne; quindici colonie estive diurne e residenziali; un villaggio per i senza tetto; uno per gli anziani, alternativa sorprendentemente moderna agli ospizi e alle Rsa; una casa per i bambini. Molto attento al ruolo della donna, fondò l’Istituto delle assistenti sociali missionarie, apostole della carità, dedite alla promozione dei poveri e dei lavoratori e a quello che oggi chiamiamo sviluppo umano integrale. Tutt’altro che conservatore sul piano sociale, diceva: “Le vecchie forme non bastano più”. Chiedeva al potere pubblico di agire e mobilitava intanto la Chiesa a fare la sua parte, secondo il principio di sussidiarietà. In questo senso fu un anticipatore».

Molto illuminante è stato anche il contributo del cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, che ha trattato «La passione per il povero e l’inclusione sociale del cardinale Ernesto Ruffini». Egli ha evidenziato come il cardinale sia stato «un credente che si affida alla forza della Parola» che «si rende disponibile il sabato per stare solo con il Signore», «attento soprattutto ai più piccoli, ai poveri» e ad ogni persona fosse nel bisogno.

In un messaggio del 1946 diceva: «Noi ci persuademmo che non avremmo potuto compiere pienamente l’Ufficio pastorale, senza prendere a cuore i fanciulli derelitti, i poveri, i malati, gli anziani e gli operai di qualsiasi categoria (...) Le prescrizioni di legge e i pubblici ordinamenti di beneficenza non riescono a provvedere alla popolazione indigente troppo numerosa». Per questo raccomandava ripetutamente l’importanza di tendere sempre a «essere santi e farsi santi».

Si tratta di una consapevolezza, secondo Zuppi «costitutiva della fede del cardinale che lo ha portato ad iniziative molto importanti, audaci e pioniere nel campo della carità sociale», indicatrice di come senza il rapporto con Dio e con la Scrittura, non ci sia servizio ai poveri. Il presidente della Cei ha quindi ripreso la prima Lettera pastorale del cardinale Ruffini, Il Dovere sociale, del 1947, nella quale egli mette in rilevo che il Vangelo, «non parla tanto di giustizia quanto di amore, ma è evidente che l’amore include la giustizia e la supera completandola». Il cardinale Zuppi ha poi sottolineato come «tutto riporta alla Parola di Dio che va messa in pratica per incontrare e servire il povero come sacramento di Cristo». (La vita cristiana, Lettera pastorale del 19 marzo 1953).

In una lettera rivolta a Igino Giordani, citata da Zuppi, il compianto arcivescovo di Palermo affermava che «c’è un cristianesimo solo e che questo consiste nell’attuare l’amore di Dio, compiendo le opere di misericordia» (29 febbraio-1952). «Per lui — ha affermato Zuppi — la carità diventa progetto, ma sempre con quell’oltre che è l’amore e le innumerevoli opere sociali da lui realizzate hanno questa caratteristica. I Villaggi della carità pensati con amore, come il Villaggio Cardinal Ruffini per le famiglie senzatetto, avevano come obiettivo quello di rispondere ai bisogni concreti, di dare il meglio per chi non aveva niente, farli sentire a casa e dargli protezione. Il cardinale univa al progetto la carità sociale, intercettando le sofferenze, i bisogni e la povertà al punto che «disegnava lui stesso i progetti, li immaginava con il cuore e li disegnava con carta e penna come fu precisamente per il Villaggetto dell’Ospitalità, un modulo urbanistico da lui inventato per ospitare coppie di anziani bisognosi di alloggio e assistenza (...) Progettava sempre, progettava molto e anche in grande: 500 appartamenti, non una rispostina, non quello che posso, ma quello che serve».

Il professor don Francesco Conigliaro della diocesi di Palermo, che conobbe personalmente il cardinale Ruffini, con cui ebbe un rapporto spirituale, ha testimoniato che il compianto porporato «per sua scelta il sabato non riceveva persone in arcivescovato ma si dedicava alla preghiera. Ed allora mi invitava sia per pregare che per dialogare di cose spirituali». Ed ha messo in evidenza come il cardinale Ruffini abbia vissuto la sua missione testimoniando con la vita la sua povertà personale come parte della più larga, magnanime e intelligente carità sociale, che non significa altro che servire il Signore nei poveri. Conigliaro ha concluso definendo Ruffini un grande uomo, sacerdote, vescovo, un cristiano, padre dei poveri e un santo, così affermando: «Il cardinale, è certamente un santo della carità, e precisamente di quell’aspetto particolare per il quale è anche profeta: “la carità sociale”. In questo campo il cardinale arcivescovo Ruffini è più che mai anche per noi oggi, maestro ed esempio».

Il volume degli Atti contiene anche un contributo, in lingua spagnola del professore Miguel Ángel Dionisio Vivas, dell’Università Complutense di Madrid, sulla situazione storico-sociologica italiana nella prima metà del secolo xx, che aiuta a comprendere il protagonismo del cardinal Ruffini a Palermo; un testo del professore Román Ángel Pardo, della Pontificia Università di Salamanca, che ha messo in evidenza i fondamentali dell’azione pastorale del cardinale partendo dai principi della Dottrina sociale della Chiesa. Mentre la professoressa María Jesús Domínguez, dell’Università di León ha esposto la vasta opera profetica realizzata dal cardinale fondata sui principi dell’umanesimo cristiano. La professoressa Franca Tonini, della Pontificia Università di Salamanca, ha invece svolto una relazione sul tema «La Cattedra cardinal Ernesto Ruffini della Pontificia Università di Salamanca, nel suo xxv anniversario di fondazione», proponendo alcuni manoscritti del cardinale che aiutano a conoscere il suo spessore umano e spirituale.

Dalla lettura di questi testi si deduce come l’apporto del cardinale Ruffini sia attuale per la Chiesa e la società di oggi, e come la sua attualità leghi la dimensione sociale a quella personale, radicandole nella sua vita di credente, nella sua spiritualità e nelle sue caratteristiche personali. Egli ripeteva: «Nel bisognoso, anche se dimenticato e vilipeso dagli uomini, è Cristo stesso; non soccorrerlo, potendolo, è rifiutare l’ossequio dovuto a Dio». Ruffini sentì profondamente la responsabilità della coerenza di un credente che abbraccia con un unico sguardo Cristo ed il suo popolo nell’intento di osservare il Signore mentre agisce in mezzo ad esso, attraverso un ministero creativo ed innovativo. Egli, amava e serviva i poveri; per loro aveva inventato le più originali ed audaci iniziative di promozione. Ma oggi — mi si consenta dirlo — si può trovare anche un certo parallelismo tra «l’opzione preferenziale per i poveri», la «carità sociale» vissuta e testimoniata dal cardinale Ruffini e l’illuminato Magistero di Papa Francesco che continuamente ci sprona a prestare una vigile e costante attenzione per essere vicini alle nuove forme di povertà e di fragilità in cui si trovano molti nostri fratelli e sorelle, riconoscendo in ogni fratello «la carne sofferente di Cristo».

di Giulio Albanese