· Città del Vaticano ·

Don Oleksandr Bohomaz, sacerdote greco-cattolico

Il conforto della fede

 Il conforto della fede  QUO-044
22 febbraio 2024

«Ai cattolici di tutto il mondo voglio dire che Dio è più vicino di quanto possiamo immaginare. E poi vi chiedo di pregare per il nostro popolo, affinché possiamo essere tutti testimoni non solo delle rovine ma di come Dio rinnova». Sono le parole che il sacerdote greco-cattolico don Oleksandr Bohomaz, 34 anni, sente di condividere a quasi due anni dallo scoppio del conflitto in Ucraina. Per nove mesi dopo l’inizio dell’invasione russa fino a quando è stato espulso dagli occupanti accusato di «incitamento all’odio razziale e interreligioso», don Oleksandr ha continuato a servire la comunità greco-cattolica di Melitopol, città al sud del Paese occupata il 26 febbraio 2022.

Come molti ucraini, e non solo, prima dell’invasione, il sacerdote non credeva che ci sarebbe stata la guerra. «All’inizio mi ponevo delle domande: perché? Cosa succederà dopo? Siamo più peccatori degli altri? Perché questo male ha colpito proprio noi? C’era disperazione…». Non ha voluto però perdersi nei pensieri, don Oleksander e assieme ad altri parroci si è messo in azione per rispondere alle sfide pastorali e umanitarie. «Abbiamo continuato a lavorare anche se era difficile. Non sapevamo quando sarebbero arrivati a metterci un sacco in testa e portarci via. Sappiamo che due sacerdoti redentoristi di Berdiansk (a 120 km da Melitopol) sono in prigionia da più di un anno e non sappiamo nulla di loro. Pensavamo che sarebbe potuto accadere anche a noi, ogni giorno eravamo in ansia. Era difficile distrarsi in qualche modo o riposare. Il riposo era nel lavoro, nel servizio. Nelle prime settimane, in un momento di disperazione ho chiesto a Dio: “Signore, chi sono? Cosa ci faccio qui?” E la risposta che ho ricevuto nel mio cuore è stata che sono un sacerdote e devo svolgere il ministero».

«La cosa più difficile durante l’occupazione — ricorda ancora il sacerdote ucraino — è stata vedere come alcune persone hanno tradito la propria patria per denaro e sono diventati collaboratori dei russi. È stato difficile anche vedere come tutti gli aggressori che odiano la terra in cui sono nato, cresciuto e che amo così tanto, l’hanno distrutta, come hanno trattato le persone come se fossero bestie. Era come un grande campo di concentramento…».

Anche gli interrogatori sono stati molto difficili: «Ai checkpoint russi era molto brutto —ricorda don Oleksandr —. La domenica avevo sempre una liturgia a Melitopol e poi andavo nei villaggi, e dovevo attraversare alcuni posti di blocco. Tante volte mi maltrattavano verbalmente ed era molto fastidioso. A volte mi sentivo moralmente violentato e subito dopo dovevo andare nelle parrocchie dove la gente aspettava di essere incoraggiata. Ricordo che una volta arrivai in una parrocchia e dissi: “Voi aspettate che io vi incoraggi, ma io vi chiedo: datemi voi un incoraggiamento, pregate per me, perché mi sento molto male dentro”. Allo stesso tempo non ho mai visto un sostegno reciproco come quello che ho sperimentato durante l’occupazione».

Molte persone che hanno attraversato gravi sofferenze dicono che, per sopravvivere, bisogna concentrarsi sul presente senza pensare molto al futuro. «La guerra mi ha insegnato a focalizzarmi sul singolo giorno», dice padre Oleksandr. «Bisognava vivere l’oggi nel modo più efficiente e produttivo possibile, perché non sapevo cosa mi sarebbe successo domani. Già nel terzo o quarto mese di occupazione, mi sono accorto che avevo smesso di sognare… Ascoltavo molto le persone che venivano a parlare con me dalla mattina alla sera. Poi pensavo: Dio, la giornata è passata e non ho fatto nulla, ho ascoltato tutto il giorno. Ma anche questo è stato un ministero importante. Di solito, dicevano quasi tutti la stessa cosa, ma io dovevo ascoltarli e poi cercavo qualcuno tra miei amici per parlare, perché si accumulavano tante cose in testa. L’occupazione mi ha insegnato a concentrarmi sul presente, ad ascoltare la gente ed apprezzare la loro presenza. La sensazione della presenza di Dio era incredibile».

La mattina del primo dicembre 2022 i militari russi sono venuti da don Oleksandr Bohomaz per la settima volta e lo hanno interrogato per circa tre ore. Poi lo hanno portato a Vasylivka, in uno degli ultimi checkpoint, dove gli hanno comunicato l’espulsione, accusandolo di «incitamento all’odio razziale e interreligioso». Il percorso attraverso la zona di demarcazione è durato circa tre ore. Non è stato difficile fisicamente, ma pericoloso: in alto volavano proiettili, il terreno era coperto di mine, racconta il sacerdote. Davanti a lui c’erano le postazioni ucraine e, alle spalle, la sofferenza e al contempo l’esperienza del sostegno umano e della presenza di Dio. «Quando stavo attraversando questa zona — ricorda — ho pregato: “Signore, non lasciarmi, sei così vicino a me. Ho paura di perderti. Capisco che lì c’è libertà, ma ti chiedo: in quella libertà, sii al mio fianco come lo sei stato nell’occupazione”».Ora don Oleksandr svolge il suo ministero in una parrocchia greco-cattolica di Zaporizhzhia, ma visita spesso anche i militari. «Sacrificano le loro vite perché io possa tornare a casa. Parlo anche di miei amici che sono caduti. Ogni volta che visito i soldati che combattono nelle zone più calde, vedo che sono così traumatizzati dalla guerra che è difficile esprimere a parole l’orrore. Non possono e non vogliono parlare. Quando vado lì, prego: “Gesù, non vado io, ma sei Tu che ci vai. Non celebro io, sei Tu che celebri e dici nella Messa: Pace a voi”». (svitlana dukhovich)