· Città del Vaticano ·

Storia di tre suore dal Burkina Faso al deserto algerino

Oasi di fede a Timimoun

 Oasi di fede a Timimoun  QUO-043
21 febbraio 2024

Timimoun. Si dice che questo nome sia la trasposizione in lingua berbera della parola «felice» in arabo, o che si ispiri al nome di un uomo chiamato Mimoun, di origine israelitica, vissuto tanti anni fa. Fatto sta che questa città costruita nell’oasi omonima in mezzo al deserto del Sahara, a più di 1200 chilometri a sud di Algeri, famosa per il colore dei suoi edifici in ocra rossa costruiti in stile neo-sudanese, è un posto a parte. Un luogo circondato da canali sotterranei lunghi in alcuni casi vari chilometri e di edifici misteriosi come lo ksar di Draa, una fortezza dalle origini sconosciute.

Una città bella da visitare, senza dubbio, ma andarci a vivere per diversi anni è un’altra storia, soprattutto quando non si conosce né l’Algeria, né la lingua araba. Eppure, è proprio lì che, venti anni fa, è iniziata l’avventura di tre suore originarie del Burkina Faso. Inviate a Timimoun dalla loro congregazione di Notre-Dame du Lac, non sapevano cosa ci si aspettasse da loro in questa città dove non ci sono cristiani. Le comunità cattoliche più “vicine” si trovano a circa 350 chilometri di distanza, a El Menia a ovest e Beni Abbès a sud-est. In Burkina Faso, raccontano, quando una suora è inviata da qualche parte, le viene assegnato un compito preciso. Le viene detto esattamente cosa deve fare. Gli inizi a Timimoun sono molto difficili. Devono sostituire le suore missionarie di Nostra Signora d’Africa (suore bianche) che preferiscono riorganizzarsi a Ghardaïa, 600 chilometri più a nord. Solo una di esse si trova ancora a Timimoun al loro arrivo e ci rimane per un mese, il tempo di presentare alcune famiglie, prima di andarsene via.

All’inizio ogni attività della vita quotidiana sembra una vera e propria impresa: uscire, andare a fare la spesa. L’unico posto in cui osano andare le tre suore di Notre-Dame du Lac è la casa delle poche famiglie che conoscono. Tuttavia decidono di rimboccarsi le maniche e di mettersi all’opera, proseguendo l’attività missionaria avviata dalle suore bianche. Suor Pauline si occupa della promozione della condizione femminile tra le donne di due villaggi vicini. Riunite in una casa, queste donne imparano il cucito e il macramè. Per raggiungere questi villaggi situati a una ventina di chilometri da Timimoun, la religiosa si sposta in moto. Un’altra suora, anch’ella di nome Pauline, si occupa del sostegno scolastico ai bambini della città, dopodiché decide di affiancare suor Bernadette per farsi carico delle persone con disabilità, dopo essersi assicurata che l’attività scolastica possa essere affidata ad altre persone in città, per esempio insegnanti in pensione. Perché è proprio l’assistenza ai portatori di handicap la vocazione iniziale delle tre religiose burkinabé. Perciò suor Bernadette, la superiora, cerca di capire innanzitutto quante famiglie hanno un figlio disabile.

Con il passare del tempo, le cose cambiano. Nella prima fase l’assistenza viene effettuata a domicilio; i bambini sono pochi, quindi le suore si prendono cura anche di alcuni adulti. Successivamente, le suore liberano una delle stanze della loro casa per prestare assistenza. Poi, la svolta, quando viene creata un’associazione algerina di aiuto ai disabili che sostiene l’attività delle religiose. A promuovere l’iniziativa è la madre di un bambino affetto da disabilità motoria e cerebrale di cui si sono prese cura le sorelle. Ex insegnante, la mamma trova una sala all’interno di una scuola che fa da ambulatorio. Il numero delle richieste esplode: oggi l’associazione si occupa di 120 bambini sotto i 15 anni. Ben cinque i volontari che assistono le suore nella cura di questi giovani, che vengono visitati due o tre volte a settimana.

Per le tre suore ogni giorno trascorso a Timimoun è anche un’occasione per confermare il proprio battesimo. All’inizio la popolazione locale era sorpresa dal fatto che non fossero musulmane e le incoraggiava a convertirsi. Ora la loro presenza in quanto cattoliche è ammessa. La loro vita di preghiera è conosciuta da tutti e le famiglie in difficoltà spesso chiedono di pregare per loro.

Le religiose guardano al futuro con fiducia e possono contare su una nuova “recluta”, suor Suzanne. «Lei è fortunata — scherza suor Bernadette — almeno prima di venire ha potuto seguire lezioni di arabo e beneficiare di una formazione sulla realtà del paese al Centro studi dell’arcidiocesi di Algeri».

di Charles de Pechpeyrou


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