· Città del Vaticano ·

L’arcivescovo Ravelli a Padova per la festa della traslazione delle reliquie di sant’Antonio

La strada
attraverso il deserto

 La strada  attraverso il deserto  QUO-043
21 febbraio 2024

Ogni anno, all’inizio della Quaresima, il Vangelo delle tentazioni di Gesù nel deserto «non soltanto ci chiarisce le idee su di lui e sulla sua strada messianica, ma ci dà la prospettiva e il senso di questo tempo liturgico, fa luce sul cammino che noi stessi dobbiamo percorrere». Lo ha ricordato l’arcivescovo Diego Ravelli presiedendo nella basilica di Sant’Antonio a Padova la celebrazione eucaristica in occasione della festa della traslazione delle reliquie del santo, detta popolarmente “festa della lingua”. Il rito si è svolto, domenica mattina, 18 febbraio, nel tempio antoniano, alla presenza di centinaia di fedeli e dei Frati minori conventuali che officiano il santuario, tra i quali Roberto Brandinelli, ministro della provincia italiana di Sant’Antonio di Padova, e Antonio Ramina, rettore.

Riferendosi al Vangelo di Marco (1, 12-15) che narra delle tentazioni di Gesù, il presule — che oltre a essere maestro della Celebrazioni liturgiche pontificie è delegato pontificio per la basilica di Padova — ha sottolineato che «la vita del cristiano è un combattimento contro lo spirito del male per rimetterci decisamente sulla strada di Gesù, i nostri passi sulle sue orme, perché questa è quella sola che conduce alla vita, alla resurrezione».

Nella prima domenica di questo tempo liturgico, ha fatto notare Ravelli, risuona ancora «con forza l’imperativo che costituisce il programma dell’intera Quaresima: convertitevi!». E la Parola di Dio indica «la strada per vivere in maniera fruttuosa i quaranta giorni che conducono alla celebrazione annuale della Pasqua». È la «via percorsa da Gesù», quella che l’evangelista Marco riassume in due aspetti essenziali: deserto e tentazioni. Da qui, ha detto il presule, «passa la strada di Gesù ma anche la nostra».

Innanzitutto il deserto, il luogo dove Gesù è tentato. Un ambiente, «naturale e simbolico, importante nella Bibbia». Da una parte è «il luogo dell’intimità tra Dio e l’uomo: lì Egli si fa incontrare, parla al suo cuore e gli indica la via vera da seguire». Proprio nella solitudine del deserto «il cuore dell’uomo, staccato e libero da tutte le altre cose, si apre alla Parola di Dio e risponde con la preghiera, filiale e fiduciosa, e con la vita, rinnovata dalla grazia». Ma, dall’altra parte, il deserto è «pure il luogo e il simbolo per eccellenza della prova, dove il Tentatore, approfittando della fragilità e dei bisogni umani, insinua la sua voce menzognera, seduce con una voce alternativa a quella di Dio, lo rende sordo all’appello di Dio e muto nel rispondergli, e lo porta alla rovina».

In secondo luogo, le tentazioni. Il racconto di Marco, diversamente dagli evangelisti Matteo e Luca, «non narra nulla della natura della tentazione, del suo svolgimento e del suo esito». Semplicemente dice che Gesù «è tentato, senza specificarci in cosa sia consistita la tentazione». Più che un racconto, ha osservato il presule, sembra che Marco «voglia offrire un riassunto o meglio un titolo di ciò che verrà narrato nel resto del Vangelo: tutta la vita di Cristo è una lotta e un combattimento contro il Maligno nelle sue molteplici manifestazioni». Dal seguito della narrazione evangelica non è difficile «ricostruire quella tentazione che Gesù ha incontrato non soltanto nell’episodio del deserto, ma lungo tutta la sua vita e il suo ministero, dall’inizio alla fine». Percorrere, cioè, «la strada suggerita dalla Parola di Dio, quella dell’amore, del perdono, del servizio», oppure preferire «le strade suggerite dagli uomini e dal mondo che sembrano scorciatoie più sicure e convincenti, quelle della gloria, della ricchezza, del potere». Cedere alla tentazione del demonio significa «percorrere una via diversa da quella di Dio, una via che promette felicità ma che porta alla rovina, una strada più facile e attraente da percorrere ma che invece inganna».

“Diavolo”, del resto, secondo l’etimologia della parola greca, significa proprio “separatore”: colui che «allontana dalla strada di Dio, dal compiere la volontà del Padre». Ma Gesù, ha fatto notare monsignor Ravelli, «esce vincitore dalle tentazioni». La sua scelta «è irrevocabile: sceglie la strada di Dio, inizia un cammino di progressiva e sempre rinnovata fedeltà alla sua missione: “sia fatta la tua volontà”, fino alla morte in croce».

In questo senso, ha spiegato il delegato pontificio, «anche la nostra vita, come quella di Gesù, è continuamente segnata dalla tentazione di lasciarci lusingare da colui che vuole separarci da Dio», che propone di percorrere «la strada del mondo». Quella di Gesù invece «passa attraverso il deserto e ora invita ciascuno di noi ad entrarvi». Non si tratta, ha evidenziato il presule, «di un luogo fisico, ma di una dimensione esistenziale in cui trovare l’essenzialità e il silenzio, vere medicine del nostro cuore e della nostra mente contro l’affanno e il frastuono del mondo che invece li inquinano». Questo è il «luogo privilegiato dove Dio parla e si fa ascoltare e dove noi possiamo distinguere la voce di chi ci vuole bene da colui che invece ci lusinga perché vuole toglierci il vero bene». Nel tempo del deserto quaresimale «l’ascolto assiduo e profondo della Parola di Dio deve diventare il cibo del cammino, che nutre e rinnova la nostra vita e ci permette di percorrere la strada della conversione».

Riferendosi alla celebrazione della festa antoniana, l’arcivescovo ha poi ricordato che nel 1263 avvenne il ritrovamento straordinario della lingua incorrotta del santo dopo più di trent’anni dalla sua morte. Un dono divino «ancora vivo per noi — ha commentato — quasi a confermare quella che è stata la sua forza di annunciare il Vangelo, la sua capacità di predicare e di insegnare le verità di fede».

Celebrare questa festa proprio all’inizio del cammino quaresimale, ha detto, «diventa per ciascuno di noi un segno tangibile della potenza di questo strumento: la sua lingua ha portato il Vangelo di Gesù ai fratelli e questa parola ha sfamato, curato e guarito una moltitudine di cuori sofferenti e feriti». Così la Parola di Dio, da lui annunciata, «ha compiuto e continua a compiere miracoli di vita».

In effetti, sant’Antonio «vuole continuare a parlare al nostro cuore e vuole ripeterci proprio questo: se ci apriamo all’ascolto di Dio, se ci lasciamo plasmare dalla buona notizia del Vangelo, se scegliamo di percorrere la strada del Signore Gesù, allora anche in noi si compiranno i miracoli del suo amore, quelli di una vera conversione». Sant’Antonio, ancora oggi, «si fa eco dell’appello di Gesù, si fa voce di Dio: “Convertitevi e credete nel Vangelo”».