· Città del Vaticano ·

Il 20 febbraio 1924 la proprietà del “Bambino Gesù” passava alla Santa Sede

Da cento anni
«l’ospedale del Papa»

 Da cento anni «l’ospedale del Papa»  QUO-042
20 febbraio 2024

Esattamente cento anni or sono,  il 20 febbraio 1924, i rappresentanti della famiglia Salviati, fondatrice dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, e il cardinale vicario  Basilio Pompilj, firmavano davanti al notaio i documenti per l’atto giuridico definitivo che sanciva, con il consenso di Pio xi, il passaggio di proprietà alla Santa Sede, trasformando a tutti gli effetti la struttura nell’«ospedale del Papa». 

Quello che oggi si presenta come il più grande Policlinico e Centro di ricerca pediatrico in Europa e punto di riferimento per la salute di bambini e ragazzi provenienti da tutta Italia e dall’estero, fu fondato 155 anni fa sul modello dell’«Hôpital des Enfants Malades» di Parigi, per iniziativa dei duchi Arabella e Scipione Salviati. In realtà l’opera nasce da un regalo: quello di quattro figli che, il 25 febbraio 1869, donano alla madre, per il suo compleanno, un salvadanaio con i loro risparmi. Vogliono esaudirne il desiderio di dare un ricovero ai piccoli malati dell’Urbe che non possono permettersi cure adeguate. Da quel seme fiorì il 19 marzo dello stesso anno il più antico ospedale pediatrico d’Italia. La prima sede fu in una semplice stanza in via delle Zoccolette, sulla sponda sinistra del Tevere; le cure affidate a due soli medici e la gestione dell’accoglienza alle suore Figlie della Carità di san Vincenzo de’ Paoli. Circa vent’anni più tardi, tra il 1887 e il 1889, il trasferimento nell’attuale sede al Gianicolo, presso il convento di Sant’Onofrio. Nel 1924 l’opera divenne effettivamente della Santa Sede, circa un mese dopo che con un chirografo del 24 gennaio Papa Ratti aveva dichiarato di accettare il dono degli eredi di  Arabella Fitz-James Salviati. Oggi l’assistenza sanitaria è articolata su 6 poli di ricovero e cura: oltre alla sede storica, a Roma ci sono quella di San Paolo Fuori le Mura e quella di Viale Baldelli; cui vanno aggiunte — tutte sul litorale nord — le sedi di Santa Marinella e Palidoro (Fiumicino), e, dal 2022, la sede di Passoscuro (anch’essa nel comune di Fiumicino), dedicata alle cure palliative pediatriche.  San Paolo ospita anche  grandi laboratori di ricerca, attrezzati con le più moderne tecnologie per le indagini genetiche e cellulari, compresa un’Officina farmaceutica dedicata alla produzione di terapie avanzate. Il Bambino Gesù, infine, è sede per l’Italia di «Orphanet», il più grande database mondiale per le malattie rare a cui aderiscono oltre 40 Stati. 

All’inizio di questo 2024 la Santa Sede e la Repubblica italiana hanno sottoscritto una Dichiarazione di intenti che riguarda l’ospedale. Nel Documento — firmato l’8 febbraio dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Alfredo Mantovano — le due parti dichiarano di aver individuato nell’area dell’ex ospedale romano  Forlanini «uno dei luoghi più idonei per la realizzazione della nuova sede» del Bambino Gesù. 

Nella ricorrenza centenaria, tratto dal libro L’ospedale dei bambini, 1869-2019 Una storia che guarda al futuro scritto da Andrea Casavecchia  (Rizzoli 2020, pp. 272, euro 18) riproponiamo stralci del capitolo che descrive il passaggio di proprietà alla Santa Sede.


Il Bambino Gesù [...] dopo cinquant’anni [di attività, ndr] era riconosciuto, aveva instaurato relazioni con le istituzioni pubbliche e con i soggetti che operavano nel campo della salute. Mentre le attività si ampliavano la responsabilità dell’impresa diventava sempre più gravosa. La famiglia Salviati, e in particolare donna Maria, iniziò a immaginare ulteriori prospettive di sviluppo. Come assicurare un futuro all’ospedale dei bimbi?

Il rapporto fiduciario con la Chiesa aveva sempre caratterizzato la vita dell’ospedale fin dalle sue origini: dalla benedizione di Pio ix , che aveva poi favorito l’impresa con frequenti donazioni, al sostegno, anche economico, di Leone xiii , fino alle dichiarazioni di Pio x , che aveva voluto testimoniare la sua vicinanza alla missione dell’istituto al momento della morte di Arabella Salviati. L’opera fu inoltre promossa anche nell’ambiente ecclesiastico, a partire da quello romano, che sostenne sempre l’ospedale nel corso del suo sviluppo.

Da un lato fu costante il contributo economico offerto da diversi alti prelati romani e della curia vaticana come il segretario di stato di Pio ix , il cardinale Antonelli. Il sostegno non mancherà nemmeno negli anni a venire, come testimonieranno la prossimità all’ospedale di Eugenio Pacelli, poi Papa Pio xii, del cardinale Giovan Battista Montini, il futuro Paolo vi . Altri importanti contributi vennero dalla comunità degli Stati Uniti e dalla Croce rossa americana.

Dall’altro lato, sin dall’apertura di via delle Zoccolette, furono nominati degli assistenti ecclesiastici per la cura della spiritualità della comunità ospedaliera. Al principio si trattava di favorire tempi dedicati alla preghiera e al catechismo per la somministrazione dei sacramenti, ma in seguito la missione si fece più ampia, declinandosi in un accompagnamento ai bambini malati e, quando possibile, alle loro famiglie.

Nel 1924 la famiglia Salviati donò l’ospedale a Papa Pio xi . Le trattative furono lunghe. Alcuni tentativi erano già stati avviati con Benedetto xv , che aveva dimostrato forte attenzione per il Bambino Gesù intervenendo più volte con importanti offerte in favore dei piccoli pazienti. La bozza dell’atto di donazione su cui convennero le parti si basò proprio su un primo testo dell’atto di donazione redatto sotto il pontificato precedente. Dopo la morte di Benedetto xv , il percorso proseguì con Pio xi , che affidò l’incarico di presiedere alle trattative al suo vicario per la diocesi di Roma, il cardinal Basilio Pompilj. Nel chirografo, che formalizzava l’accettazione del dono da parte del Papa, si prevedeva sia l’area del Gianicolo sia Villa Iolanda, la sede di Santa Marinella. Inoltre la famiglia Salviati conservava un rapporto speciale con il suo Bambino Gesù, rimanendo nel consiglio d ’amministrazione.

Da parte di Pio xi il dono fu accolto come espressione della carità del Papa verso i piccoli infermi. Un’opera di misericordia che lo stesso pontefice sentiva come azione concreta, in grado di rendere visibile la testimonianza diretta del successore di Pietro [...].

Finalmente, il 20 febbraio 1924, fu ufficialmente certificata la donazione dell’ospedale al Papa. «Noi, avendo preso in esame tale domanda ed avendo considerato quanto l’assistenza ospitaliera dei fanciulli [poveri] si addica al Nostro Ministero, che anche in questo continua l’opera del Nostro Signor Gesù Cristo, il quale fece oggetto di sua speciale amorevolezza i bambini e si compiacque di averli presso di sé. Accogliamo di buon grado la domanda, che ci è stata rivolta e diamo di buon grado a lei, Signor Cardinale e nostro Vicario per questa a noi diletta città, di ricevere in Nostro nome dall’Ecc.ma casa Salviati il possesso dell’Ospedale Bambino Gesù con tutte le pertinenze e le dipendenze, in modo che questa nostra sede ne addivenga assoluta proprietaria, specialmente per ciò che riguarda i suoi beni patrimoniali cogli relativi oneri» (Chirografo di Pio xi , 24 gennaio 1924).

Il Pontefice designò il cardinale Pompilj come suo delegato per la gestione amministrativa e per la responsabilità delle nomine del consiglio d’amministrazione, mentre nominò Camillo Serafini, che ricopriva la carica di governatore della Città del Vaticano, presidente dell’ospedale. Alla segreteria vaticana — l’attuale segreteria di Stato — fu assegnata la responsabilità della gestione economica. L’attribuzione degli incarichi a due personaggi così centrali per il governo della Chiesa rivelava l’interesse del papa per l’andamento presente e futuro dell’ospedale [...].

Nello stesso periodo l’organizzazione e la vita dell’ospedale iniziarono a prendere un percorso originale rispetto a quelle degli altri istituti italiani. Proprio in quegli anni si cercò una soluzione alla questione romana, aperta con la conquista di Roma da parte dell’esercito sabaudo e la conseguente dissoluzione dello Stato Pontificio. Dopo un lungo periodo di stallo e tre anni di trattative tra il Regno d’Italia e il Vaticano, si raggiunse un accordo che, oltre all’autonomia dello Stato della Città del Vaticano, riconosceva anche alcune aree extraterritoriali ritenute essenziali per il governo della Chiesa universale e per il compimento di alcune attività specifiche del pontefice. Tra queste aree rientravano le due sedi del Bambino Gesù. L’ospedale — e in particolare l’area del Gianicolo — aveva cominciato a essere menzionato nelle trattative dal 20 agosto 1928, quando l’avvocato Francesco Pacelli, fratello del futuro Papa Pio xii , aveva ricevuto alcune planimetrie e convenzioni sugli immobili che avrebbero goduto delle immunità riconosciute dal diritto internazionale. In una nota all’articolo 14 dello schema di trattato si specificava: «Saranno da prendere accordi in ordine a qualche modesto relitto esistente in mezzo alle dette proprietà della Santa Sede, che attualmente non fu parte delle medesime, al fine di assicurare la continuità di queste. E altri accordi saranno da prendere per la definitiva sistemazione dell’Ospedale Bambino Gesù, che, unitamente alla dépendance di Santa Marinella, la Santa Sede gestisce con tanto vantaggio per i bambini ammalati della provincia di Roma». Da quel momento in poi, nonostante successive modifiche, il riconoscimento dell’ospedale quale proprietà della Santa Sede — nello specifico del Santo Padre — e opera coerente col suo ministero non fu più messo in discussione.


In un video il legame con i Pontefici

Una storia d’amore lunga un secolo


«Un dono d’amore lungo 100 anni»: è il titolo del video realizzato dall’Ospedale Bambino Gesù per festeggiare l’odierno centenario. Vi è  raccontata attraverso immagini soprattutto in bianco e nero la storia della struttura e del suo speciale legame con i Pontefici. Un legame fatto di donazioni, di visite, di udienze e di discorsi a sostegno dell’attività sanitaria, l’ultimo dei quali è stato l’intervento in video di Papa Francesco, collegato da remoto con New York in occasione della “Clinton Global Iniziative”, il 18 settembre scorso. «In Italia, a Roma, vicino al Vaticano, c’è un ospedale molto speciale — disse —: l’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Il nostro piccolo grande ospedale — aggiunse — non può risolvere i problemi dei bambini malati in tutto il mondo. Vuole però essere un segno. Una testimonianza di come sia possibile (in mezzo a tanti sforzi) coniugare la grande ricerca scientifica, finalizzata alla cura dei bambini, e l’accoglienza gratuita di chi ha bisogno». Perché, spiegò, «esistono malattie inguaribili, ma non esistono bambini incurabili». 

Dal punto di vista delle visite, la più recente è stata quella in forma privata dello stesso Francesco, nel pomeriggio del 19 marzo 2022, alla sede del Gianicolo per incontrare i bambini feriti nel conflitto in Ucraina. In precedenza Papa Bergoglio era stato a Palidoro (nel comune di Fiumicino) il 5 gennaio 2018, vigilia dell’Epifania, e, pochi mesi dopo l’elezione, al Gianicolo  il 21 dicembre 2013.

Anche il predecessore Benedetto XVI era stato nella stessa sede, il 30 settembre 2005. «Per questa prima visita ad un ospedale — commentò —, ho scelto il “Bambino Gesù” per due motivi: anzitutto perché questo Istituto appartiene alla Santa Sede. Passando per alcuni reparti, imbattendomi con tanti piccoli che soffrono, ho pensato spontaneamente a Gesù che amava teneramente i bambini e voleva che li lasciassero andare a Lui. Sì, come Gesù, anche la Chiesa manifesta una speciale predilezione per l’infanzia, specialmente quando si tratta di fanciulli sofferenti. Ecco, allora, il secondo motivo per cui sono venuto: per testimoniare anch’io l’amore di Gesù per i bambini».

Da parte sua Giovanni Paolo II l’8 giugno 1982 inaugurò il centro cardiochirurgico sempre a Sant’Onofrio, dov’era già stato anche il 7 gennaio 1979. Era ancora un uomo giovane e vigoroso agli inizi del lungo pontificato in seguito segnato dalla sofferenza e dalla malattia. «La visita ad un ospedale, e in particolare ad un ospedale per bambini — disse nel 1982 —, provoca nel profondo del cuore alcuni degli interrogativi più radicali sul significato della vita e dell’esistenza dell’uomo: la presenza continua, martellante, ineluttabile della sofferenza, e specialmente quella degli “innocenti”, urta nella ragione umana attonita e perplessa come un autentico “scandalo”... Il lamento accorato e il pianto lancinante di un bimbo che soffre, possono sembrare quasi una protesta dell’umanità intera nei confronti del silenzio impenetrabile di Dio, che permette tale somma di dolore». 

Procedendo a ritroso, Paolo VI vi celebrò la messa del 1° gennaio 1968, visitando anche il nuovo Padiglione Pio XII. «Tutti i diletti ospiti sentano la paternità della Chiesa, rappresentata da quella del Papa — disse Montini —. Una paternità che predilige i piccoli, che tutti desidera buoni, sani; che si curva sul vostro lettino ad assicurare che tutto il possibile viene compiuto per aiutare ogni ospite ad acquisire energie e volontà sì da essere bene avviato ad un’esistenza degna».

A inaugurare questa tradizione delle visite fu però Giovanni XXIII nel Natale 1958, a poco più di due mesi dall’elezione. Il “Papa buono” poi ritornò sempre a Natale nel 1962. «Su questo colle, in questo ambiente di bontà e di cure amorevoli — disse Roncalli —, si può agevolmente pensare al migliore domani. Non regge la previsione pessimistica di quelli che vedono solo amarezze. I fanciulli di oggi avranno le loro esperienze, ma esse non potranno mai prescindere da questo primo tirocinio compiuto alla scuola ed all’esercizio della carità».

Comunque lo stretto rapporto con la Chiesa ha caratterizzato la vita dell’ospedale fin dalle  origini: da Pio IX, che concesse l’uso del nome “Bambino Gesù” e poi lo favorì  con frequenti donazioni, agli aiuti economici di Leone XIII; dall’ammirazione espressa da di Pio X dopo la morte di Arabella Salviati, a Benedetto XV, intervenuto a più riprese con offerte in favore dei piccoli pazienti. Del resto anche la bozza dell’atto di donazione da parte del successore Achille Ratti  si basò proprio su un testo redatto sotto il pontificato di Giacomo della Chiesa. Senza tralasciare il sostegno di Eugenio Pacelli sia da cardinale sia una volta salito al soglio di Pietro.


Nella poesia


Poeta e scrittore che ha lavorato in passato per una ditta di pulizie nelle corsie dell’ospedale romano, Daniele Mencarelli  ha dedicato ad esso versi molto belli sia nella raccolta pubblicata da Nottetempo nel 2010 e intitolata semplicemente Bambino Gesù, sia nel libro fotografico del 2019 Vite che aiutano la vita, in cui offre piccole didascalie poetiche a commento delle immagini. Nella prima delle due opere, la poesia più celebre e rappresentativa è forse quella che diamo qui di seguito, riprodotta anche alla fine del suo primo romanzo La casa degli sguardi (Mondadori, 2018).

Avevo un pavimento da lavare
io che prendo tutto come una missione
anche questo lavoro da tanti disprezzato,
affrettai ancora di più la marcia
sul corridoio di marmo lucidato.
Andavo incontro a due ragazzi
il figlio in braccio mi dava le spalle
loro ci giocavano e lui rideva,
gli fui davanti proprio mentre si girava,
perdonami per la durezza delle parole,
di un bambino aveva il corpo
ma il viso quello di un mostro
sotto gli occhi niente naso niente bocca
solo buchi di carne viva.
Non so se fu più forte
la pietà o forse il disgusto,
quasi correndo abbassai la testa,
ma già avevo la certezza
che di lì a poco l’avrei rivisto
per quel passaggio a me obbligato.
Persi tanto tempo nelle mie faccende
prima di andare mi augurai la loro assenza
poi via sul corridoio di marmo lucidato;
il caso me lo presentò ancora di spalle
ancora preso dai suoi giochi divertiti,
a farlo ridere così di gusto
non erano stavolta i genitori
ma un’anziana suora
distante un palmo dall’orribile viso,
vidi il sorriso di lei e le sue parole:
“ma quanto sei bello, che bel bambino sei”.
Per giorni m’accompagnò il dubbio
non riuscivo a crederla bugiarda,
poi una chiarezza si fece strada,
quegli occhi opachi di vecchia devota
guardavano un punto oltre l’orrore
lì c’era solo un bambino che giocava.


Nelle canzoni popolari


La Grazia è una canzone romana scritta nel 1938 che sottolineava la speranza riposta dai genitori nell’ospedale quando vi portavano un figlio malato.

All’ospedale der «Bambino Gesù»
io so’ venuto co’ lo strazio ar core:
c’è qui un maschietto bello come un fiore,
un angelo che more — si nun lo sarvi tu.
Bambino Gesù!
Er medico fa un segno! Grazzia o Dio!
Che dice? È sarvo er pupo mio!
Sarvo ritorni a la vita e io pure
oggi ritorno a rivive pe’ te!