· Città del Vaticano ·

La nuova vita di tre giovani stranieri che a Cadice hanno vinto la loro sfida

Oltre ogni avversità

 Oltre ogni avversità  QUO-040
17 febbraio 2024

La sofferenza, i problemi personali e la lontananza dalle loro famiglie non sono riusciti a infrangere i sogni di Fatoumata, Martial e Saleha. Questi tre giovani stranieri hanno lottato con tenacia per costruirsi un futuro in Spagna, dove, con l’aiuto di organizzazioni della Chiesa cattolica, stanno realizzando quei sogni.

«Faremo tutto il necessario per farla andare avanti!», ha detto con tono perentorio il sacerdote Gabriel Delgado ai suoi collaboratori quando, nel 2019, è venuto a conoscenza della storia di Fatoumata Baldi, una giovane ventenne che aveva lasciato la Guinea diretta in Francia. Aveva appena varcato la frontiera tra il Marocco e la città spagnola di Ceuta quando il guidatore della macchina su cui viaggiava perse il controllo del veicolo schiantandosi contro un muro. Erano sei le giovani che avevano pagato per nascondersi in quell’auto allestita appositamente per trasportare migranti. Lei si era infilata in uno spazio accanto al parafango e per questo rimase intrappolata tra i rottami al punto che per liberarla dovettero amputarle la gamba destra dal ginocchio in giù. Così, donna, subsahariana, senza documenti e con un handicap, Fatoumata aveva tutto contro nel suo piano per un futuro promettente. Ciononostante, padre Gabriel, che era a capo del Segretariato per le migrazioni della diocesi di Cádiz y Ceuta, è riuscito a far sì che fosse trasferita all’ospedale di Cadice, dove è rimasta otto mesi ed è stata sottoposta a dodici interventi chirurgici.

Durante la lunga convalescenza ha ricevuto ogni giorno la visita di Pepita, una volontaria che, mentre le faceva compagnia e le insegnava spagnolo, è diventata per lei una madre adottiva. Insieme a Pepita, Fatoumata ha affrontato il difficile processo di riabilitazione, completato l’istruzione secondaria e conosciuto le religiose di Maria Immacolata che l’hanno accolta con affetto in una casa per giovani studentesse. Non ha quindi portato a termine il suo piano che era di arrivare in Francia dove doveva incontrare un lontano cugino che le aveva proposto di sposarlo ma che, quando è venuto a sapere dell’incidente, si è dimenticato di lei. Forse è stato un fatto provvidenziale perché le persone che l’assistevano sospettavano che quel parente sconosciuto in realtà facesse parte di una rete della tratta.

Attualmente Fatoumata ha un permesso di soggiorno, sta studiando gestione aziendale nel centro di formazione professionale «Maria Immacolata», è in costante contatto con la sua famiglia, e da alcuni mesi ha un fidanzato. La determinazione di padre Gabriel ha dato buoni frutti, anche se lui non li ha potuti vedere perché è morto a Cadice il 12 novembre 2021, dopo aver dedicato la propria vita a dare dignità ai poveri, con una chiara predilezione per i migranti. La sua figura profetica è ricordata in ogni angolo della frontiera meridionale spagnola.

Un’esperienza diventata compassione


Un’altra delle grandi opere di Gabriel Delgato è stata l’Associazione Cardijn che ha creato nel 1993 e per la quale lavora Martial Tsatia come guida e supervisore dei migranti appena arrivati in Spagna, per lo più giovani. Li accompagna da quando si svegliano, si lavano e puliscono l’appartamento dove vivono temporaneamente, per poi assegnare loro compiti che devono svolgere durante la giornata, oltre ad assistere alla lezione obbligatoria di spagnolo.

Martial è di origine camerunense e nel 2016 ha deciso di tentare la fortuna in Spagna, ma durante il viaggio, mentre cercava di passare dal Marocco a Ceuta, nel tentativo di superare la grande recinzione che separa i due paesi, è caduto da dieci metri e si è fratturato il braccio destro. Ferito e senza assistenza sanitaria, ha passato otto mesi cercando di attraversare lo Stretto di Gibilterra, fino a quando ci è riuscito su una barca che lo ha lasciato nella città spagnola di Tarifa. Appena sbarcato, la polizia lo ha arrestato e ha trascorso tre settimane in un centro di internamento per stranieri, da dove lo ha tirato fuori Juan Carlos Carvajal, che lavora per l’Associazione Cardijn e che oggi è suo amico.

Mentre riceveva le cure mediche per guarire, Martial si è dedicato a imparare lo spagnolo e a formarsi. Ha provato a lavorare nei campi nella zona di Almería ma ha rinunciato per il grave sfruttamento a cui era sottoposto. Poi ha lavorato come cuoco e ora, con i documenti in regola, è stato assunto da «Cardijn» dove, oltre all’attività di supervisione dei migranti, svolge un vero e proprio lavoro di accompagnamento umano. «Racconto la mia storia, che non è stata facile. Ho sempre lottato, imparando da tutto. Devi muoverti, studiare, cercare contatti, conoscere gente, e vedere che opportunità puoi avere. Devi essere sempre ottimista», afferma Tsatia, ora trentenne. La sua esperienza oggi gli consente di avvicinarsi con compassione ai migranti, con i quali passa molte ore al giorno, accompagnandoli dal dottore o dallo psicologo, partecipando con loro a laboratori socioculturali o semplicemente divertendosi in una partita di calcio. Il tutto in attesa che ognuno di essi trovi la propria strada.

Un futuro autonomo per le giovani


Saleha Mohamed Chanhih è nata a Melilla, in Spagna, da genitori emigrati dal Marocco. Per problemi familiari, quando aveva 16 anni, la giustizia ha disposto il suo affidamento a un centro per minori, ma una volta diventata maggiorenne è stata costretta ad andare via. Una porta le si è però aperta sull’altra sponda del Mediterraneo. A Cadice le francescane del gregge di Maria le hanno offerto un posto nella loro casa per giovani, dove convivono diverse ragazze per le quali queste religiose esercitano un vero ruolo materno. Saleha si trova lì da un anno e si è adattata facilmente, sostenuta da un team di professionisti che vegliano sulle giovani a rischio di esclusione sociale. Suor Rosario Hidalgo, superiora generale della congregazione, spiega che la sua missione è di accompagnare le giovani affinché possano costruirsi un futuro in modo autonomo, ma che, per riuscirci, bisogna anche curare le loro ferite più profonde: «Arrivano traumatizzate. A volte ci sono mafie dietro di loro», avverte, alludendo ai rischi che corrono le donne migranti di fronte ai gruppi che si dedicano alla tratta degli esseri umani e che li schiavizzano con i lavori forzati o la prostituzione.

Ma non è stata questa la sorte di Saleha. Il suo processo di adattamento è stato rapido perché ha potuto contare sul sostegno di un team multidisciplinare. Oggi ha 19 anni e sta frequentando un corso di educazione fisica per ottenere un primo diploma tecnico che le permetterà di trovare un lavoro nel breve termine oppure di continuare gli studi. Inoltre ha fatto della sua condizione di figlia di migranti una forza per il suo sviluppo e le sue relazioni sociali, una vera ricchezza per la sua persona e il suo futuro: «S’impara moltissimo perché conosci culture diverse e opinioni diverse, e vedi tutto in modo diverso. È qualcosa che mi ha aiutato, mi è servito», dice Saleha orgogliosa delle sue radici straniere.

da Cadice
Felipe Herrera-Espaliat


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