· Città del Vaticano ·

Bailamme

L’ultimo primo venerdì
di Quaresima
di Michelangelo

 L’ultimo primo venerdì di Quaresima di Michelangelo  QUO-039
16 febbraio 2024

«Michelagnolo lavorò tutto il sabbato della domenicha di carnovale, e llavorò in piedi, subbiando sopra quel corpo della Pietà». In questo modo Daniele da Volterra, in una lettera, dava notizia degli ultimi giorni di vita del suo grande amico artista, morto nella propria casa romana, vicino al Campidoglio, il 18 febbraio 1564, primo venerdì di Quaresima di 460 anni fa. Quel “subbiando” si riferisce alla “subbia”, scalpello a punta piramidale con cui «sogliono gli scultori, nel fare le statue di marmo, nel principio loro abbozzare le figure», come spiega Giorgio Vasari. Così che passando nei pressi della bottega di Macel de’ Corvi in quei giorni d’inverno si potevano forse sentire i colpi di mazzolo, mescolati a quelli di tosse, del vecchio genio quasi novantenne intento a modellare la sua ultima opera, la meravigliosa incompiuta che qualche secolo dopo sarà battezzata Pietà Rondanini.

«Né pinger né scolpir fie più che quieti / l’anima volta a quell’amor divino / c’aperse, a prender noi, ’ncroce le braccia», aveva scritto tempo prima in un sonetto, confessando come nelle sue intense e diuturne fatiche artistiche trascorse «a sculpir qui cose divine» il suo cuore non trovasse requie, desideroso com’era d’essere abbracciato dall’amore del Dio fattosi uomo e morto in croce per la sua salvezza. Il «corpo della Pietà», che andava «subbiando» da dieci anni almeno, era di fronte a lui: corpo sfinito d’un’opera non finita, sospeso alla «mano della Madre che per sostenere il figlio quasi fa tutt’uno col suo petto», per dirla con un grande appassionato di Michelangelo, Giuseppe Ungaretti, nella cui Pietà in versi sono al lavoro «mani febbrili» dalle quali «non escono senza fine che limiti»: sembra di vedere il vecchio scultore, anch’egli sfinito, a poche ore da quel suo ultimo primo venerdì di Quaresima, abbandonare in terra la subbia, appoggiare le proprie mani febbrili e il capo sul petto del suo Gesù non finito e a lui lasciarsi andare nell’estrema preghiera di pietà: «Ma che poss’io, Signor, s’a me non vieni / coll’usata ineffabil cortesia?». 

di Paolo Mattei