· Città del Vaticano ·

L’Orchestra del Mare in concerto alla Scala di Milano

Voce dei mille senza nome

 Voce dei mille senza nome  QUO-036
13 febbraio 2024

Un appello all’agire concreto oltre la commozione


«E ora, in questa conca venerabile / è tempo che la musica si spanda / e scorra come vino / per gli invitati alle nozze di Cana, / tempo che l’umile barca da pesca / suoni per voi la “Sinfonia del mare”».

La voce roca di Paolo Rumiz scandisce le parole sul palco della “conca venerabile” ovvero la Scala di Milano, tempio italiano della musica “alta”, e leggendo il suo testo scritto ad hoc per la serata di lunedì 12 febbraio, dà il via al concerto dell’Orchestra del Mare che «canti con voce dei mille più mille / rimasti sui fondali senza nome / urli, per quelli che avete respinto / e per quelli buttati sulla strada / ma chieda anche perdono / per aguzzini, negrieri, necrofili / e anche per i tanti indifferenti / che han dimenticato / i padri con valigia di cartone».

Parole che non hanno bisogno di commento, nel teatro gremito e silente, un brivido di trepidazione commossa attraversa l’aria e i cuori. Ma l’obiettivo è proprio quello di evitare la commozione facile: «La vecchia barca venuta dal mare / si carica anche Giuda sulle spalle / e fa questa promessa: / “Non sarò più sarcofago, ma culla. / Nella sua terza vita / il mio legno sonoro non si limiti / a distillarvi una... “furtiva lacrima” / ma rompa finalmente i catenacci / che tengono in prigione il vostro cuore”. / E così sia».

Del rischio della furtiva lacrima aveva parlato anche il sindaco Giuseppe Sala nel saluto iniziale della serata organizzata dalla Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, vero motore dell’iniziativa che da anni unisce due grandi “povertà” per arricchire il mondo di bellezza, di sensibilità. Il sindaco, appellandosi allo spirito milanese della concretezza e della generosità, ha sottolineato che al di là dell’emozione, inevitabile, è necessario rimboccarsi le maniche, sporcarsi le mani e metterci la faccia, così come ha fatto la Fondazione guidata da Arnoldo Mosca Mondadori che si è inventato questa bella idea: far costruire dai detenuti del carcere di Opera strumenti musicali (per lo più archi) utilizzando il legno dei barconi che portano i migranti in Italia.

C’erano, seduti nel palco reale del teatro, due di questi detenuti, Nicolae e Claudio, che lavorano nella liuteria del carcere e hanno costruito il violino suonato da Sergej Aleksandrovič Krylov (al suo attivo, tra l’altro, sessanta concerti con Mstislav Leopol’dovič Rostropovič). Il violinista russo entra in scena con il suo violino “normale” e lo scambia con un altro, uno “del mare”, facilmente riconoscibile dalle striature colorate proprie delle barche, ed esegue superbamente i brani previsti in scaletta (da Bach a Vivaldi fino a un Kyrie della Chiesa ortodossa ucraina), un piccolo gesto a sottolineare due aspetti: questi strumenti suonano esattamente come gli altri, questi strumenti suonano insieme, “con” gli altri.

In un momento storico in cui il “con” è scomparso — sostituito dal “senza” e pronto a slittare nel “contro” — questo piccolo gesto della variopinta Orchestra del Mare è una goccia che però può spegnere gli incendi che bruciano il mondo e anche scavare la pietra, quella che soffoca i nostri cuori.

di Andrea Monda